mercoledì 10 settembre 2014

VISIONI In Egitto i graffiti della rivoluzione

da il manifesto
VISIONI

In Egitto i graffiti della rivoluzione

Intervista. Ammar Abo Bakr è l’autore dei tre murales di via Mohammed Mahmud al Cairo, la strada in cui si sono verificati gli scontri più duri tra polizia e manifestanti

Abbiamo incon­trato il graf­fi­taro egi­ziano Ammar Abo Bakr. Il tren­tenne vive a West el-Balad (quar­tiere del cen­tro del Cairo) ed è autore dei tre più bei graf­fiti di via Moham­med Mah­mud, una delle strade in cui si sono veri­fi­cati gli scon­tri più duri tra mani­fe­stanti e poli­zia, in par­ti­co­lare nel novem­bre 2011 quando gli atti­vi­sti pro­te­sta­vano con­tro la giunta mili­tare, gui­data da Hus­sein Tan­tawi. Tra que­sti graf­fiti spic­cano Il gio­vane con gli occhi di pesce, rap­pre­senta uno dei ragazzi — acce­cato dai cec­chini e coin­volto negli scon­tri in piazza Tah­rir del novem­bre 2011, e Il bimbo con il pane a rap­pre­sen­tare il dramma dei bam­bini di strada.
L’ultima crea­zione in ordine di tempo a via Moham­med Mah­mud ritrae il dise­gna­tore Hisham Rizk, 19 anni, scom­parso e poi ritro­vato morto nell’obitorio di Sayeda Zei­nab, la scorsa pri­ma­vera. I graf­fiti sono diven­tati uno dei sim­boli delle rivolte del 2011. Dise­gni e mura­les hanno tap­pez­zato il cen­tro del Cairo, i ponti e i via­dotti della città. Gli arti­sti hanno saputo usare il lin­guag­gio della gente comune per riap­pro­priarsi dello spa­zio pub­blico, senza però dimen­ti­care l’utilità di con­qui­stare le parole (in arabo clas­sico: per esem­pio il ter­mine «Giu­sti­zia sociale») nor­mal­mente appan­nag­gio del regime che usa la lin­gua alta. Così migliaia di atti­vi­sti hanno sfi­dato l’egemonia cul­tu­rale delle auto­rità egi­ziane. I graf­fiti sono stati però in parte can­cel­lati nell’autunno del 2012, dopo l’elezione dell’ex pre­si­dente isla­mi­sta, Moham­med Morsi, per poi ricom­pa­rire dopo il colpo di stato mili­tare e diven­tare dei veri esem­plari d’arte con­tem­po­ra­nea. Secondo i più impor­tanti intel­let­tuali egiziani,i graf­fiti sono il prin­ci­pale esito arti­stico e cul­tu­rale delle rivolte del 2011.
Hai un ricordo di Hisham?
Il mio ultimo lavoro lo raf­fi­gura. Era uno dei gio­vani arti­sti di mag­gior talento. Voleva la rivo­lu­zione non solo sulle mura. Mi ha con­tat­tato un anno fa dicendo che voleva fare graf­fiti, voleva andare a stu­diare arte. E così ha ini­ziato il primo anno all’Accademia. Ma qual­cosa è andato storto e una cam­pa­gna con­tro Hisham è stata avviata dagli isla­mi­sti radi­cali di Hazi­moun. ‘Hisham non è musul­mano, e parla male dell’islam’, dice­vano. Certo Hisham tra rivo­lu­zione e reli­gione avrebbe scelto la prima, ma è un arti­sta e i suoi amici ven­gono da tutte le correnti poli­ti­che. Era un puro rivo­lu­zio­na­rio, con­tra­rio a ogni potere, anche alla reli­gione. Gli isla­mi­sti, dall’inizio delle rivolte, hanno ten­tato di mesco­lare le carte e con­fon­dere il movi­mento. Il nostro giu­di­zio non era certo posi­tivo sul loro conto, ma non pos­siamo negare l’estrema fero­cia della repres­sione dell’esercito. Ho poi voluto affian­care a Hisham delle imma­gini di sta­tuette fune­ra­rie dell’antico Egitto (lavoro sull’identità egi­ziana tra antico e moderno), vor­rei dare alla gente lo spa­zio per pen­sare di più. Vor­rei, come al tempo degli anti­chi egizi, che que­sti idoli della filo­so­fia antica lo accom­pa­gnino nell’altra vita.
Quando hai ini­ziato a fare graffiti?
Ho stu­diato all’Accademia tra il 1996 e il 2001, ho ini­ziato a lavo­rare alla Facoltà di Arte a Luxor. È molto dif­fi­cile vivere qui in Egitto, molti arti­sti si rifanno troppo alla scena euro­pea e hanno perso la loro iden­tità. Io fac­cio ricerca, credo nella gente non nella poli­tica, non amo la gente di Zama­lek (ricco quar­tiere del cen­tro del Cairo,ndr) e dell’Opera, gli arti­sti hanno perso tutto, ven­dono dipinti ai vec­chi capi­ta­li­sti. Io vor­rei che di arte si parli ovun­que, invece si inse­gna e la si pre­senta nelle gal­le­rie ad un pub­blico ristretto, un elite. Nes­suno la porta nei quar­tieri popo­lari, per­ché gli arti­sti sosten­gono il regime, sono schie­rati con loro e non fanno niente per gli egi­ziani. Ho ini­ziato le mie ricer­che dieci anni fa, nel 2004, all’inizio della rivo­lu­zione avevo già rac­colto mol­tis­simo mate­riale, quasi 26 car­telle. Ho pas­sato il tempo cer­cando di stu­diare la gente, pas­savo tempo per strada e non inten­devo pre­sen­tare me stesso come rivo­lu­zio­na­rio. Sono stato un anno a dare infor­ma­zioni sui graf­fiti rap­pre­sen­tati sulle mura alla gente che pas­sava per strada, non mi pre­sento mai come arti­sta ma come parte della rivo­lu­zione che usa l’arte.
ammarabobakr
Cosa ami del tuo lavoro?
Sono felice quando fini­sco un’opera e allora scatto una foto e vedo la rea­zione della gente per strada. È impres­sio­nante l’interesse della gente, delle fami­glie: uomini, donne, bam­bini guar­dano al muro della rivo­lu­zione, al gior­nale della rivo­lu­zione. Per me è incre­di­bile. È una ver­go­gna che gli arti­sti pre­sen­tino ancora l’arte nelle gal­le­rie. Certo non sono con­tro le gal­le­rie in Europa, ma al Cairo, o Luxor sì. Quello che dipingo per strada, dopo due mesi, non è mai la fine, ma un altro ini­zio. E così rico­min­cio dall’inizio e fac­cio qual­cosa di meglio, con­di­vido le mura, non suc­ce­deva prima.
Come rap­pre­senti la società egi­ziana nelle tue opere?
La società egi­ziana ovvia­mente è una fonte di ispi­ra­zione note­vole. Hanno accet­tato quello che ho fatto sulle mura. Quando a set­tem­bre 2012 la poli­zia ha pulito par­zial­mente le pareti, al tempo di Morsi (ex pre­si­dente isla­mi­sta, ndr), la rea­zione popo­lare è stata incre­di­bile. Hanno dura­mente cri­ti­cato il governo isla­mi­sta e sono scesi tutti per strada con­tro que­sta deci­sione. Dal novem­bre 2013 abbiamo fatto tanti nuovi graf­fiti e la poli­zia non li ha can­cel­lati, per­ché teme­vano un’altra forte reazione.
È vero quanto dici, ma dopo il golpe del 2013 ogni ten­ta­tivo di rivolta è stato come sedato. Si respira quasi un clima di… ’pace’ armata…
Dall’ultima volta che ho dipinto in via Moham­med Mah­mud sono pas­sati sei mesi. Da allora non ho fatto niente per­ché avevo paura per me e i miei amici, molti di loro sono finiti in pri­gione. L’ultima volta che sono stato lì per dipin­gere Il gio­vane con gli occhi di pesce mi sono sen­tito in pace. Sono tor­nato dopo sei mesi solo per dipin­gere Hisham. Ho capito di aver perso tempo… Mi sento un po’ come Hanubi, l’uomo che quando qual­cuno muore gli pre­para la tomba, rap­pre­sen­tando qual­cosa che fa bene alla gente.
Cosa hai impa­rato dopo tre anni di rivolte?
Ho capito che non posso creare niente da solo, solo se sto in mezzo alla gente e la stu­dio, mi muovo per le strade allora rie­sco a impa­rare. Ecco se posso dare di una defi­ni­zione di me stesso, mi vedo come uno stru­mento tra la gente e il sog­getto che ritraggo e non molto più di questo.



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