PIU’ LIBRI PIU’ LIBERI, LA FIERA NAZIONALE DELLA PICCOLA E MEDIA EDITORIA
FINO ALL’8 DICEMBRE AL PALAZZO DEI CONGRESSI DI ROMA
BORIS PAHOR: “LA SCRITTURA MI HA AIUTATO A SUPERARE GLI ORRORI DELLA GUERRA
E DELLA PERSECUZIONE NAZISTA”
A Più libri più liberi la testimonianza dello scrittore triestino
fra memoria e l’impegno civile di quasi un secolo di vita
Roma 6 dicembre - “Era la festa di san Niccolò del 1920- ricorda Boris Pahor - e il santo, come è tradizione, distribuiva piccoli regali ai bambini, io avevo sette anni. All’improvviso arrivarono invece i diavoli, quelli in camicia nera e manganello. Ero con mio padre: spaccarono tutto, buttarono tutto giù dalle finestre e diedero fuoco al Narodni Dom, la Casa della cultura slovena. Uno spettacolo grandioso e orrendo, che ha segnato tutta la mia infanzia e oltre. Anche perché la città rimase a guardare, senza intervenire e commentare in qualsiasi modo”. Negli occhi di Boris Pahor ancora oggi è vivo il ricordo di quell’incendio, e con esso tutte le vicende storiche e personali che ha attraversato in 97 anni di vita. Proprio quella giornata e quell’incendio hanno segnato l’inizio delle persecuzioni fasciste della minoranza slovena di Trieste, una verità che noi italiani ci abbiamo messo 50 anni a conoscere e ad accettare.
Il destino di un uomo come Pahor è stato quello di vivere tutte le contraddizioni e gli errori del Novecento da un punto di vista particolare, quello di un bambino cui viene strappata, dalla quinta elementare in poi, la sua identità, la sua lingua, a cui viene cambiato nome e cognome per italianizzarli. Chiamato poi a servire in guerra quel paese che voleva negargli l’esistenza, dopo l’otto settembre Pahor prende parte alla resistenza antinazista e finisce in campo di concentramento, prima a Natweiler e poi a Dachau. Quando torna, come per molti, la scrittura sarà il mezzo per fare i conti con quell’orrore e riprendere a vivere.
Lo scrittore triestino presenta alla Fioera della piccola e media editoria il suo ultimo libro Piazza Oberdan: un atto d’accusa al nostro paese, un mosaico di storie individuali che formano un affresco collettivo delle persecuzioni subite dagli sloveni tra la prima e la seconda guerra mondiale.
Una straordinaria testimonianza di quegli anni che hanno visto Trieste, oltre a Berlino, come il luogo in cui si è giocato con maggior ferocia lo scontro tra Occidente e Oriente. “C’era l’interesse a far passare tutta la nostra storia sotto silenzio, anche se ora qualcosa sta cambiando e sono ottimista” ha concluso Pahor, che nei suoi libri comunque non recrimina ma cerca di andare al fondo della lacerazione che si è creata tra chi visse quelle cose e chi oggi le conosce attraverso la lettura.
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