martedì 17 gennaio 2012

«Scelte miopi, con la cultura si può uscire dalla crisi»

IL FATTO

«Scelte miopi, con la cultura si può uscire dalla crisi»

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cultura
«La cultura genera valore economico e sociale, attivando processi cognitivi e identitari». Altro che “la gente non mangia con la cultura”, secondo il giudizio tranchant emesso da Giulio Tremonti nel 2010 per giustificare i tagli al settore. Se c'è la crisi, diceva in pratica l'ex ministro dell'economia, bisognerebbe occuparsi prima del panem, ai “circenses” ci si penserà in tempi di vacche grasse. Poi però andiamo a vedere quello che hanno fatto altri paesi europei e scopriamo un'impostazione opposta: negli ultimi anni la Francia ha aumentato di 100 milioni gli stanziamenti a favore della cultura, i paesi del Nord Europa hanno cercato almeno di conservare l'entità dei fondi degli anni precedenti, in Polonia un movimento di cittadini e di operatori del settore è riuscito a imporre al Governo di sestuplicare gli investimenti nei prossimi cinque anni. «E questo proprio a causa della crisi», sostiene Pier Luigi Sacco, professore di Economia della cultura alla IULM di Milano e autore di un libro uscito l'anno scorso per Il Mulino (scritto insieme a Christian Caliandro), Italia Reloaded. Per la precisione: in un periodo di crisi economica la spesa per la cultura non andrebbe ridimensionata, ma sostenuta, al contrario, con maggior vigore.

Il tema dei tagli si propone in modo drammatico anche in Sardegna e rivela, secondo Sacco, un problema di mentalità che in realtà è tutto italiano. «La cultura è classificata come un'attività voluttuaria che si svolge nel tempo libero», dice l’economista, «e questo dimostra non solo un atteggiamento miope, ma una mancanza di comprensione di come funzionano le cose in Europa oggi. Non si capisce che la cultura è un metasettore che a livello europeo fattura più dell'industria automobilistica, crea occupazione e produce nuova imprenditoria. A livello nazionale manca una strategia, e questo poi si traduce il più delle volte anche a livello regionale». Investire soldi nella cultura - «e non solo sull’intrattenimento effimero» - vuol dire «creare le condizioni per uscire dalla crisi», dice Sacco, «puntando ad esempio su settori come design e multimedialità. Alcuni dei settori in cui si possono porre le basi perché si faccia impresa e quindi si producano utili e si creino posti di lavoro. In Italia, malgrado tutto, l'industria culturale creativa funziona.Maquesti settori producono valore aggiunto senza strategia e in totale assenza di una politica nazionale».

Se poi diamo uno sguardo ai settori tradizionali, in generale cultura e produzione culturale hanno anche un impatto fortissimo sulla qualità della vita percepita. Su coesione sociale, innovazione, welfare. «Facciamo un esempio. La Sardegna ha un' età media piuttosto alta. È dimostrato che la partecipazione culturale riduce i costi di ospedalizzazione. Gli anziani che fanno vita culturale sideprimono meno e si ammalano meno. I tagli alla cultura diventano costi maggiori per il welfare », spiega. «Poi, l'accesso alla cultura è fondamentale per ridurre le problematiche della devianza giovanile e anche per orientare le persone che sono a rischio abbandono scolastico. La Giunta sarda dovrebbe essere più sensibile a questi temi». (Andrea Tramonte)
da Sardegna24

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