Il libro A 50 anni dalla
prima del film di Fellini.
Le storie (e i segreti)
della Dolce Vita
(“minuto per minuto”)
Tutta la verità su un
fenomeno falsato
Dal barman al principe, l'epopea di via Veneto raccontata dal giornalista Victor Ciuffa. Il nome «Quello che ha dato il titolo al capolavoro e a una intera epoca è stato tratto dalla rubrica di un mio collaboratore»
di Francesco Cevasco
Corriere della Sera
Ma
perché si chiama Dolce Vita? «È una storia casereccia», risponde Victor
Ciuffa, giornalista, scrittore, editore. Ma, soprattutto, il tipo che
ha ispirato Federico Fellini per la figura di Marcello Rubini (Marcello
Mastroianni), il reporter romano cacciatore di notizie scandalistiche un
po' cinico e un po' tenero, un po' emotivo e un po' disincantato che
tiene insieme gli episodi del film. «Io facevo la cronaca mondana per il
Corriere d' Informazione, le notti in giro per i locali, non riesco a
seguire tutto e mi prendo un collaboratore che pago di tasca mia: 50
mila lire al mese, un bicchiere di whisky, la sua disponibilità a
portarmi o ad aspettarmi dovunque e a qualsiasi ora. Si chiamava Nino
Vendetti e un giorno mi fa: ma le notizie che non dai al tuo giornale,
quello che t'avanza, i cascami delle notti romane, me li posso rivendere
all' altro giornale di Milano, La Notte? Fai pure. E gli danno una
rubrichetta intitolata "La Dolce Vita nella Capitale". A Fellini che non
scappa niente, che legge tutto, quel titolino gli resta in testa.
Magari gli saranno tornati in mente anche Sem Benelli e Pietro l'Aretino
che di dolce vita hanno scritto, ma non è quello...». Ora Victor su
quegli anni ha scritto un libro, più di 500 pagine: infatti s' intitola
«La Dolce Vita minuto per minuto»; la moglie Anna Maria gli ha «imposto»
di farlo per la loro casa editrice («Sono gelosa anche di questo»).
Togliamoci subito un altro dubbio che in questi giorni di feste per i 50
anni dalla prima uscita del film appassionano i tredici milioni d'
italiani che l' hanno visto e tutti gli altri che ne hanno sentito
parlare: ma Fellini ha fatto un racconto impastato di morale cattolica
oppure un laico e crudele resoconto delle nostre vite immorali? «Non è
vero che Federico fosse un gaudente immerso nelle relazioni femminili.
Era una brava persona, è rimasto un umano che non ha perso il senso
della realtà come hanno fatto molti attori della sua epoca che
recitavano anche quando vivevano. E poi, magari a modo suo, era anche
religioso». Dopo l' uscita del film, comunque, il giornalista Victor
Ciuffa decide di cambiare la sua firma in fondo agli articoli che
raccontano le notti e i sofferti amori di aristocratici, attori e
riccastri. Si chiamerà Ugo Naldi per non confondersi, spendendo il suo
vero nome, con quel mondo. Ma continuerà a scriverne. Come ha sempre
fatto al Corriere d' Informazione anche quando commentava pure la
politica sotto la direzione di Gaetano Afeltra che gli diceva: «Ciuffe!
Mandami uno dei tuoi pezzi con l'arrizzo che qua ci stanno tutte cose
noiose. Guarda, ti faccio le testatine "Roma bene", "Roma male", "Gli
spilli di via Veneto"». Via Veneto, appunto. «È lì, certo, che
nasce la Dolce Vita. E nasce da personaggi-piccoli, non dai giganti del
jet-set. Come Vittorio Tombolini, cameriere di Vigevano che va emigrante
a Parigi e in Costa Azzurra, si fa barman, diventa Victor e la moglie
italiana Bianca la ribattezza Blanche. Su consiglio di nobili della
Costa Azzurra va a fare la stagione a Cortina dove altri nobili lo
segnalano per l' Open Gate Club di Roma frequentato da aristocrazia e
gente del cinema. Poi apre il suo baretto, Victor' s, e si trova
coinvolto nello scandalo padre della Dolce Vita. Nel giugno ' 56 un
avvocato fa rissa con Max Mugnani, il "robiere", come si diceva una
volta, il pusher, accusato di spacciare bicarbonato. Arriva la polizia e
porta dentro il principe Pepito Pignatelli, il marchese Emanuele de
Seta, il conte Ludovico Lante della Rovere, l' attore Carlo Caracciolo,
il duca Augusto Torlonia no perché riesce a scappare. Risultato: anche
Tombolini deve cambiare aria e si compra un baretto in via Veneto di
fronte all' albergo Excelsior, lo chiama Café de Paris. E arrivano
tutti: gli artisti che nei primi anni Cinquanta scimmiottavano gli
esistenzialisti in via Margutta, via del Babuino, piazza del Popolo, gli
attori che stavano affollando Roma perché Hollywood si era trasferita
lì, i soliti aristocratici in cerca di emozioni. Anche Fellini frequenta
quei tavolini con Ennio Flaiano e si raccontano le loro storie. Ci sono
anch' io che mi trasferisco in via Veneto giorno e notte e partecipo a
quelle chiacchiere con i miei piccanti retroscena: piacevano a Federico
perché non erano fini a se stessi, ma erano sempre conditi di ironia e
un pizzico di satira di costume». Con un poco di malinconia, invece,
Ciuffa ricorda l' anniversario romano dell' anteprima al cinema Fiamma
della Dolce Vita. Quel giorno, quella notte, Ciuffa, che aveva già visto
il film durante una proiezione privata alla Cineriz con Afeltra, fa un
salto a una festa dei bersaglieri (non si sa mai che ci scappi qualche
notizia piccante) dove assiste a un presunto musical, «ma si tratta di
un avanspettacolo con una decina di smadruppate che ballano come
possono. Ce n' è soltanto una "giusta", una danese, Anna Rasmussen. Io
la conosco. È molto bella. È con un' amica altrettanto danese. Ho da
fare, ma ci diamo appuntamento alle 11.30 in un locale di via Veneto.
Quella sera, però, Anna non mi è simpatica e non la raggiungo. In quel
locale c' è Fred Buscaglione. La invita al suo tavolo. E poi alle 4 la
porta in una taverna dalle parti della stazione Termini che fa gli
spaghetti fino alle 6 di mattina. Ultima tappa la pensione dove dorme la
ragazza. I due chiacchierano "inutilmente" sulla Thunderbird rosa di
Buscaglione. Quando capisce che quella notte non è la notte giusta, Fred
se ne va. Poche centinaia di metri e la Dolce Vita di Buscaglione
finisce contro un camion pieno di ghiaia».
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