domenica 1 giugno 2014

Alla guerra con Holden

da il manifesto
ALIAS DOMENICA

Alla guerra con Holden

David Shields e Shane Salerno. IL VERO ROMANZO AMERICANO SULLA GUERRA È «IL GIOVANE HOLDEN»: È LA TESI DI UNA GIGANTESCA BIOGRAFIA DI J.D. SALINGER, MOLTO DISCUSSA, ADESSO TRADOTTA DA ISBN

Salinger a Brooklyn nel 1952, fotografato davanti al suo romanzo

A quat­tro anni dalla sua scom­parsa, e a più di cin­quanta dalla pub­bli­ca­zione negli Stati Uniti del suo ultimo libro Alzate l’architrave, car­pen­tieri e Sey­mour. Intro­du­zione), J.D. Salin­ger è tor­nato al cen­tro della ribalta e dell’attenzione di let­tori e cri­tici. Einaudi (suo edi­tore «sto­rico») ha pro­po­sto in tasca­bile una nuova ver­sione de Il gio­vane Hol­den, affi­data a Mat­teo Colombo, uno tra i migliori tra­dut­tori in cir­co­la­zione, che ha saputo lavo­rare con ele­ganza sulla sot­tile linea di con­fine tra inno­va­zione e atten­zione alla sto­ria del testo in Ita­lia, otte­nendo un risul­tato di asso­luta eccel­lenza. ISBN ha invece dato alle stampe, con la tra­du­zione di Lorenzo Ber­to­lucci e Paolo Caredda, la nuova, colos­sale e chiac­chie­ra­tis­sima bio­gra­fia di Salin­ger, fir­mata da due per­so­naggi anti­ac­ca­de­mici come David Shields (roman­ziere e sag­gi­sta, già noto al pub­blico ita­liano per il suo manifesto-collage Fame di realtà) e Shane Salerno (docu­men­ta­ri­sta cine­ma­to­gra­fico, sce­neg­gia­tore, pro­dut­tore e agente let­te­ra­rio). Inti­to­lata Salin­ger La guerra pri­vata di uno scrit­tore (pp. 764, euro 45,00), la bio­gra­fia è l’esito di un lungo e com­plesso lavoro di ricerca, sfo­ciato, in paral­lelo, nella rea­liz­za­zione del docu­men­ta­rio (fir­mato da Salerno) Salin­ger: il mistero del Gio­vane Hol­den, distri­buito in Ita­lia da Fel­tri­nelli e pro­iet­tato lo scorso 20 mag­gio in un numero limi­tato di sale cinematografiche.
Negli Stati Uniti e in Inghil­terra, il volume è stato accolto in modo sostan­zial­mente ana­logo e in qual­che misura para­dos­sale: tanto Sam Leith sul Guar­dian, quanto Michiko Kaku­tani sul New York Times espri­mono una sorta di imba­raz­zata ammi­ra­zione per il gigan­te­sco lavoro di ricerca e per la mole di mate­riali assem­blati su quello che rimane – insieme a Pyn­chon – il più cele­bre «recluso» della let­te­ra­tura ame­ri­cana. Segna­lano, nella con­ge­rie di inter­vi­ste e testi­mo­nianze, alcune novità deci­sa­mente signi­fi­ca­tive, legate, per esem­pio, al ruolo svolto da Salin­ger come agente del con­tro­spio­nag­gio ame­ri­cano sul tea­tro di guerra euro­peo; al suo primo matri­mo­nio con la miste­riosa Syl­via, una ragazza tede­sca che, con ogni pro­ba­bi­lità, era stata per alcuni anni infor­ma­trice della Gestapo, o al car­teg­gio con Joyce May­nard, una delle ado­le­scenti con le quali lo scrit­tore, già iso­lato nella sua villa di Cor­nish, in New Hamp­shire, intrat­tenne una rela­zione prima epi­sto­lare, poi sen­ti­men­tale, già rac­con­tata dalla stessa May­nard nella sua auto­bio­gra­fia At Home in the World. D’altro canto, quasi tutti i recen­sori si sono sof­fer­mati a più riprese sulla scarsa pro­fes­sio­na­lità dei due autori e sulla loro ten­denza a tra­scri­vere infor­ma­zioni e testi­mo­nianze dan­dole per verità asso­data, senza pro­ce­dere a quella veri­fica delle fonti e della loro atten­di­bi­lità che costi­tui­sce il pane quo­ti­diano per ogni aspi­rante biografo.
Soprat­tutto, a essere oggetto di cri­tica è stata la chiave di let­tura della vita e dell’opera di Salin­ger che Shields e Salerno espon­gono con estrema chia­rezza nell’introduzione e nella con­clu­sione del volume, non­ché attra­verso una serie di inter­venti mirati all’interno dei sin­goli capi­toli, inse­ren­dosi nel flusso costante di voci e testi­mo­nianze e calan­dosi nel ruolo di com­men­ta­tori a fianco di grandi nomi della cul­tura ame­ri­cana, da Mai­ler a Updike o Mary McCar­thy. Secondo gli autori, la vita di Salin­ger sarebbe stata scan­dita da due eventi cen­trali: l’esperienza bel­lica, dalla quale l’autore sarebbe uscito emo­ti­va­mente distrutto, ma anche capace di tra­sporre le atro­cità cui aveva assi­stito nella rab­bia e nella rivolta di Hol­den Caul­field e dei pro­ta­go­ni­sti dei Nove rac­conti, e l’adesione alla reli­gione vedanta, che gli avrebbe con­sen­tito di supe­rare i traumi del pas­sato e ricon­ci­liarsi con se stesso, ucci­dendo però la sua arte. Nella let­tura di Shields e Salerno, Il gio­vane Hol­den diventa il vero romanzo di guerra, più ancora degli accla­mati Il nudo e il morto di Mai­ler o Da qui all’eternità di Jones. O meglio, diventa il romanzo sul modo in cui l’esperienza bel­lica ha tra­sfor­mato una gene­ra­zione intera e ne ha vei­co­lato la rab­bia verso un mondo adulto «fasullo» e nor­ma­liz­zato che avrebbe tro­vato la sua piena espres­sione nel mac­car­ti­smo e nella pla­cida cul­tura subur­bana dei tran­quil­li­zed fif­ties. I Nove rac­conti si col­lo­che­reb­bero a fianco del più cele­bre romanzo, repli­can­done la fre­schezza di voce e il disin­canto soprat­tutto in «Un giorno ideale per i pesci­ba­nana» e in «Per Esmè, con amore e squal­lore», men­tre le opere suc­ces­sive di Salin­ger, spo­stando il focus sulla fami­glia Glass, segne­reb­bero il pro­gres­sivo allon­ta­na­mento dalla vita e dall’invenzione nar­ra­tiva nel nome di un mora­li­smo ser­mo­neg­giante che rag­giunge il cul­mine in «Hap­worth 16, 1924», il suo ultimo rac­conto pub­bli­cato sul «New Yor­ker»: un lungo, sen­ten­zioso mono­logo di Sey­mour Glass all’età di sette anni, salu­tato ora come un capo­la­voro, ora – e più spesso – come il segno di una deca­denza ormai irreversibile.
Si tratta di una tesi di fondo radi­cale ma non priva di fascino, cui gli autori subor­di­nano la dispo­si­zione stessa del mate­riale bio­gra­fico. L’attrazione di Salin­ger per le ado­le­scenti viene esa­spe­rata attra­verso una lunga sequela di esempi che, cumu­lati, pre­fi­gu­rano un vero e pro­prio modus ope­randi, ai limiti della pato­lo­gia, attri­buito da Shields e Salerno allo stress post-traumatico deri­vante dalle espe­rienze di guerra e al rifiuto di rico­no­scere, in sé come negli altri, l’avvenuto pas­sag­gio alla dimen­sione adulta. La stessa ribel­lione ado­le­scen­ziale di Hol­den Caul­field sarebbe figlia diretta della discri­mi­nante bel­lica – più che dell’esistenzialismo impe­rante o di una spe­ci­fica tra­di­zione let­te­ra­ria tutta ame­ri­cana, da Huck Finn a Nick Adams –, e addi­rit­tura reche­rebbe in sé una com­po­nente di vio­lenza repressa che, in una qual­che misura, spiega l’adozione del romanzo come modello di vita e spie­ga­zione del pro­prio cri­mine da parte di una serie di cele­bri assas­sini: da Mark David Cha­p­man, il car­ne­fice di John Len­non, a John Hinc­kley, l’attentatore soli­ta­rio che ferì quasi a morte Ronald Reagan.
L’adolescenza bloc­cata costi­tui­sce, per Shields e Salerno, la cifra costante che con­nette e giu­sti­fica tutti i pas­saggi della vita di Salin­ger e ne motiva la cru­deltà gra­tuita nei con­fronti delle tante ragazze cor­teg­giate e abban­do­nate, o della seconda moglie, Claire Dou­glas, e della figlia Mar­ga­ret. La stessa reli­gione vedanta sem­bra a tratti adot­tata solo per la pos­si­bi­lità che essa offre di rag­giun­gere un pro­gres­sivo iso­la­mento dalla vita pub­blica e dalle respon­sa­bi­lità nei con­fronti della dimen­sione fami­gliare, sen­ti­men­tale e ses­suale. Pos­si­bi­lità, quella della fuga, al con­tempo per­se­guita e ripe­tu­ta­mente tra­dita, se è vero, come sosten­gono i due autori, che Salin­ger avrebbe man­te­nuto molti più con­tatti con il mondo esterno di quanto sia dato cre­dere, sfrut­tando il pro­prio stesso ere­mi­tag­gio come mezzo per accre­scere la sua fama.

Salin­ger: la guerra pri­vata di uno scrit­tore ci offre insomma un ritratto d’artista tutt’altro che lusin­ghiero, e ha il merito di costruire un fer­reo col­le­ga­mento tra le mise­rie e le meschi­nità – pic­cole e grandi – dell’uomo, il suo fascino mani­po­la­tore e la sua arte a tratti irre­si­sti­bile. Que­sta strana, gigan­te­sca, ondi­vaga bio­gra­fia si chiude con la rive­la­zione delle rive­la­zioni: per tutto il periodo tra­scorso rin­chiuso nella sua tana in New Hamp­shire Salin­ger avrebbe con­ti­nuato a scri­vere, e avrebbe auto­riz­zato, subito prima di morire e dopo aver isti­tuito, nel 2008, il Fondo let­te­ra­rio che porta il suo nome, la pub­bli­ca­zione di sue nuove opere. Si trat­te­rebbe, secondo infor­ma­zioni «for­nite, docu­men­tate e veri­fi­cate da due fonti sepa­rate e indi­pen­denti», di cin­que opere: due rac­colte con­te­nenti tutti i rac­conti incen­trati sulla fami­glia Glass e sulla fami­glia Caul­field, con molto mate­riale ine­dito; un «manuale» di vedanta, un romanzo d’amore ambien­tato durante la Seconda guerra mon­diale e una novella sotto forma di dia­rio com­pi­lato da un agente del con­tro­spio­nag­gio. Potrebbe essere que­sta la rive­la­zione più grande del libro, e poco importa che con­tra­sti stra­na­mente con l’idea – soste­nuta dagli autori – che le ultime opere di Salin­ger recas­sero i segni di un declino irre­ver­si­bile verso l’afasia. Il Fondo Salin­ger non ha con­fer­mato né smen­tito l’ipotesi di nuove opere: non resta dun­que che atten­dere quello che potrebbe rive­larsi un evento edi­to­riale irri­pe­ti­bile o un cla­mo­roso fuoco di paglia.

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