La mia faccia e quella dell’autista.
Ieri mattina mi è venuta in mente un’idea semplice, un’idea per un racconto. Questa è un’idea che funziona, mi sono detto mentre ci pensavo. Non era un’idea ambigua o troppo generica. Era un’idea precisa, elementare nella sua essenzialità. Così ho continuato a pensarci per un po’, affacciato alla finestra, osservando un gabbiano che osservava me. Poi mi sono vestito, sono uscito di casa e sono andato alla fermata dell’autobus. Ho aspettato quindici minuti. Intanto che aspettavo mi sono reso conto che l’idea per il racconto, così come mi era venuta in mente, di colpo se n’era andata. Quando sono salito sull’autobus ho guardato la faccia dell’autista, che secondo me aveva la faccia di uno che le idee che gli vengono in mente non se le lascia scappare, se le tiene dentro. Magari non ci scrive sopra un racconto, ho pensato, però se le tiene dentro, le idee. Adesso gli chiedo come fa, mi sono detto, gli domando quale sia il segreto. Glielo stavo per chiedere ma una tizia di ottant’anni e forse più si è messa a urlare come un ossesso. Strillava che c’era un odore nauseabondo e i sedili erano sporchi. Che fossero sporchi, i sedili, d’accordo. Sull’odore nauseabondo non saprei, mi pareva un odore standard, da autobus del mattino. E insomma. A un certo punto è successo che la tizia ha smesso di strillare, mi ha guardato e mi ha detto Lei ha la faccia di uno che calpesta le merde per strada, si controlli la suola delle scarpe, che secondo me ha schiacciato una merda, non lo sente questo odore nauseabondo?
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