sabato 27 dicembre 2014

L’austerity non è un pranzo di gala

da il manifesto
CULTURA

L’austerity non è un pranzo di gala

Saggi. «Podemos» di Matteo Pucciarelli e Giacomo Russo Spena. Un partito politico nato sull’onda degli indignados che attira l’attenzione della sinistra italiana

‘’Chie­de­remo uno sforzo mag­giore a tutti. In primo luogo alla società spa­gnola, ai cit­ta­dini, ma anche all’amministrazione pub­blica. Uno sforzo nazio­nale». Mag­gio 2010, Cor­tes di Madrid: l’annuncio della resa di Zapa­tero. La social­de­mo­cra­zia dell’Europa meri­dio­nale rinun­cia a un punto di vista alter­na­tivo a quello di Mer­kel sulla crisi economico-finanziaria: l’austerità può dila­gare, amman­tata di reto­rica dei «sacri­fici neces­sari». La tede­sca Spd di cento anni fa votò i cre­diti di guerra al governo di Guglielmo II, il tra­di­mento di ini­zio del nuovo secolo è que­sto: il Psoe rinun­cia alla difesa dei ceti popo­lari e svuota di senso il suo chia­marsi «socia­li­sta» e «operaio».
L’attuale grande coa­li­zione che regge l’Europa è con­se­guenza di que­sta ban­ca­rotta della sini­stra mode­rata, in par­ti­co­lare quella dei Paesi «deboli»: invece di costruire un’alleanza della «peri­fe­ria», si accre­dita come ese­cu­tore effi­ciente delle misure det­tate da Ber­lino e Fran­co­forte. Il suo ingan­ne­vole appello patriot­tico allo «sforzo nazio­nale», però, non è rac­colto da tutti: prende forma un’insubordinazione di massa che in Gre­cia e Spa­gna assume le sem­bianze di Syriza e Podemos.
Dopo essersi cimen­tati con le vicende elle­ni­che (Tsi­pras chi?, Ale­gre), Mat­teo Puc­cia­relli e Gia­como Russo Spena con­ti­nuano il rac­conto di que­sta ribel­lione non­vio­lenta nell’agile ma denso Pode­mos. La sini­stra spa­gnola oltre la sini­stra (Ale­gre, pp. 127, 12 euro, pre­fa­zione di Moni Ova­dia). Una docu­men­tata e con­vin­cente rico­stru­zione della bre­vis­sima sto­ria della forza poli­tica attual­mente in testa ai son­daggi in Spa­gna. Sto­ria che comin­cia nel movi­mento degli indi­gna­dos, esploso il 15 mag­gio 2011, che diede voce a un’interpretazione della crisi diversa da quella main­stream: «col­pe­vole» non è il debito pub­blico (era al 36% in rap­porto al pil nel 2006), ma un modello di svi­luppo fon­dato su inde­bi­ta­mento pri­vato e spe­cu­la­zione edi­li­zia («nel 2006 in Spa­gna si erano costruite più case che in Fran­cia, Ita­lia e Ger­ma­nia messe insieme», si ricorda opportunamente).
Quel punto di vista cri­tico, e l’energia di mobi­li­ta­zione che ne è deri­vata, non si è mai auto-rappresentata come «sini­stra»: qui sta uno dei punti di mag­giore inte­resse – e con­tro­ver­sia – di quel movi­mento. E, oggi, di Pode­mos. La tesi degli autori è con­vin­cente: «il “né di destra né di sini­stra” spesso uti­liz­zato tra gli indi­gna­dos non è figlio di un pen­siero post ideo­lo­gico né un rifiuto a posi­zio­narsi con gli sfrut­tati e coi senza diritti», ma è la scelta di non attac­carsi a parole-feticcio quando esse, in certi con­te­sti, ser­vono più a con­fon­dere che a spie­gare. Puc­cia­relli e Russo Spena col­gono altret­tanto bene come l’identificazione delle radici di Pode­mos nelle piazze occu­pate non signi­fi­chi che il neo­nato par­tito sia «l’auto-rappresentazione diretta» di quel movi­mento. Fon­da­men­tale è stata la media­zione, con evi­denti tracce di avan­guar­di­smo di stampo leni­ni­sta, di un gruppo di intellettuali-militanti capace di for­za­ture ver­ti­ci­sti­che: Pode­mos è «un pro­dotto ragio­nato, razio­nale», con­ce­pito a tavo­lino «ana­liz­zando il contesto».
Non sarebbe acca­duto nulla, però, senza la suc­ces­siva capa­cità di coin­vol­gi­mento delle per­sone «non mili­tanti», dell’universo pre­ca­rio non più solo gio­va­nile, e senza la lea­der­ship del 36enne Pablo Igle­sias, pro­fes­sore e ani­male tele­vi­sivo – a dispetto di chi la dà per morta: la tv conta ancora molto – con solida cul­tura neo­co­mu­ni­sta e «doti da incan­ta­tore di ser­penti». Tutto messo al ser­vi­zio di un pro­getto poli­tico che non pro­pone di unire la sini­stra («non me ne importa nulla», Igle­sias dixit), ma di «creare un nuovo pro­cesso che vuole incar­nare un cam­bia­mento di sistema». Pode­mos è un’operazione che fonda il pro­prio suc­cesso su un «misto di “tec­no­po­li­tica” e radi­ca­li­smo, rin­no­va­mento e rot­tura gene­ra­zio­nale, ambi­zione e in certi casi pre­sun­zione», com­pen­diano con effi­ca­cia gli autori. Che illu­strano con pre­ci­sione le dif­fe­renze fra gli spa­gnoli e i 5Stelle, ben più nume­rose delle super­fi­ciali ana­lo­gie da poli­tica web: in Pode­mos non c’è rifiuto dell’ideologia (anzi), e la cri­tica popu­li­sta (nel senso di Erne­sto Laclau, a cui sono dedi­cate le pagine «teo­ri­che» del libro) non riguarda solo «la casta dei poli­tici», ma l’insieme dei poteri, com­presi quelli economico-finanziari. Senza dimen­ti­care che Pode­mos è un par­tito, e come tale vuole essere percepito.
Con intel­li­genza, Puc­cia­relli e Russo Spena non cadono nella ten­ta­zione di dire in modo sem­pli­ci­stico: «fac­ciamo come in Spa­gna». E tut­ta­via, leg­gere il loro testo può aiu­tare la sini­stra ita­liana a supe­rare l’attuale irri­le­vanza, per­ché serve a smet­tere di cre­dere a «ricette magi­che e testi sacri», anti­chi o di nuovo conio, e a diven­tare final­mente curiosi di ciò che non si è e non si conosce.


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