martedì 19 maggio 2015

Marx contro Dracula

da MicroMega

Marx contro Dracula



In “Sangue e plusvalore”, romanzo fantahorror di Luca Cangianti, un Karl Marx sull'orlo della depressione fa la conoscenza del giovane Daniel Pieper, che diventerà il suo assistente personale. Insieme, i due si mettono sulle tracce di un industriale-vampiro, Emil Constantin, addentrandosi in un'avventura che sarà anche un'esplorazione dell'arcano della produzione capitalistica...

di Marco Zerbino
“Caro Frederick, il gran freddo che è sopravvenuto qui e l'assoluta mancanza di carbone nel nostro alloggio mi costringono – sebbene questa sia per me tra tutte le cose del mondo la più penosa – a chiederti di nuovo del denaro. Mi ci sono deciso soltanto in seguito alla forte pressione esterna. Preferirei stare cento tese sottoterra piuttosto che seguitare a vegetare così. Tornare sempre importuno agli altri e per di più personalmente esser tormentato di continuo dalle più meschine miserie, alla lunga è cosa insopportabile”.

A scrivere queste amare righe indirizzate all'amico Engels è un Karl Marx in preda alla depressione e allo sconforto. Siamo nel gennaio del 1858 e il filosofo, esiliato a Londra da quasi un decennio in seguito al fallimento della rivoluzione tedesca del 1848, assediato da creditori che poche settimane prima aveva descritto in un'altra lettera come “lupi famelici”, assillato dall'indigenza e da vari problemi di salute, attraversa nei primi mesi di quell'anno un periodo particolarmente duro sul piano personale, tanto da mostrare i segni di una rassegnazione che suona un po' come un disarmante contraltare simbolico all'iconografia “diamat” del quadruplice profilo trionfante.

In quel periodo le numerose asperità del quotidiano impediscono a Marx di concentrarsi come dovrebbe sulla stesura di quello che anni dopo sarebbe diventato il primo libro del Capitale e che per il momento è ancora una bozza composta per lo più di appunti. Questi ultimi, destinati a rimanere inediti ancora per diversi decenni, sarebbero poi entrati nella storia del pensiero con il nome di Grundrisseovvero, in italiano e per esteso, Lineamenti fondamentali di critica dell'economia politica. Le circostanze della vita personale di Marx nei mesi che vedono la gestazione di quell'opera sono state ripercorse fra gli altri da Marcello Musto, ed il quadro che ne emerge è in effetti piuttosto desolante: non solo povertà e problemi di salute, ma anche una comprensibile agitazione psicologica e lo spettro dell'angoscia e del senso di colpa per la morte di un figlio appena nato nel luglio del 1857, evento che dovette ravvivare nei Marx il ricordo doloroso della fine prematura del piccolo Edgar, deceduto a causa di una tubercolosi intestinale a soli otto anni, nel 1855.

Proprio nei Grundrisse, com'è noto, compare per la prima volta la teoria del plusvalore. Non è dunque un caso se Luca Cangianti, autore di Sangue e plusvalore (Imprimatur 2014, pp. 208, € 15,50), ha voluto menzionare questo concetto centrale della critica dell'economia politica marxiana fin dal titolo di questo suo articolato racconto. Un “romanzo horror divertentissimo”, come lo ha definito Valerio Evangelisti, che è “al tempo stesso una geniale introduzione al pensiero di Karl Marx”. Protagonista delle avventure raccontate da Cangianti, ambientate proprio a Londra nei primi mesi del 1858, è un Marx scalcinato, beone e depresso che il giovane anglo-tedesco Daniel Pieper trova immerso nel disordine e nel sudiciume quando lo va a trovare per la prima volta nella sua casa di Grafton Terrace, ad Hampstead. Fra Marx e Pieper, personaggio di fantasia e figlio di un vecchio compagno d'armi del Moro ai tempi della rivoluzione tedesca del 1848, nasce un sodalizio che porterà il primo a manifestarsi anche nei suoi lati caratteriali più entusiastici, gioviali e vitali man mano che la trama lo avviluppa in circostanze sempre più pericolose e surreali. In questa storia, che si legge tutta d'un fiato e che da Londra si ramifica nello spazio e nel tempo in direzione della Parigi comunarda della semaine sanglante, Pieper diventa inizialmente l'assistente personale di Marx nel lavoro di raccolta dati e documenti finalizzato alla stesura del Capitale, ma ben presto i due finiranno impegnati in occupazioni ben più avventurose ed eccitanti ingaggiando una lotta “all'ultimo sangue” (l'espressione è da intendersi in senso letterale) con un... vampiro.

Come fa giustamente notare lo stesso Cangianti nella Nota che chiude il volume, “negli scritti marxiani si allude spesso a spettri, vampiri e lupi mannari, com'era d'abitudine nella pubblicistica rivoluzionaria del tempo. Tuttavia la struttura teoretica dell'opera marxiana e quella della narrazione fantahorror sembrano avere somiglianze tutt'altro che casuali”. Di qui l'idea di far interagire il pensatore di Treviri e il suo giovane aiutante con un capitalista-vampiro, Emil Constantin, che dopo aver succhiato il sangue dei contadini suoi sottoposti in Transilvania à la ancien régime sbarca a Londra per continuare l'opera in veste di moderno capitalista. E in quale Londra, oltretutto: quella dell'“età del libero scambio”, ormai divenuta a tutti gli effetti la capitale del giovane capitalismo mondiale, centro di raccolta di forze produttive e di esseri umani che da esse dipendono per la propria sopravvivenza sempre più enorme e incontrollabile. La città industriale per eccellenza che, per dirla con Engels, “trasforma qualsiasi acqua in fetido liquido di scolo”, essa stessa mostro-vampiro in cui le masse “agonizzano” e i “rifiuti” non producono “piante” ma “malattie”.

Senza anticipare nulla dell'avvincente trama del romanzo, sarà sufficiente dire in questa sede che essa è incentrata in maniera non banale sul binomio sangue-plusvalore, attorno al quale prende corpo la macabra realtà produttiva della Vulcan, la fabbrica di cui Constantin è proprietario e i cui stabilimenti si trovano a Southwark, il quartiere londinese ubicato a sud del Tamigi, oltre quel Blackfriar's Bridge sotto i cui archi venne ritrovato nel 1982 il cadavere di Roberto Calvi. Tale binomio consente a Cangianti di scrivere un libro realmente duplice, come sostenuto da Evangelisti: l'incedere della narrazione non è solo colmo di riferimenti storici precisi alla biografia intellettuale di Marx, al contesto socio-economico dell'Inghilterra vittoriana e al dibattito in corso nel movimento operaio dell'epoca, ma consente all'autore di trattare ed esemplificare in maniera semplice e fruibile alcuni nodi teorici centrali della riflessione marxiana.

Un romanzo del genere, tuttavia, non sarebbe completo se in esso non trovasse posto anche un altro tema marxiano fondamentale: la lotta di classe. Questa compare innanzitutto nel ruolo di coprotagonisti assunto dagli operai della Vulcan nell'approssimarsi della catastrophè che segna la conclusione di tutta la vicenda, ma riemerge qua e là nella narrazione assumendo forme diverse. Forme reali e storicamente concrete, per la precisione: l'epopea tragica della Comune di Parigi, in mezzo alla quale Daniel si ritroverà anni dopo in veste di osservatore-fotografo, ma anche la vischiosa quotidianità fatta di frustrazioni, fraintendimenti e rancori frutto della sconfitta che caratterizza l'esistenza dei rivoluzionari tedeschi fuggiti nella capitale britannica dopo ladébacle del '48.

L'Associazione culturale operaia fondata dagli emigrati tedeschi nella Londra di metà Ottocento si trovava al numero 20 di Great Windmill Street. In quella strada e in quel civico di Soho, proprio sopra il pub Red Lion in cui lo stesso Marx andava volentieri a bere più di una birra in compagnia dei suoi compatrioti e anche dei tanti lavoratori inglesi, francesi, italiani e ungheresi che alla fine avevano aderito all'Associazione, quest'ultima era servita inizialmente a coprire le attività della Lega dei Comunisti. “Nei primi anni Cinquanta”, tuttavia, in seno al gruppo “si verificò una drammatica scissione fra Marx e i suoi seguaci, che sostenevano la necessità di preparare gli operai alla prossima esplosione rivoluzionaria formandoli intellettualmente e spiritualmente, e i sostenitori del rientro immediato in Germania”. “Il filosofo” scrive Cangianti, “ricordava ancora gli insulti, le accuse di tradimento e spionaggio, i pestaggi dei compagni della sua fazione, i pettegolezzi malevoli fatti arrivare a sua moglie; e soprattutto il proiettile sparato in testa al suo amico Conrad Schramm, durante un duello in Belgio, da August Willich, il capo di quella banda di invasati”.

I fatti qui riportati dal narratore sono realtà storica, così com'è un fatto storico l'astio reciproco fra Marx e Willich, i quali non potevano essere più distanti anche come “tipi umani”: intellettuale spiantato il primo, comandante militare e “uomo d'azione” di origini aristocratiche il secondo. Prima di abbracciare il repubblicanesimo e il comunismo, Willich era stato ufficiale dell'esercito prussiano, che aveva definitivamente abbandonato nel 1846-47 rinunciando anche ai propri titoli nobiliari. Egli era quindi diventato insieme a Schapper uno dei leader della frazione di sinistra della Lega dei Comunisti e, stando a quanto affermato dalla biografa Mary Gabriel, nei primi tempi del suo esilio londinese e prima della rottura ufficiale con l'autore del Capitale non perdeva occasione per intrufolarsi in casa Marx, dove pare mirasse alle simpatie di Jenny von Westphalen senza sforzarsi neanche troppo di nasconderlo. La moglie del Moro era come lui di nobili natali e si trovava ora a vivere una vita misera e difficile accanto a un marito che sembrava collezionare fallimenti e che riusciva a stento a mantenere la famiglia: “probabilmente”, scrive Gabriel “Willich riteneva fosse un suo preciso dovere di autentico romantico tedesco correre in suo soccorso. Le sue intenzioni non erano poi così nascoste, tanto che di lui Jenny ebbe a dire: 'Veniva a trovarmi perché si era messo sulle tracce del verme che si nasconde all'interno di qualsiasi matrimonio, con l'intenzione di farlo uscire fuori'. L'operazione non gli riuscì, ma di sicuro egli risvegliò la terribile gelosia di Marx”.

Sul piano più prettamente politico, il modo di vedere dell'ex ufficiale prussiano presentava qualche somiglianza con quello del rivoluzionario francese Auguste Blanqui, incentrato com'era sull'idea che la conquista del potere da parte di un pugno di rivoluzionari convinti e militarmente preparati fosse sufficiente a dar vita alla società comunista. Tale concezione mal si conciliava con l'evoluzionismo sociale che veniva elaborando Marx, motivo per cui questi, rimasta l'Associazione londinese sotto il controllo di Willich e dei suoi, non vi aveva più messo piede per diverso tempo, accettando solo anni dopo, quelli in cui si svolge il romanzo, di recarvisi saltuariamente per tenere alcune conferenze di teoria economica.

“Questo riavvicinamento”, scrive Cangianti “fu favorito nel marzo del 1857 da un evento luttuoso, la morte di Hans Beck, fratello di Paul, uno degli animatori dell'Associazione. Mentre andava al Museo britannico, all'incrocio fra Euston Road e Hampstead Road, Marx vide in mezzo all'abituale traffico di vetture due cavalli neri che trainavano un carro funebre. Riconobbe Paul in lacrime, circondato da alcuni uomini, tra cui Friedrich Lessner e Wilhelm Liebknecht, gli unici tra gli amici di Marx a frequentare stabilmente l'Associazione. Inizialmente il filosofo rimase indeciso sul da farsi, ma una volta incontrato lo sguardo di Beck, che non vedeva da molti anni, gli andò incontro porgendogli la mano. Notò che era l'uomo alto e magro di sempre, ma non aveva più il portamento militare di un tempo. Avevano lottato insieme in Germania nel '48 per divenire nemici a Londra. Paul Beck si era schierato con Willich, e Marx in più di una circostanza pubblica lo aveva umiliato chiamandolo 'zotico'. Lessner e Liebknecht si guardarono temendo il peggio. 'Non sono tornato in Germania' disse a bassa voce Beck. 'Non ho terminato il Libro' pensò Marx. I due si strinsero la mano”.

A differenza di Willich e Schramm, i fratelli Beck sono figure fittizie, ma è proprio dalla bocca di Beck, questo “figlio della rivoluzione sconfitta”, che Cangianti sceglie di far uscire nelle battute finali del romanzo un magistrale concentrato di rancore e fraintendimento di matrice estremistica diretto contro il “borghese” Marx: “[…] tu guardi il mondo dall'alto in basso. Sei stato la rovina del '48. Con le tue chiacchiere astratte, con la tua arroganza saccente hai infiacchito ogni speranza di riscatto. Ci hai condannati a rimanere in esilio, nella miseria, a condurre una vita di stenti e di umiliazione, mentre potevamo tornare in Germania subito e prendere il potere. Non soddisfatto, adesso osi ricomparire a Great Windmill Street per spargere il tuo sarcasmo su tutto e tutti, per farti acclamare da quegli stessi operai che disprezzi e prendi in giro da sempre, per far mostra della tua presunta superiorità accademica, mentre io per tenere aperta l'Associazione ho spazzato il pavimento, ho svuotato i portacenere, ho passato le notti a catalogare i libri della biblioteca circolante. Tu sei il borghese che dall'alto del suo sapere scientifico pretende di dirci cosa dobbiamo o non dobbiamo fare. Poi, mentre tu torni nella tua casetta confortevole a scrivere i tuoi libercoli, noi ci svegliamo all'alba e ci andiamo a fare il culo nelle fabbriche. Non un giorno, non una settimana, ma tutta la vita!”.

Né si pensi che una tirata del genere sia solo il frutto dell'immaginazione del narratore. Nella realtà storica, frasi simili furono scagliate contro Marx innumerevoli volte dai seguaci di Willich. Quest'ultimo giunse persino a sfidarlo a duello, proposta che il pensatore di Treviri rispedì al mittente ma che sarebbe stata invece raccolta, nonostante il tentativo di dissuasione dello stesso Marx, dallo sfortunato Schramm. In quel gruppo le maldicenze contro il Marx “borghese”, parassita che viveva del denaro sottratto dall'amico industriale Engels ai suoi operai, intellettuale con la puzza sotto il naso che in realtà disprezzava i lavoratori e che preferiva i libri all'azione rivoluzionaria, furono per alcuni anni pane quotidiano, secondo il cliché tipicamente settario e “basista” che vede nel “fare” militante una priorità rispetto alla riflessione teorica e all'individuazione delle prospettive in cui inserire l'azione. Soprattutto, secondo quel madornale abbaglio che porta a confondere il comunismo con la società in cui si è tutti proletari, laddove esso dovrebbe sancire invece la fine della necessità, per chicchessia, di diventarlo.

Lotta di classe e scorie annesse, verrebbe dunque da dire. Contro ogni facile idealizzazione tanto della lotta, quanto della classe. Su quest'ultima, forse più di ogni discettazione che scomodi gli “in sé” e i “per sé”, valgono le semplici parole che il Marx diSangue e plusvalore rivolge a Daniel Pieper nelle ultime pagine del romanzo, poco prima di lanciarsi in una forsennata corsa giù per i prati di Hampstead Heath (cosa che il Marx storico faceva realmente nelle domeniche passate fuori porta con la famiglia e gli amici, a rischio di rompersi l'osso del collo): “I proletari, all'occhio dei benpensanti, sembrano sporchi, brutti e ottusi. A volte lo possono anche essere, ma quando questi animi callosi, questi volti anneriti, si temprano in eventi come quelli che abbiamo vissuto, nascono persone nuove capaci di ogni virtù”. Ci piace pensare che fossero anche queste le parole che Pieper aveva in mente quando lo ritroviamo, ormai uomo maturo, sulle barricate della Comune di Parigi il 28 maggio 1871. Ma, di nuovo, evitiamo di svelare i dettagli di un racconto che è anche un piccolo trattato di economia e filosofia.
 

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