domenica 12 ottobre 2008

Prestami una vita, romanzo di Gianni Zanata, parla l' autore




Sì, la prima casalinga è difficile.

Quando Alex si alza e prende il microfono e con la sua armoniosa parlata toscana comincia a paragonare la scrittura del mio romanzo a quella di Michael Chabon, devo dire che sono nel pallone già da parecchio, stordito dalle sequenze di una serata che mi sembra quasi di vivere in terza persona. Nemmeno capisco bene di quale autore stia parlando Alex… Chabon? “I Misteri di Pittsburgh”? No, non ho letto niente, lo ammetto. Ma questo Chabon è un nome che ho già sentito, non so dove non so quando. Dai, dai, pensa qualcosa. È possibile che non ricordi nulla? Ci guardiamo con Bruno, Elio e Paolo. Zero. Anche loro presi alla sprovvista. Qualche secondo di silenzio, si cambia argomento. Forse ci sono domande del pubblico? Sì, c’è una domanda.
Poi l’illuminazione: Chabon! Certo! È quello che ha scritto “Wonder Boys”… Santo Cielo, sì! Da quel libro hanno tratto il film con Michael Douglas e Tobey Maguire. Con la colonna sonora di Bob Dylan, che ha pure vinto l’Oscar per la miglior canzone, sette anni fa. Bob Dylan! Noooo! Il mio autore-cantante-attore-musicista-pittore-poeta-chitarrista-armonicista preferito! Il “Menestrello di Duluth” (ebbene sì, Gianluca, questa l’ho tirata fuori solo per te)… Nel frattempo, oh cacchio, bisogna rispondere alle altre domande del pubblico. E mi dimentico di Chabon.
Allora succede che dentro di me (ma anche fuori, credo) cominciano a germogliare quesiti metafisici. Mi chiedo: accadono davvero cose come queste? Dico, il commento di Alex è perfetto. Di conseguenza, come si può non scomodare il Destino, evocarlo quale Immenso e Unico Infallibile Burattinaio? Si può, si può. Anzi, si deve. Proprio così: nessuno l’aveva invitato, ma lui, il Destino In Persona, è apparso lo stesso. S’è infilato il casco, ha indossato il paracadute e s’è lanciato da chissà quale cocuzzolo spazio-temporale. S’è librato leggero in aria per un po’ e infine è planato dolcemente tra i gazebo nella piazzetta del Manàmanà.
Do un’occhiata all’orologio: è l’otto ottobre del duemilaotto, e tra qualche minuto saranno le venti. C’è un sacco di gente che si è data appuntamento qui, stasera. Gente seduta, gente in piedi, di lato, di spalle. Già, tante persone. E sono qui per me. Per la presentazione del mio primo libro. Stuzzicante: io, tra Michael Chabon e Bob Dylan. Chi se lo sarebbe mai aspettato?

Il giorno prima mi vedo con Francesco al Libarium. È una mattina con il sole che arde da ogni lembo di cielo. Francesco mi guarda da dietro lenti verdastre e rettangolari.
– Me la sto facendo sotto dalla paura – gli dico.
– Lo so, fa questo effetto – commenta lui dall’alto della sua esperienza di autore strapubblicato.
– Tremarella. Al solo pensiero – gli spiego.
– Vai, che andrà bene, – mi rincuora lui, – sei in buone mani.
Poi ci mettiamo a spulciare tra i ricordi di concerti rock a Tonara e di festival blues tra le Rocce Rosse di Arbatax. Ma che anno era? Il ’91 o il ’92? Resterà un mistero. Con Francesco ci salutiamo all’erboristeria.
Prima di rientrare a casa, passo davanti alla libreria di Patrizio, in piazza Repubblica. La locandina è sempre lì. I libri sono in vetrina. Devo ammettere che fa un certo effetto vedere le copie in fila, una affianco all’altra, vicine a quelle di scrittori che vendono a più non posso. Godiamo del momento, penso tra me e me. Poi l’agitazione riprende a farsi strada tra lo stomaco e il cuore, e mi allontano in tutta fretta. Fa così caldo che se non dovessi andare a lavoro mi stravaccherei in spiaggia.

Al mare ci vado comunque, la mattina del D-Day. Giusto per smorzare la tensione. Anche perché a casa mi sento una specie di animale in gabbia.
Mi stendo sull’asciugamano e guardo le nuvole che si addensano sulla linea dell’orizzonte. Speriamo che il tempo regga.
Nel primo pomeriggio mi raggiunge Viviana. Prendiamo un gelato e un succo d’ananas al bar della quarta fermata. Conto i secondi, i minuti. I quarti d’ora. Le mezze ore. Va bene, è il momento di muoversi. Merda, proprio ora che mi stavo quasi rilassando.
Filo all’aeroporto. Bruno arriva puntuale alle diciassette meno cinque. È vestito di nero, una maglia a collo alto, anch’essa nera, di lana.
– Ehi, – sbuffa, – qui c’è davvero caldo…
– Ero in spiaggia, fino a qualche ora fa – gli rispondo.
Bruno sorride. Poi dice che il volo da Pisa è stato velocissimo.
Saliamo in macchina. È emozionato, Bruno. Per lui è la prima volta a Cagliari, la prima volta in Sardegna. Lui, editore che ha girovagato per mezzo mondo, guarda attentamente la città scorrere dai finestrini della Panda. È contento come un bambino al luna park. Davvero stupito. Sono sicuro che avrebbe un’espressione meno sorpresa se gli dicessi che qui ci cibiamo di strane e oblunghe forme di vita extraterrestri.
Si volta verso di me, si sistema gli occhiali.
– Cagliari è grande! – asserisce con enfasi.
Detto da lui che vive a Parigi mi sembra un’affermazione davvero bizzarra. Ma non glielo faccio notare.
Il traffico è scarso, arriviamo al porto in un baleno. Percorriamo il Largo Carlo Felice e siamo sotto il bed & breakfast di Andrea, il dentista prestato al turismo. Dico a Bruno che lo aspetto in strada. Lui sale e lascia il bagaglio in camera. Scende dopo un po’, mi aiuta a portare il roll up e l’altro materiale per la presentazione. Gli mostro la piazza del Manàmanà. Continua a guardarsi attorno, sembra quasi frastornato dai suoni, dagli odori e dai colori del Quartiere Marina.
Al bar di fronte al locale incontriamo Paolo ed Elio. Chiacchieriamo, buttiamo giù una sorta di scaletta, ripassiamo i temi degli interventi. Parliamo del libro, dei personaggi, delle battute che a Paolo piacciono molto, di alcuni spunti che Elio trova irresistibili. Mi sento lusingato. Per me la serata è già un successo, potrebbe finire qui. Invece no, non è nemmeno cominciata. E man mano che passano i minuti mi sento sempre più teso, inceppato, emozionato, impalato. Mi rincuora leggermente a un certo punto vedere Viviana, Martina e Pier Francesco sbucare dal vicolo sulla piazza. Mi sorridono. Ecco, va già meglio. Insomma, così, mica tanto. Dopo un po’ le ginocchia riprendono a ballare il twist del debuttante.
Poi, di colpo, il Grande Vuoto Emozionale, identificabile in una sorta di trance, un’improvvisa sorta di insensibilità agli stimoli esterni. È il Nulla Emotivo che esplode con assenza di fragore, circa un ventina di minuti prima dell’inizio della presentazione. Non vedo più, non sento più, non capisco più. Prendo il libro, lo stringo tra le mani, mi siedo dietro un tavolino e nel giro di un paio di minuti mi ritrovo a puntare lo sguardo su teste, nasi, bocche, gambe, piedi, mani ma soprattutto occhi, tanti occhi, tutti pronti a frugare, osservare, scrutare, guardare, scandagliare, giudicare, indagare. La presentazione ha inizio. Yuh-Uh!
Un tremolio nella tasca del giubbotto. Un sms di Davide e Nok: “Good Luck, Brother! Siamo con te!”. A quel punto Gianni Stock Mieleamaro si è già impossessato del microfono e, come un vero predicatore evangelico del Vermont, sta aizzando la folla e sta sollecitando i sostenitori del Circolo a pagare la quota annuale. La risposta è in un primo timido applauso che ha il potere di scongelarmi le caviglie, annodate non so come alle gambe della poltroncina. I riti cerimoniali di Paolo e Elio fanno il resto. Così, via via, la situazione emozionale si fa ragionevolmente meno tesa.
Paolo si sofferma sullo stile del romanzo, lo fa con tono semplice ma anche molto professorale. Sì, ci sta bene. Soprattutto quando cita Pennac e Benni (ma dico, vogliamo scherzare? Dai, dai, non esageriamo…!).
Elio è fuoco interpretativo allo stato puro. Unicamente Unico. Fa suoi alcuni passi del libro, incarna due o tre ruoli alla volta e a ognuno di loro regala un soffio di vita.
Quando non sono impegnato a spiegare come è nato il romanzo, con quale criterio si muovono i personaggi, quali sono i miei autori preferiti e perché Duilio & Dorotea si comportano come due stronzetti intrisi di un qualche indecifrabile romanticismo, mi metto a scrutare tra le facce del pubblico. Riesco a vedere una prima e una seconda fila semplicemente straordinarie. Joel e Chiara, Giulia e Serafino, Francesca, Monica, Anita, Massimo ed Elisabetta, Annamaria, Paola e altri ancora, mi appaiono come un unico blocco, una fortezza, un baluardo degno della linea difensiva impostata da Bearzot durante la vittoriosa cavalcata della nazionale al Mundial ’82. A centrocampo intravedo la presenza rassicurante di alcuni familiari (ramo di madre), di suoceri e affini. Ci sono i sodali di redazione, c’è Andrea, c’è Stefania e c’è anche Stefano, che continua a gironzolare portandosi appresso un braccio ingessato, il suo, così dice lui. Non c’è Paola, ma c’è Paola! E c’è Carla! Sì, c’è pure il Grande Animanera, c’è Francesco, c’è Filippo, c’è Stefania, Gian Filippo, Corrado, e poi Riccardo, Monica, Enrica e altri che neppure conosco e che…
Applausi. Tutti si alzano. È finita. Come? Già finita? Ma proprio ora? Ora che mi erano venute in mente alcune cose interessanti da dire? Proprio ora che volevo spiegare l’importanza delle figure femminili presenti nel romanzo? Le figure materne e paterne dei protagonisti? Dico, non ne vuol parlare nessuno? Questo libro non è solo cazzi e culi, stronzetti e fumetti, rockers e brokers… Niente. È un definitivo rompete le righe. La gente mi accerchia, mi sorride, mi rifila pesanti pacche sulle spalle. Sono davvero stordito. Tutti si complimentano e mi abbracciano. Mi chiedono una dedica sul libro che hanno appena acquistato. Poco più in là c’è Patrizio che mi lancia uno sguardo da oltre la ringhiera, mi fa segno che ha venduto tutte le copie. Ottimo! Però scopro che ci sono anche molti delusi. Sono quelli rimasti senza libro, quelli che non sono riusciti a comprarlo. Spero che il disappunto per il mancato acquisto alimenti ancora di più la loro curiosità. Andate in libreria!, suggerisco loro. Precipitatevi! Prenotatevi!... C’è Antonio che mi aspetta per un’intervista televisiva (oh, finalmente a mio agio!). Martina e Pier Francesco continuano a fotografare. Viviana si avvicina e mi dà un bacio.

Alex si fa vivo il giorno dopo con una mail. Mi manda i saluti di tutti i Quarupi. Straordinario!
Alberto e Mariella mi scrivono un messaggio che è limpida poesia. Il solo abbraccio conclusivo, accompagnato da un volo mistico comprensivo di citazioni di prestigiosi Kabalisti e Dervisci danzanti e volanti, davvero meriterebbe un racconto a parte. E chissà che non succeda.
Andrea ha cominciato a leggere il romanzo. Mi scrive che sta tenendo il conto dei cazzi e dei culi. E va bene. Però aggiunge che ci sono alcuni passaggi letterari e lessicali che ha apprezzato come i ciupa ciupa che gli regalava sua nonna. La prendo come una critica tutto sommato positiva.
Bruno riparte in tarda mattinata. Destinazione Parigi, via Pisa e via La Spezia. Anche lui mi scrive una mail, da ogni parola stillano gocce di entusiasmo. Gli rispondo di getto, gli dico che qui ha lasciato un segno importante. Chi l’ha conosciuto è rimasto colpito dalla sua sensibilità, dal suo stile, dalla sua classe e dal suo modo di fare. Semplice verità.
Chi non c’era, l’altra sera, mi chiama o mi scrive per sapere com’è andata. Sarò sincero: io non mi sono piaciuto per niente. Troppo agitato, troppo nervoso, troppo emozionato, troppo tutto. Sul serio, non so che tipo di messaggio sia riuscito a far passare.
Aveva ragione Francesco. Cagliari è dura.
Sono sicuro che Duilio Settembrini se la sarebbe cavata molto, ma molto meglio.

Gianni Zanata

2 commenti:

  1. Complimenti per il successo ricevuto Gianni,non avevo dubbi!

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  2. Grazie Ste'. Buon sangue non mente, tutto il babbo...
    vale

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