Wole Soyinka, nigeriano, premio Nobel per la letteratura
nel 1986, racconta l'Africa coloniale tra passato e presente
di Paola Pastacaldi
PORDENONE – Il colonialismo non è una parola che appartiene al
passato. Il colonialismo, non solo ha lasciato dei segni tutt’ora
evidenti nei Paesi colonizzati, - questo lo sappiamo bene - ma vive
ancora nei regimi dittatoriali sotto forma di un nuovo colonialismo che a
volte è più inetto e corrotto di quello del passato. E’ Wole Soyinka,
nigeriano, premio Nobel per la letteratura nel 1986, - primo africano a ricevere il Nobel - a
spiegarci questo aspetto dell'Africa moderna. Wole Soyinka è arrivato
sabato a Pordenone, graziosa cittadina del Friuli, in qualità di
protagonista del Festival Dedica (che proseguirà sino al 24 marzo)
quest’anno interamente dedicato a lui e ai suoi scritti con letture,
rappresentazioni teatrali, interviste e musica.
Incontriamo
Soyinka insieme ad altri giornalisti al teatro Verdi. Soyinka è
drammaturgo, poeta e attore, ha 78 anni, ma non li dimostra. In nessun
senso. Una folta capigliatura bianca e ribelle è un tratto distintivo
della sua negritudine, mentre una prosa lucida segna la sua parola non
priva di ironia.
La
sua parola, come il suo teatro, sono stati dedicati alla difesa della
dignità umana e richiamano costantemente la cultura greca con i suoi
miti che Soyinka nei suoi libri ha ben saputo mescolare a quelli della
sua etnia yoruba cui appartiene. E’ un intellettuale che ha la
brillantezza di raccontare l'Africa oltre gli stereotipi che purtroppo
molti europei ancora conservano di questo grande e meraviglioso
continente che è stato la culla dell’umanità (il primo uomo sarebe nato
in Etiopia). Assalito dalle domande sulla morte di Franco Lamollinara,
l'ingegnere italiano ucciso dal gruppo terroristico di militanti
islamici Boko Aram (che quest’anno ha minacciato di morte anche lui e ha
fatto oltre 160 morti) risponde in modo diretto: "Gli estremisti
religiosi sono opportunisti e ciò accade in molte regioni del mondo. Il
fondamentalismo si è sparso in tutto il pianeta ed era ineviabile che
raggiungesse anche il continente africano tanto da distruggere stati
come la Somalia. La brutalità del nuovo imperialismo è enorme. Ma chi
crede nella vita non può accettare questa dittatura dell'irrazionale".
In
Africa, un paese molto vasto e molto diverso da una regione all’altra,
si combatte un grande scontro tra potere e libertà. Soyinka definisce il
suo continente a questo riguardo come un "paese dal carattere molto
drammatico, che sempre mostra i suoi vissuti in modo eclatante".
Riguardo alle dittature africane Soyinka fa riemergere la parola coloniale.
"In molti paesi africani estremamente impoveriti la situazione economica non è diversa dal periodo coloniale del passato".
Ecco
la forza del' intellettuale di affiancare all’ analisi storica del
colonialismo quella nuova che ha il coraggio di denunciare - anche a
rischio della sua vita - l’ arroganza dei nuovi poteri, non ultimo
quello nigeriano, per avere creato nei paesi un disagio gravissimo e
deprivato i suoi cittadini della dignità e della libertà.
Riguardo
alla Nigeria, lo stato più popoloso dell'Africa e il primo produttore
di greggio del continente africano e il quinto fornitore Usa, la parola
corruzione ritorna sovente negli interventi. Soyinka usa parole forti:
“Non importa chi sale al potere, ciò che conta è che il sistema
prescelto sia discusso e approvato dal popolo. L’accentramento del
potere ha creato un nuovo potere coloniale, un nuovo imperialismo e un
nuovo colonialismo, venuti dopo il vecchio colonialismo. In Nigeria si
avverte una forte tensione. Se non si farà chiarezza temo si arriverà ad
uno scontro. Non mi importa che colore abbia chi indossa lo stivale del
colonialismo, conta l’oppressione non il colore dell’oppressore”.
Soyinka
rilancia il tema della corruzione ai suoi interlocutori italiani
domandando: "Quanti paesi vivono la corruzione anche in Europa, in
Italia? Un paese come la Grecia è persino collassato proprio per la sua
corruzione”.
Chiediamo
a Wole Soyinka perché le persone fuggono dall'Africa, perché continuano
a lasciare il loro paese, perché sentono sempre la necessità di
andarsene. L'Europa rimane un mito indistruttibibile? Nella risposta di
Soyinka ritorna il tema del colonialismo.
"Non
trovo così strano che le persone siano attratte dalle potenze ex
coloniali, si dirigono in fondo verso le ex colonie, niente di più
naturale".
Come
accaduto per altri popoli poveri, anche se all'interno di altri sistemi
di potere e di economia, vedi gli albanesi, la fuga nella speranza di
conquistare un benessere visto e pubblicizzato in televisione venduto
come qualsiasi altro prodotto. "Esistono per gli africani dei legami che
si sono creati durante i periodi coloniali in in virtù della storia
coloniale; le persone seguono questi legami che sono economici,
culturali e si muovono inseguendoli".
Parole molto dure Soyinka utilizza per descrivere le rivoluzioni africane trasformate in dittature.
"Molti
africani guardano ormai con sospetto e scetticismo le rivoluzioni.
L'Africa è stanca di messia, perché molti messia di queste rivoluzioni
si sono rivelati più inetti e sfruttatori persino dei vecchi padroni
coloniali. Non c'è perciò più fiducia in coloro che parlano di
rivoluzione".
Non occorre fare esempi, ce ne sarebbero molti. Perché resiste la dittatura?
"I militari sono un nuovo colonialismo per il semplice fatto che non hanno discusso con il popolo il loro sistema di potere.
"Nei
paesi ex coloniali si cerca di eliminare ciò che è appartenuto al
passato ma in realtà non è possibile perché c'è stato il sincretismo e
dunque il condizionamento è già avvenuto".
A
chi chiede a Soyinka una parola sul potere o il ruolo delle donne
africane, la risposta è disorientante e orripilante insieme: "L'Africa è
grande e le situazioni sono molte e diverse dall’Italia e una
dal’altra. Ci sono stati dove le donne sono libere e hanno potere e
fanno cose che gli uomini non possono fare e ci sono stati dove ad una
ragazza che rifiuta di sposare il promesso sposo scelto dalla famiglia
viene amputata una gamba e è anche accaduto che la ragazza sia fuggita e
poi quando è ritornata la famiglia abbia amputato l'altra gamba".
E'
sorprendente la visione di Soyinka perché non indulge in descrizioni
che cerchino la mediazione. Le sue parole sembrano avere sempre una
visione anche teatrale nel senso della tragedia greca. Sono catartiche.
Per questo suo credere nel sincretismo, l’Africa diviene figlia di un
sapere passato coloniale e di un vissuto odierno, dove tutto si mescola.
Non a caso il Nobel gli è stato dato per l’uso inedito dei miti e dei
riti africani per le sue contaminazioni co la cultura occidentlae. Per
sonoscere gli dei del Panteon di Wole Soyinka un titolo vale la pena di
essere letto, da poco ripubblicato da Jaka Book, si intitola “Akè. Gli
anni dell’infanzia”, un viaggio nella vita di questo grande uomo nato e
cresciuto per scelta seguendo l’istinto e la strada insieme alla
cultura, la sua e la nostra.
Con
un sorriso entusiasta e conscio di colpire annuncia che il prossimo
Festival Black Heritage in Lagos sarà quest’anno dedicato al tema the
Black in the Mediterranean blue sottolineando la similarità
straordinaria che esiste tra la cultura nigeriana e quella italiana, tra
la Commedia d’arte e le antiche maschere yoruba nigeriane. Un percorso
dunque comune nel passato a fianco della divinità Egungun anche per chi
non sa vivere senza Internet.
Paola Pastacaldi
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