I miei parenti non sognano Bob Dylan (reprise).
Riprendo e aggiorno una cosa che avevo scritto qualche tempo fa per “Lìberos“. La riprendo perché il 31 marzo Bob Dylan sarà di nuovo in tournée, in Giappone e alle Hawaii.
Riprendo e aggiorno, ma confermo che da grande vorrei fare il dylanologo. Il problema è che lo sono già, grande. E più che dylanologo mi ritrovo dylanista. Per giunta anonimo, o quasi.
Noi Dylanisti Anonimi ci ritroviamo di tanto in tanto, in qualche club o locale di Cagliari, o dove ci sia qualcuno disposto a ospitarci, a raccontare com’è che siamo finiti nel vortice della dipendenza. Raccontiamo, suoniamo, cantiamo, ascoltiamo: la dipendenza daDylan è una cosa seria. Ma noi dylanisti non vogliamo smettere. Anzi, ci piace dipendere da Bob. Ci fa star bene, la dipendenza. Ci rende liberi, immaturi e forti. Nulla di male, dunque, se non fosse che a noi non basta essere soltanto dylanisti. La nostra missione è essenzialmente quella di far capire agli altri, che dipendenti non sono, quanto sia bello ammalarsi di una malattia così dolce e inebriante come il dylanismo.
Io, poi, un giorno riuscirò pure a spiegarla, la differenza che passa tra dylanologo e dylanista.
A ogni modo, il primo dylanologo che mi viene in mente è Paul Williams, critico musicale di Rolling Stone, fondatore (ad appena 17 anni) della rivista Crawdaddy!. Paul Williams è scomparso nel marzo 2013, all’età di 64 anni. Ha scritto alcune delle cose più interessanti su Dylan e sulla sua arte. Libri densi, complessi. Non leggeri e scanzonati come quelli che scrive Gianluca Morozzi, che scrive delle storie divertenti, e in queste storie, alla fine, Dylan c’è sempre, non manca mai. Vi consiglio di leggere “Bob Dylan spiegato a una fan di Madonna e dei Queen” (Castelvecchi, 2011). Sono sicuro che lo troverete divertente. Se invece cercate un saggio italiano su Bob Dylan, leggete Paolo Vites. Non resterete delusi.
Sia chiaro, i dylanisti sono consapevoli che la musica di Bob è tosta. Voglio dire, o piace o non piace. Non c’è una via di mezzo. Dylan è così: o lo si ama o lo si disprezza. Punto. E se lo si ama, lo si ama alla follia. Lo si ama a tal punto da voler sapere tutto, ma proprio tutto tutto di lui. Vita privata a parte, s’intende. Quelli sono affari suoi: massimo rispetto. I dylanisti sanno quanto Dylan ci tenga, alla sua privacy. Non è tipo da svelare molto di sé, nemmeno della sua musica e dei suoi dischi, figurarsi delle sue faccende personali. Bob Dylan s’è sposato due volte e ha avuto sei figli: il dylanista ortodosso, in genere, s’accontenta delle notizie ufficiali, non rincorre i gossip. C’è altro di meglio da fare. Per esempio star dietro alle novità del prossimo tour.
On line, sui vari forum di Expecting Rain e di Maggie’s Farm, i dylanisti già azzardano ipotesi su come saranno i nuovi concerti. Dylan continuerà a proporre scalette “fossilizzate”, serata dopo serata? Sempre gli stessi brani, sempre lo stesso ordine?
Se sarà così, non avrà più senso il Never Ending Pool, il sito dove migliaia di utenti e gruppi di squadre giocano a indovinare i brani che Dylan suonerà dal vivo. Già nel precedente tour le variazioni alle scalette sono state minime (eccezion fatta per i concerti di Roma, un vero e proprio evento) e il gioco ne ha risentito. Per inciso, alla fine dell’ultimo pool il mio punteggio è stato un disastro: ho chiuso al 559° posto in classifica.
Ecco, ora lo so che cosa state pensando. Voi pensate che io sia affetto da una qualche strana forma di ossessione. Ma vi assicuro che non è così. Da qualche parte ho letto che cosa pensano i dylanisti dell’ossessione per Dylan. Circolano elenchi tipo questo.
Sei troppo ossessionato da Dylan se:
a) non ti stanchi di “Tangled Up In Blue” anche se l’hai sentita più di diecimila volte
b) hai acquistato un software con fogli di calcolo allo scopo preciso di organizzare la tua collezione dylaniana
c) vai in giro con gigantesche lampadine
d) non ti fidi di nessuno, nemmeno di tua moglie (o di tuo marito) quando c’è da risistemare il materiale dylaniano
e) ritieni che tutte le strade portino a Dylan
f) usi almeno una citazione di Dylan nel giornale in cui scrivi
g) i tuoi parenti iniziano a sognare Bob Dylan
h) ti vesti come un barbone
i) ti lasci crescere le unghie, lunghe e sporche
l) entrando in un negozio di dischi vai dritto alla sezione Dylan
m) ogni sera ti affacci alla finestra e pensi: “non è ancora buio, ma presto lo sarà”
n) la tua cassetta del pronto soccorso contiene una copia di “Blonde On Blonde”
o) vai a un funerale, guardi la bara e dici: “Non è morto, sta solo dormendo”
p) hai bisogno di un autocarro con cassone ribaltabile per scaricare la tua testa
q) cominci a rispondere a tutte le domande con domande vaghe
r) il tuo mantra è: “Come ci si sente?”
s) ti vergogni del tuo punteggio nel Never Ending Pool.
Riprendo e aggiorno, ma confermo che da grande vorrei fare il dylanologo. Il problema è che lo sono già, grande. E più che dylanologo mi ritrovo dylanista. Per giunta anonimo, o quasi.
Noi Dylanisti Anonimi ci ritroviamo di tanto in tanto, in qualche club o locale di Cagliari, o dove ci sia qualcuno disposto a ospitarci, a raccontare com’è che siamo finiti nel vortice della dipendenza. Raccontiamo, suoniamo, cantiamo, ascoltiamo: la dipendenza daDylan è una cosa seria. Ma noi dylanisti non vogliamo smettere. Anzi, ci piace dipendere da Bob. Ci fa star bene, la dipendenza. Ci rende liberi, immaturi e forti. Nulla di male, dunque, se non fosse che a noi non basta essere soltanto dylanisti. La nostra missione è essenzialmente quella di far capire agli altri, che dipendenti non sono, quanto sia bello ammalarsi di una malattia così dolce e inebriante come il dylanismo.
Io, poi, un giorno riuscirò pure a spiegarla, la differenza che passa tra dylanologo e dylanista.
A ogni modo, il primo dylanologo che mi viene in mente è Paul Williams, critico musicale di Rolling Stone, fondatore (ad appena 17 anni) della rivista Crawdaddy!. Paul Williams è scomparso nel marzo 2013, all’età di 64 anni. Ha scritto alcune delle cose più interessanti su Dylan e sulla sua arte. Libri densi, complessi. Non leggeri e scanzonati come quelli che scrive Gianluca Morozzi, che scrive delle storie divertenti, e in queste storie, alla fine, Dylan c’è sempre, non manca mai. Vi consiglio di leggere “Bob Dylan spiegato a una fan di Madonna e dei Queen” (Castelvecchi, 2011). Sono sicuro che lo troverete divertente. Se invece cercate un saggio italiano su Bob Dylan, leggete Paolo Vites. Non resterete delusi.
Sia chiaro, i dylanisti sono consapevoli che la musica di Bob è tosta. Voglio dire, o piace o non piace. Non c’è una via di mezzo. Dylan è così: o lo si ama o lo si disprezza. Punto. E se lo si ama, lo si ama alla follia. Lo si ama a tal punto da voler sapere tutto, ma proprio tutto tutto di lui. Vita privata a parte, s’intende. Quelli sono affari suoi: massimo rispetto. I dylanisti sanno quanto Dylan ci tenga, alla sua privacy. Non è tipo da svelare molto di sé, nemmeno della sua musica e dei suoi dischi, figurarsi delle sue faccende personali. Bob Dylan s’è sposato due volte e ha avuto sei figli: il dylanista ortodosso, in genere, s’accontenta delle notizie ufficiali, non rincorre i gossip. C’è altro di meglio da fare. Per esempio star dietro alle novità del prossimo tour.
On line, sui vari forum di Expecting Rain e di Maggie’s Farm, i dylanisti già azzardano ipotesi su come saranno i nuovi concerti. Dylan continuerà a proporre scalette “fossilizzate”, serata dopo serata? Sempre gli stessi brani, sempre lo stesso ordine?
Se sarà così, non avrà più senso il Never Ending Pool, il sito dove migliaia di utenti e gruppi di squadre giocano a indovinare i brani che Dylan suonerà dal vivo. Già nel precedente tour le variazioni alle scalette sono state minime (eccezion fatta per i concerti di Roma, un vero e proprio evento) e il gioco ne ha risentito. Per inciso, alla fine dell’ultimo pool il mio punteggio è stato un disastro: ho chiuso al 559° posto in classifica.
Ecco, ora lo so che cosa state pensando. Voi pensate che io sia affetto da una qualche strana forma di ossessione. Ma vi assicuro che non è così. Da qualche parte ho letto che cosa pensano i dylanisti dell’ossessione per Dylan. Circolano elenchi tipo questo.
Sei troppo ossessionato da Dylan se:
a) non ti stanchi di “Tangled Up In Blue” anche se l’hai sentita più di diecimila volte
b) hai acquistato un software con fogli di calcolo allo scopo preciso di organizzare la tua collezione dylaniana
c) vai in giro con gigantesche lampadine
d) non ti fidi di nessuno, nemmeno di tua moglie (o di tuo marito) quando c’è da risistemare il materiale dylaniano
e) ritieni che tutte le strade portino a Dylan
f) usi almeno una citazione di Dylan nel giornale in cui scrivi
g) i tuoi parenti iniziano a sognare Bob Dylan
h) ti vesti come un barbone
i) ti lasci crescere le unghie, lunghe e sporche
l) entrando in un negozio di dischi vai dritto alla sezione Dylan
m) ogni sera ti affacci alla finestra e pensi: “non è ancora buio, ma presto lo sarà”
n) la tua cassetta del pronto soccorso contiene una copia di “Blonde On Blonde”
o) vai a un funerale, guardi la bara e dici: “Non è morto, sta solo dormendo”
p) hai bisogno di un autocarro con cassone ribaltabile per scaricare la tua testa
q) cominci a rispondere a tutte le domande con domande vaghe
r) il tuo mantra è: “Come ci si sente?”
s) ti vergogni del tuo punteggio nel Never Ending Pool.
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