CULTURA
La buona vita dove tutti possono lavorare
Saggi. «E la borsa e la vita», un libro di Marco Craviolatti per Ediesse
‘’E la borsa
e la vita» è il titolo del bel libro di Marco Craviolatti, edito da
Ediesse (euro 14), con prefazione di Stefano Fassina. Senza mai cedere alla
retorica e con un’importante documentazione a sostegno delle sue
tesi che non appesantisce la lettura ne banalizza l’analisi, Craviolatti
sostiene la praticabilità di un’alternativa reale alla cancellazione dei
diritti, alla subordinazione dei lavoratori e disoccupati al capitale,
alla mortificazione delle esistenze per l’ansia neoliberista della globalizzazione
contemporanea. Il suo sottotitolo indica subito la direzione: «distribuire
e ridurre il tempo: orizzonte di giustizia e di benessere». Lavorare
meno, per lavorare meglio e tutti.
Sono
descritti quattro ottimi motivi per ridurre gli orari di lavoro. In primis si
tratterebbe di uno strumento di distribuzione della domanda di lavoro,
soprattutto se scarsa. L’autore ricorda che si tratta di politiche già sperimentate
in altri paesi europei e con ottimi risultati, nonché in Italia coi
«vecchi» contratti di solidarietà.
La coniugazione di investimenti pubblici per l’occupazione, magari a partire dalla messa in sicurezza del territorio, vera grande opera utile del paese, insieme alla redistribuzione del lavoro, può sopperire alla relativa scarsità di risorse economiche da impiegare.
La coniugazione di investimenti pubblici per l’occupazione, magari a partire dalla messa in sicurezza del territorio, vera grande opera utile del paese, insieme alla redistribuzione del lavoro, può sopperire alla relativa scarsità di risorse economiche da impiegare.
In questa
direzione si muove la seconda ragione. La riduzione di orario inciderebbe
sul rapporto tra capitale e lavoro, «restituendo — scrive Craviolatti
— ai lavoratori una quota dell’enorme crescita di produttività avvenuta
negli ultimi quarant’anni». In questo caso i vantaggi sono sempre
andati in favore della rendita e dei profitti da capitale, cresciuti
più dei salari.
Per invertire
questa direzione è necessario, secondo l’autore, fare crescere
i salari reali e/o ridurre gli orari di lavoro a tendenziale parità
di salario. Un’ulteriore ragione riguarda i benefici anche per le
imprese. La riduzione oraria migliorerebbe l’efficienza e la produttività
del lavoro incentivando la concorrenza fondata sull’innovazione
e sulle competenze professionali, in alternativa al feroce contenimento
dei costi produttivi.
La quarta
e ultima ragione consisterebbe nell’impatto positivo nella vita individuale
e sociale, limitando l’alienazione e liberando risorse individuali
e collettive in favore dello sviluppo della persona, della partecipazione
sociale, dello scambio non monetario.
Una proposta
di senso, qualificata, che indica una direzione diversa rispetto
a quella attuale, dove non vince solo e sempre il capitale, come in
una partita a carte con il baro, il conflitto ha un ruolo sociale
e non è derubricato a residuo ideologico e la forbice
tra ricchi e poveri diminuisce migliorando produttività, diritti,
giustizia, uguaglianza. Un moderato riformismo è sufficiente per
avviarla, è scritto nella sua introduzione, mentre gli esiti potrebbero
essere una radicale trasformazione dei modelli di produzione e di
consumo.
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