La quercia e la rosa, di Ludovica De Nava

La quercia e la rosa, di Ludovica De Nava
Storia di un amore importante di Grazia Deledda con lettere autografe. Romanzo di Ludovica De Nava

IN TERRITORIO NEMICO

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Romanzo storico sulla Resistenza di Pier Luigi Zanata e altri 114 scrittori - metodo Scrittura Industriale Collettiva

Dettagli di un sorriso

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romanzo di Gianni Zanata

Il calcio dell' Asino

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Il calcio dell’Asino. Il calvario di un giornale ribelle (1892-1925) e del suo direttore Giovanni de Nava (Giva)

NON STO TANTO MALE

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romanzo di Gianni Zanata

sabato 8 novembre 2008

Armonia e' vederla

Avevo appena preso sonno. Ero stanchissimo. Una giornata intensa di studio. Il mio cervello quasi ribolliva. Andato a letto verso l’ una avevo cominciato a girarmi e rigirarmi. Il letto dell’ Hotel Garibaldi di Chieti, non era dei piu’ comodi e, inoltre, l’ adrenalina accumulata durante il giorno mi impediva di riposare.
Avevo appena preso sonno quando vengo risvegliato da un tuono, come una cannonata sparata a pochi centimetri dalle mie orecchie, come una bomba ad alto potenziale scoppiata sotto il letto, che quasi si sollevo’.
Mi alzo, vado verso la finestra che da sulla piazza Garibaldi e guardo fuori. Non c’ luce. Buio assoluto. Improvvisamente un fulmine, come un bengala, illumina a giorno la piazza, gli alberi e l’ imponente mole della caserma Spinucci, che ospita il Distretto militare e il Consiglio di leva.
E’ un temporale in piena regola.
Il lampo, una luce rossa abbagliante, di un cupo e triste bagliore, fa stagliare l’ edificio nel buio del cielo. Uno spettacolo da agghiacciare il sangue.
Un temporale con tutte le carte in regola. Il cielo come dipinto di un nero inferno. Piazza Garibaldi, i suoi alberi, la caserma, l’ hotel, gli altri edifici avvolti da una fittissima tenebra, tale che era impossibile vedere anche il davanzale della finestra. Il buio, ogni tanto interrotto dalla brillante fosforescenza dei fulmini, avviluppava la zona. Da dietro i vetri osservo la pioggia che continua a cadere, furiosa, senza un momento di tregua. Tutto intorno fitta oscurita’, un nero deserto, anche la pioggia come inchiostro ebano si rovesciava sulla terra.
Un muto stupore mi invade.
Sono preso da vertigine per la velocita’ dell’ acqua, un inferno liquido, che si scarica dal cielo senza un momento di tregua.
Guardo l’ orologio. Sono le cinque.
I tuoni aumentano d’ intensita’.
Un trillo.
Un secondo trillo.
Un terzo.
Un quarto.
Al quinto realizzo che provengono dal mio telefonino sul comodino.
- Pronto, dico
- Sei tu Peter.
- Certo che sono io. Il telefono e’ il mio. Il numero che hai fatto e’ il mio. Chi vuoi che sia.
Penso: la solita domanda inutile, richiesta stronza, tipo ‘’ci sei?’’ quando ti chiamano al telefono fisso di casa e rispondo. Se alzo la cornetta del telefono dove cazzo credi che sia, rompiscatole di un telefonista.
Sono nervoso per il tempo e la voce che sento non mi tranquillizza. E’ quella della mia prima moglie.
Non sono in ritardo con il sostanzioso assegno di mantenimento che le devo mandare ogni mese, rifletto in un attimo.
Che cazzo vorra’?
Le sue telefonate sono sempre una rottura di coglioni.
E’ come un angelo dalle ali nere, che, toccandomi ha coperto di marcio i miei desideri. Il freddo del suo tocco mi ha tagliato le ossa come una lama.
Che cazzo vorra’ alle cinque del mattino?
Mentre velocemente faccio l’ inventario delle possibili cause della sua telefonata …
- Peter ci sei, fa lei con la sua melliflua voce.
- No! Sono andato fuori, in mezzo al temporale, ad inzupparmi d’ acqua, piuttosto che stare ad ascoltare la tua voce.
- Peter, Alexander e’ morto.

Silenzio.
Silenzio teso.
Un macigno mi e’ caduto addosso. Il pavimento della camera d’ albergo e’ sprofondato. Le rovine mi sommergono.
Silenzio.
Nemmeno il suono di un respiro.
Alexander, il terzo dei miei figli, morto.
Guardo davanti a me, ipnotizzato.
Rivedo Alexander.
I suoi occhi davanti a me.
Il suo sorriso.
Risento le sue battute ironiche, talora strafottenti.
- Peter dove sei?
- A Chieti, rispondo.
Le parole mi si strozzano in bocca, il loro suono come quello di una chioccia.
Una smorfia di sorpresa nel mio viso. Le labbra si serrano in una linea dura.
- Peter torna a Castle, abbiamo bisogno di te.
Silenzio.
Silenzio di morte.
Rispondo che partiro’ subito.
Chiudo il telefonino interrompendo la comunicazione.
Cado seduto sul letto. Le braccia penzoloni tra le gambe. Non riesco in alcun modo a sottrarmi all’ opprimente pensiero che cade come un manto sui miei sensi. Difficile mi riusciva unire le mie incoerenti sensazioni da sogno alla certezza di essere sveglio. Mi pare impossibile quello che e’ successo.
Mi alzo. Barcollo sotto il peso degli anni e della tragica notizia. Tutto il mio corpo trema.
Mi riprendo e preparo la mia partenza.
Prima di lasciare l’ albergo mi collego on-line con il sito della Ryanair per cambiare la prenotazione del volo Fiumicino-Castle.
Alle 7:30 sono seduto sull’ autobus del Consorzio Prontobus che mi portera’ all’ aeroporto Leonardo da Vinci di Fiumicino.
Per liberarmi dall’ oppressione vorrei precipitarmi all’ aperto, correre all’ impazzata, come un cavallo che scappa, tutto fumante e schiumando di rabbia, dal fuoco della scuderia incendiata. Invece, sono all’ interno di un autobus, come nel fondo di un abisso, un immenso abisso, nel quale si rovesciano onde di dimensioni enormi, di un mare soprannaturale, che mi sommergono, facendomi mancare il respiro.
Arrivo a Castle alle 14. Un taxi mi porta a casa di Alexander.
Come immaginavo e’ morto di una overdose di eroina. E’ stato trovato da un addetto della raccolta dei rifiuti in un vicolo vicino alla sua abitazione. Il suo corpo era raggomitolato vicino a un cassonetto. Il suo braccio sinistro stretto da un laccio e la siringa con la dose mortale ancora infilata nella sua vena.
Il suo cadavere e’ ancora in un frigorifero dell’ Istituto di medicina legale dove e’ stata eseguita l’ autopsia.
A quel momento non so quale improvvisa padronanza di se’ mi prende. Decido di andare e parlare con il coroner, un mio amico dai tempi dell’ Universita’. Preannuncio la mia visita con una telefonata.
Vado solo.
Charles Pearson mi aspetta nel suo studio. Quando entro mi viene incontro e mi abbraccia. Conferma che la morte di Alexander e’ dovuta a una overdose di eroina o a una dose tagliata con sostanze pericolose. Mi dice che talora l’ eroina viene tagliata con fango, terriccio, intonaco, anche con anticrittogamici. Dovra’ ancora fare delle analisi per stabilire quale veleno lo abbia ucciso.
Gli chiedo se posso vedere Alexander, se posso restare solo con lui. Risponde che non potrebbe farlo ma che per me chiudera’ un occhio. Mi guida per i corridoi dell’ Istituto e mi fa entrare nella sala delle autopsie. Apre un frigorifero e ne estrae il corpo. E’ nudo, coperto da un lenzuolo di colore bianco. Gli scopre il viso. Mi lascia solo con lui, rassicurandomi, prima di andare via di averlo ricomposto con attenzione.
Mi avvicino a guardare dappresso mio figlio.
Lo guardo in silenzio. Nel silenzio passa il tempo. Il suo passaggio e’ scandito dal secco ticchettio di un orologio elettrico che sta appeso alla parete sopra la porta d’ ingresso.
Un sentimento che non so come nominare si impossessa di me.
Il passato mi scorre davanti. Nessuna lezione da lui. Nessuna analisi dalla sensazione che mi ha preso.
Guardo il suo bel viso. E’ sereno. Sembra osservarmi. Sento la sua voce che dice
- Papa’ avevi ragione.
- No! Avrei avuto ragione se fossi riuscito a salvarti.
- Ricordi i nostri discorsi. Ricordi le mie paure. Ricordi che quando ti sapevo in viaggio avevo paura per te. Paura che potesse succederti un incidente. Paura di restare solo, senza di te, senza il tuo aiuto. Ricordi di quando ti raccontavo che tremavo quando passavo davanti all’ abitazione della ‘’strega’’ che abitava sotto di noi. Temevo potesse prendermi. Allora di corsa facevo le ultime due rampe di scala e ero felice quando ti trovavo in casa ad accogliermi e rassicurarmi.
- Ricordi quante volte ho tremato per te. Ricordi le mie paure quando ho saputo che ti facevi. Ricordi che ho pensato di vivere con te sulla strada per capire le tue motivazioni e per proteggerti. Ciascuno ha la vita che gli tocca. La tua e’ stata una vita di infinite voci, grida, di terra e di cielo, di notti e di giorni. La solitudine selvaggia e’ stata tua. Anche tu come me volevi fermarti su un’ isola. Hai continuato a cercare. Io non sono stato in grado di farti capire che dovevi fermarti. Farti comprendere che non importava se l’ isola non era quella che cercavi. Ora l’ isola e’ deserta. E’ troppo vuota.
- Tu sei andato via e su quell’ isola e’ rimasta solo la voce del mare, del vento. Con te hai portato via gli scogli, il mare, l’ isola, il tempo. Il passato non torna.
- Non dire stronzate. Sai benissimo che non e’ cosi’. Io ti sono stato sempre accanto. E se non ho capito che stavo lasciando deserta l’ isola, perche’ non me lo hai fatto comprendere tu?
- Non e’ vero che sei stato sempre presente. Ti sei allontanato con la storia con quella donna. Ti ricordi?
- Continui a dire stronzate. Quell’ episodio della mia vita e’ accaduto molti anni fa. E’ troppo lontano nel tempo per avere avuto una influenza sul tuo comportamento. Sostieni che ti ho lasciato solo, che non ti ho aiutato quando ne avevi bisogno, ma tu hai mai cercato il mio aiuto. Dici che non ti ho aiutato, forse dimentichi il mio impegno per convincerti ad andare in una comunita’ di recupero. Ricordi quella notte quando ti dissi che dovevi entrare in comunita’ di Mondo X. E’ la tua salvezza dissi, solo cosi, aggiunsi potrai rinascere a nuova vita. Affermai che dovevi avere fiducia in me perche’ il mio scopo, unico fine, era salvarti. Contrariamente agli altri che di davano, ti offrivano, ti regalavano, ti donavano, falsi paradisi, falsi idoli, falsi feticci, falsi simulacri, falsi modelli, falsi sogni. Ti ricordi quanto tempo abbiamo camminato uno a fianco dell’ altro in silenzio. Ti dissi che ci sono uomini che sono come lupi, non gli manca che l’ ululato, che saltano alla gola di chi gli resiste, che conoscono la strada del sangue e uccidono tra le pietre dopo avere dato l’ illusione della luce, della felicita’ del piacere. Poi in quella notte tiepida e tranquilla hai sorriso. La grandi stelle in cielo sono spuntate al di sopra di noi e tu hai detto si’, quasi con suono gutturale, muovendo appena le labbra.

Alexander a queste parole sembra sorridere.
La commozione mi prende.
Sto in silenzio.
Comprimo le labbra per non piangere. Ricaccio in gola le lacrime.
Sono sudato, fradicio.
Apro gli occhi.
La luce del giorno filtra dalla finestra della mia camera dell’ hotel Garibaldi di Chieti.
Armonia e’ vederla.

24 commenti:

  1. Racconto, forte e tenero, drammatico e realistico, vivo e vitale.

    E' sempre armonia vedere la luce ad ogni rsveglio...

    Grazie, fratellino.

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  2. Soprattutto dopo un sogno ''reale''.
    Buona domenica sorellina.
    Vale

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  3. Pierluigi...questo drammatico racconto mi ha davvero emozionato.Spero solo fosse un incubo...o no?
    Un abbraccio.

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  4. Stella, Lliri - Nessuna preoccupazione. E' un sogno. Non ho incubi, mai, e i miei sogni finiscono sempre bene.
    ''Apro gli occhi.
    La luce del giorno filtra dalla finestra della mia camera dell’ hotel Garibaldi di Chieti.
    Armonia e’ vederla''.
    Un cumulativo buona domenica e vale.

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  5. Pierre per la descrizione particolareggiata di fatti e sentimemnti e per come ti conosco,mi ero sentita male.

    Meglio così!

    Buon pomeriggio.

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  6. Mamma apprensiva e amica apprensiva!

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  7. From Chieti

    Stella - Il tuo e' ilmiglior complimento per uno scrittore, il quale scrive fatti fantastici facendoli sembrare veri.
    So benissimo che sei la TIPICISSIMA mamma italiana.
    Vale

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  8. Sospiro di sollievo!
    Sembrava cosi reale da mozzare il fiato. Mi verrebbe istintivamente da dirti"non lo fare più!"...ma ad uno scrittore non lo si può dire!

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  9. Lliri, anche il tuo e'un gran complimento.
    Vale

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  10. questo post lo devo leggere bene prima di commentarlo carissimo pier,in quanto al resto ,l'arcano e' oramai svelato e un po di gogliardia ogni tanto fa bene
    ciao mito

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  11. Asterix l' ironia e' il sale della vita. Vi siete rovinati con TIME, con le altre due testate avreste potuto reggere il gioco per un po'.
    Bravi.
    Vale

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  12. Davvero un grande racconto. Quotare Annarita in questo caso è d'obbligo.

    Ciao
    Daniele

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  13. Ciao Pier Luigi,
    vengo dal blog di Stella per farti i miei complimenti per la laurea... e mi spavento a morte: non avevo capito subito che era solo un racconto/sogno. Pfuiii... sospirone di sollievo! :D
    Comunque, tornando a noi, tanti tanti complimentoni per la tua laurea (seconda, giusto?) e anche per la professione di giornalista. Sei un mito!

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  14. Memole grazie della visita.
    Grazie per i complimenti. Grazie per gli auguri. Credimi sono uno normale anche se sono tre.
    Vale

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  15. Quasi mi veniva un colpo!che post!passavo anche io come memole dal blog di stella e ti sirò che questo post mi ha lasciato un pò interdetta!complimenti per la tua laurea e complimenti per la tua arte!bravo!un saluto

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  16. Mhm....
    ...fantastico o reale?
    Attingere dalla realtà e trafugare nei sentimenti, non ti pare un tantino.... facile!
    Autobiografico o no, il tuo 'conto non è poi così originale.
    Hi.

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  17. Grazie pe la tua visita e per il giudizio espresso.
    Mi chiedo: perche' anonimo?
    Vale

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  18. Beh dopo l' esagerata pubblicita' ...
    Grazie.
    Vale

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  19. complimenti, mi hai fatta emozionare. La descrizione è così "dettagliata" che posso immaginare le scene ad occhi aperti e lasciarmi trasportare. Un metodo di scrittura che cattura come cadere in un vortice che ti porta sempre più a fondo. Anche a me capita di scrivere cose del genere e mentre le scrivo piango e rido come se le stessi vivendo realmente. A presto e complimenti ancora.

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