La quercia e la rosa, di Ludovica De Nava

La quercia e la rosa, di Ludovica De Nava
Storia di un amore importante di Grazia Deledda con lettere autografe. Romanzo di Ludovica De Nava

IN TERRITORIO NEMICO

IN TERRITORIO NEMICO
Romanzo storico sulla Resistenza di Pier Luigi Zanata e altri 114 scrittori - metodo Scrittura Industriale Collettiva

Dettagli di un sorriso

Dettagli di un sorriso
romanzo di Gianni Zanata

Il calcio dell' Asino

Il calcio dell' Asino
Il calcio dell’Asino. Il calvario di un giornale ribelle (1892-1925) e del suo direttore Giovanni de Nava (Giva)

NON STO TANTO MALE

NON STO TANTO MALE
romanzo di Gianni Zanata

lunedì 11 luglio 2011

Maria Giacobbe "Fra due mondi", film-ritratto di una "maestrina" divenuta scrittrice internazionale


La scrittrice Maria Giacobbe in un frame di "Fra due mondi" 
La scrittrice Maria Giacobbe in un frame di "Fra due mondi" 

Maria Giacobbe "Fra due mondi", film-ritratto di una "maestrina" divenuta scrittrice internazionale

di Antonella Loi
"Non sapevo che quello che vedevo e tanto mi entusiasmava era azzurro ed era il mare". Un pensiero tratto da Maschere e angeli nudi e l'immagine delle onde che si infrangono contro gli scogli, mentre una torre antica compare sullo sfondo. Maria Giacobbe cammina verso la telecamera con i capelli mossi dal vento. Il racconto parte da una suggestione e percorre i luoghi della memoria. Nuoro, dove si trovano "le radici", e oltre, Copenaghen, dove si staglia "la chioma dell'albero". Il filo conduttore è quello delle sue opere: dal celebre Diario di una maestrina del 1957 a Chiamalo pure amore del 2008, passando per una vasta serie di titoli tradotti in tutta Europa. Fra due mondi è un bel documentario, franco e ricco di tenerezza, che, scritto e diretto da Francesco Satta, è la sintesi di "una vita letteraria". "I libri di Maria Giacobbe - racconta il regista - mi hanno subito affascinato per lo stile trasparente, molto poco appariscente, ma in grado di rivelare una profondità anche inaspettata per quanto riguarda l'esame delle emozioni". Quello di Satta, già autore di corti, giornalista e fumettista, appare nel film come lo sguardo di un innamorato. E l'armonia con cui alterna il racconto della scrittrice alle immagini dei luoghi che le appartengono e agli spezzoni di vecchi filmini in 8 millimetri, cercati quelli sì negli "archivi" della memoria, scoraggia ogni altra analisi.
"Il titolo del documentario mi è piaciuto molto", ci dice la protagonista, Maria Giacobbe, 83 anni, di cui i primi trenta trascorsi in Sardegna e gli ultimi 50 in Danimarca. "E' la traduzione del titolo in danese del mio libro Le radici (1978): il senso è proprio quello di sentirsi fra due mondi", spiega. Il concetto è quello di "variabili appartenenze", che già individuò come titolo di una lectio magistralis tenuta all'Università di Sassari in occasione della laurea honoris causa che le venne conferita nel 2007. "Penso che si parli troppo di identità - spiega la scrittrice - e, a mio modo di vedere, a volte a sproposito, cioè mettendo troppo in evidenza le quasi insanabili differenze tra popolo e popolo, individuo e individuo. Mentre io, pur ammettendo le differenze, penso che sia possibile non solo creare ponti ma anche sentirsi appartenenti a diverse culture senza negare l'una o l'altra".
La letteratura come ponte tra culture diverse. "Credo che l'appartenenza a una minoranza etnica e linguistica, come quella sarda, non possa impedire che esca una sana curiosità e interesse per il resto del mondo e quindi il sentirsi parte anche di altre culture e civiltà. Siamo frutto di contaminazione - continua - anche quando siamo minoranza. Sono innesti che ci accrescono e ci fanno diventare più forti".
Tutto allora comincia in quella Sardegna, spiega la Giacobbe nel documentario, che per lungo tempo è stata "una prigione" per una vita "che per me era altrove". Una famiglia fortemente impegnata nella politica antifascista, un padre esule, fuggito dalle persecuzioni e andato a combattere in Spagna. "Avevo 7 anni e come molti bambini amavo e ammiravo i miei genitori. Ma lui era andato via e io dovevo stare nell'Isola. Con occhi da bambina - racconta - guardavo una grande carta geografica appesa sul mio letto e mi sembrava un muro impenetrabile: dall'altra parte c'era la libertà, una vita gioiosa e mio padre".
Quel che rimane è una "bambina che non è riuscita ad essere una bambina". Il peso di un'infanzia quasi perduta di cui è necessario liberarsi per guardare avanti. "Quando mi sono trasferita in Danimarca con mio marito Uffe Harder - spiega -, ero incinta e pensavo: non posso far nascere un essere umano nuovo mentre dentro di me ho ancora questa bambina, adulta fin da piccola: avevo dentro una non compiuta. E' qui - ammette - che è nato Piccole cronache, scritto quasi in forma di diario, tanto era presente in me". Ma non per questo Nuoro, suo paese natale, è uscito dal cuore. La stessa Nuoro che "è stata molto dura verso di me e verso la mia famiglia e che adesso, invece, è molto affettuosa". E la falsa modestia non c'entra quando si chiede se davvero meriti "tanti onori e tanta simpatia". "Non ho fatto nulla di speciale - è la convinzione della scrittrice - ho solo avuto la fortuna di poter scrivere e pubblicare". Ma l'affetto è spontaneo e le continue celebrazioni della sua opera sono lì a dimostrarlo.
Quanto essere sarda abbia poi influito nei suoi libri appare in ogni riga scritta. "Ma allo stesso tempo dico che se fossi nata nel Nord Norvergia, vicino al Circolo polare artico, sarei stata segnata da quello perché l'infanzia ci segna. E allora quando scrivo, magari cercando di dare un'impronta più internazionale e, per esempio, descrivo il profilo di una montagna, penso a quelle che conosco e sono quelle della Sardegna". E' poi inevitabile , aggiunge, "che i miei personaggi assomiglino a quelli che sono dentro di me perché quando mi sono formata erano quelli". "L'appartenenza - ribadisce - è un'altra cosa e può essere doppia o tripla. Le radici no, sono solo quelle". 
Ma c'è un altro concetto che Maria Giacobbe, oltre il contenuto del documentario, chiede di poter esprimere attraverso le nostre colonne. "Riguarda le fabbriche di armi che, al contrario di quanto la stampa ha scritto in riferimento ad un mio recente intervento al Festival letterario di Gavoi - spiega -, non credo vadano messe fuori legge solo in Europa ma in tutto il mondo: sono utopistica forse, ma non folle". L'argomento era quello delle guerre che, a partire dal secondo conflitto mondiale, dice la scrittrice, "non sono mai state dichiarate e mai chiuse con un armistizio". Perché le guerre sono funzionali a tanti interessi, compresi quelli di chi costruisce armi. "Le guerre bisogna crearle, alimentarle: se non ci sono guerre le fabbriche d'armi non hanno acquirenti". Chiuderle, "come è stato fatto per le fabbriche di droga" significherebbe segnare il cammino della pace. Il continuo impegno politico - ecco un'altra radice - completa il ritratto di quella "maestrina di Orgosolo" divenuta scrittrice di fama internazionale.

Nessun commento:

Posta un commento

Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.