GIARDINI IMPERIALI
Romanzo di Alberto Liguoro
Recensione del professore, scrittore, saggista Pietro VUOLO
Caro Alberto,
ho letto con attenzione il tuo ultimo libro e, sebbene esuli dai miei
specifici interessi letterari, l'ho molto apprezzato, soprattutto per lo
stile linguistico, per la rara finezza delle riflessioni, per le
ambientazioni fantastiche e per la peculiare costruzione narrativa.
Ha
risvegliato nella mia mente il mito dell' ippogrifo ariostesco o la
stessa funzione del libro come tale, nel suo significato culturale ed
emblematico, cioè del libro come biblos, fortemente espressivo. Da buon
don Ferrante manzoniano, mettendo a cuccia la parte donna Prassede di me
stesso, e senza alcuna convinzione che la peste nera venisse dagli
astri, mi sono appassionato alla lettura e, parafrasando la bella frase
dello scrittore Paulo Coelho a pagina 298, deduco che, pur sempre come
una vita, ogni libro è una storia di tutta l'umanità e rappresenta un
momento intellettuale, cristallizzato in sé, ma in progress nel rapporto
con gli altri momenti della stessa catena intellettuale:
proprio
come diverse vite, cristallizzate in loro stesse, si svolgessero nella
successione, evolutiva o involutiva che potesse essere, del flusso
generazionale.
Il libro effettivamente diviene, così, uno dei tanti monoliti culturali dell'
autore,
cristallizzato in sé, ma in evoluzione con gli altri della successione,
offerti, sempre tutti, generosamente, all' indagine chirurgica, nella
fase produttiva dell' interpretazione, all'infinito, quanti,
progressivamente, siano i lettori.
Il
libro narrativo è umanizzato e, così, rappresenta la collettività
sociale, e resta sempre attuale e globale, assoluto e, al contempo,
oggettivo nel senso, pur nato da una invenzione soggettiva: la vicenda
narrata diviene metafora universale.
I
"libri perduti sono anime perse", ma la perdita di un libro riscatta
un'anima dalla perdizione, si dichiara a pag. 53. Ogni anima è un libro,
nella discrasia che la sopravvivenza delle due entità è esclusiva: vive
l'una o solo l'altra, inconciliabili tra loro. Il libro e l'anima-faber
si escludono reciprocamente, nel rapporto spazio-tempo, del prima e
dopo, del dentro o fuori. O vive Miguel o don Quijote, il Della Mancia
esclude De Cervantes. L'uno, nella rappresentazione narrativa e
drammatica, è l' esclusione dell' altro.
Ma l'uno, al tempo stesso, è sempre con l'altro: accade un pò come ad Algor, che non è Alberto
Liguoro, o, almeno, lo è, nelle trasfigurazioni profonde e segrete,
psichiche ed intellettuali, ancestrali e inconscie. Ma l'uno non è l'
altro, anzi, l'uno è, all'occhio estraneo, la finzione dell' altro.
Nella fase narrativa, l'errore resterebbe risibile ed anche un fallo
veniale romperebbe l'impianto, come un lambrusco tappato in un fiasco!
Ho
cercato di intendere, innanzitutto, il senso del titolo del mitico
libro "I giardini imperiali": ho trovato la presenza di un libro
simbolico, il libro per antonomasia, nel suo significato totemico,
collettivo e positivo, non intellettualistico e non individualistico, ma
fortemente scenico e rappresentativo, espressionistico e
impressionistico, soggettivo e oggettivo al contempo.
Le
vicende narrative, sceniche ed espressive, talvolta venate di non-senso
polemico, sottendono impressioni profonde e mettono a nudo segretissime
pulsioni intellettuali, intime fino all' erotismo. L'empiria
aristotelica lascia, tuttavia, espandere l' intimismo platonico: il
libro si fa mito della caverna, nel cui fondo, come nella nostra mente,
si disegnano immagini diverse, ora drammatiche quanto le tele di El
Greco o di Munch, ora vive e viventi nel colorismo, tra solare o
allucinato, di Van Gogh. Le vicende, sospese tra scienza e fantasia, tra
concretezza ed astrazione, si svolgono su un palcoscenico cosmico
sconfinato ed infinito, in forme parallele, senza spazio e senza tempo.
L' autore non è in rapporto intrusivo col mondo del libro, vi abita ed
alimenta la sapienza generatrice delle vicende correlate, reali quanto
sacri i giardini imperiali. L' anima dell' autore resta discreta e
genera solo rumore di passi, cadenzati decisamente e reiterati in
immagini fantasiose, in colorazioni linguistiche, in accumulazioni
lessicali apparentemente inutili. La molteplicità delle forme e delle
figure, delle postille e delle stesse parole sconfinano in innumerevoli
variazioni di altre figure, in creature evanescenti e allucinate, in
parole virtuali e in mondi artificiali. Il linguaggio si fa arte del
dialogo e talvolta diviene monologo intimo, in una narrazione sempre di
natura drammatica e rappresentativa.
La
narrazione procede così per immagini, tra scene difformi, con linguaggi
differenti, orchestrati, ora musicalmente armonici, ora discordanti in
detriti e fonemi linguistici, alla contemplazione di certe atmosfere
contrasta l' houmor grottesco di altri scenari. La finzione narrativa è
la realtà proiettata su uno schermo deformante, che, in men che si dica,
diviene onnivoro e fagocita ogni vicenda ridotta in marciume, come
triturata, da un immane e inumano shaker, in un macabro coktail.
Il
libro, così, nella narrazione progressiva, si fa rappresentazione
visiva di effetti speciali, sconvolgimenti emotivi, riflessione
introspettiva e trasforma i capitoli in atti teatrali.
La
visitazione di questo universo cartaceo, aperto in sè stesso, e perciò
infinito, resta, tuttavia, marginale perché le vicende hanno il loro
senso compiuto nella satira sociale della follia collettiva e nella
progressiva inefficacia del sistema. Nella fruizione corrente,
pragmatica, scientifica, asettica, per un verso, o completamente
irrazionale e d' evasione, per un altro verso, tutto è omologato al
massimo profitto. Ogni vecchia arte comunicativa, ormai rovente, è
ridotta all' immediatezza, all' uso del consumo. Ma un "Disastro
telematico provoca sconvolgimenti senza precedenti sul pianeta e nello
spazio". Tutto è perduto per effetto di un fantomatico virus, resta
speranza solo in ciò che era stato giudicato demodé, ed archiviato nel
Cestino. I mondi artificiali crollano, resta solo speranza nel "Tempo
che fu".
Mi
sono cimentato, perciò, anch'io, poeta da strapazzo, in una breve
smozzicata e disarmonica versificazione che sintetizzasse il concetto,
dal titolo "Demodé":
"Demodé,
ma pur sempre viva
l' immagine della vita,
impressa nella stampa.
La memoria delle radici,
salda,
neppure svanisce
negli impalpabili guizzi
scintillanti
del tempo che si brucia.
Ed anche l' Itaca sognata,
mito demodé,
infantile e passatista,
resta perenne
nell' odissea della vita.
Il Presentismo e il Futurismo
hanno ammalato il mondo
di labilità e di obsolescenza" .
Ho
letto un libro fortemente intellettualistico, ed ancorato a profonde
radici sentimentali e a solide convinzioni razionali dell'esistenza, non
un semplice libro di fantascienza: "Rumore di passi nei giardini
imperiali" è un libro per raffinati e nostalgici amanti del cerebralismo
letterario. Mi verrebbe di pensare al Canetti del Dieblendung, tradotto
in italiano col titolo Autodafé.
I
veri protagonisti sono, perciò, idealizzati. Essi sono il Passato,
scientifico e negativo, il Presente, mortifero, violento, ascetico,
irrazionale e fetibondo ed il Futuro, mistico, luminoso e fiabesco. Va
da sé che le dimensioni temporali sono anche spaziali e culturali, come
nel mitico viaggio di Dante Alighieri, nei mondi dell' aldiqua e
dell'aldilà, o del mio amato Pappacena.
Le
dimensioni del libro sono, perciò, sacralmente tre, e sarebbe insensato
ritornare, da parte mia, sulla narrazione, atto unico, della
costruzione romanzata o sulla scansione in nove, quanti sono i capitoli:
verrebbe da dire, se non facesse ripugnanza la fede ottusa nelle
scienze, che tre per tre faccia
nove:
quando la narrazione è pari alla vita corrente, i calcoli matematici
dimostrano la loro limitatezza, anzi, minacciano la forma sostanziale
dell'esistenza.
Il
Passato illusorio predefinisce il Presente ed alimenta il rivolo di
sangue che ingrossa a fiume destinato al diluvio universale, come se la
dimensione acquatica del bel kolossal di Costner, Waterworld, si fosse
materializzata in una notte di lerciume e di orrore, un mondo di
creature mutanti e mostruose, nel quale, all' adattamento irreale e
irrazionale, si contrappone solo la cancellazione: il mondo di quella
gente che vedo ognidì legata all' appedice fonica del padiglione
auricolare, sempre collegata al computer e al telefonino satellitare.
L'imposizione
viene da Semia (sistema economico mondiale internazionale astrale),
sotto lo sguardo vigile di un divino cannocchiale: questa sarebbe la
corrente apocalisse, ma la narrazione si apre su un mondo
postapocalittico, già presentato, nel primo atto, a mo' di preazione
scenica, con l' "Isola del sole", in cui vive il personaggio mitico e
regnante di Paribanu, l' Afrodite di una nuova tappa ciclica della
storia universale dell' umanità.
Il
mondo presentato nel libro è, perciò, anche la proiezione trasfigurata
del mondo reale... verrebbe da pensare a "L'inizio della fine" di "Balle
spaziali". Ma la trasfigurazione si cristallizza in positivo nel mondo
incantato di Paribanu. Il fascino di quella principessa suona come il
lontano campanellino legato al collare della mitica cagnolina di nome
Lola, nell'atto di annusare, come in un fotogramma inceppato nel
sistema, un camionciono in miniatura della Coca & Cola, giocattolo
preistorico e antidiluviano.
Beato
te! Ottimista, riuscendo ancora a combattere in una prospettiva solare e
lanciare messaggi interspaziali e ultradimensionali da zone esposte al
risucchio della notte assassina. Le tue radici, antiche e generazionali,
sono solidissime e ti permettono una tale ardita alea.
Io
mi limito al piccolo cabotaggio, roba terrestre, terra terra, e mi
fermo a guardare ogni cosa, senza timore di apparire un guardone.
Pertanto
mi beo della mia attività letteraria di saggista nel campo della
storiografia settoriale e locale e non esito a collocare il tuo romanzo
nel genere della denuncia del mondo che si autodistrugge, delle foreste
bruciate, delle mutazioni climatiche, dei cibi artefatti e del vino a
metanolo... la denuncia della società umana che smarrisce la bussola....
Perciò "Rumore di passi nei giardini imperiali" è un autentico romanzo
di formazione sociale, umana e intellettuale, un bildungsroman di
impostazione fantascientifica. Invita al recupero delle radici, con
altrettanta genialità del viaggio nel futuro, del famoso film "Il
pianeta delle scimmie" dal romanzo di Pierre Boulle.
Anche
dal tuo libro verrebbe un interessante testo cinematografico, semmai
rielaborato in storie cicliche o anche di una serie TV. Io, per me, ho
tratto i remi in barca e mi sollazzo a ricostruire il deja vu, cercando
di far rivivere il Passato. Vivo come un galeone antico nei mondi
tranquilli delle profondità oceaniche, tienimi sempre al corrente delle
tue escursioni inter ed extraspaziali... e anche con le balle.
Complimenti per questo tuo ultimo bel libro. Sei geniale come sempre.
Pietro Vuolo
RUMORE DI PASSI NEI GIARDINI IMPERIALI
Romanzo di Alberto Liguoro Ed. Maremmi Editore Firenze (MEF) ISBN 978-88-517-1559-5
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