Michela Murgia con ''Accabadora'', Einaudi, Supercoralli, ha vinto il Premio Campiello 2010 «Acabar», in spagnolo, significa finire. E in sardo «accabadora» è colei che finisce. Agli occhi della comunità il suo non è il gesto di un'assassina, ma quello amorevole e pietoso di chi aiuta il destino a compiersi. È lei l'ultima madre. Il libro Maria e Tzia Bonaria vivono come madre e figlia, ma la loro intesa ha il valore speciale delle cose che si sono scelte. La vecchia sarta ha visto Maria rubacchiare in un negozio, e siccome nessuno la guardava ha pensato di prenderla con sé, perché «le colpe, come le persone, iniziano a esistere se qualcuno se ne accorge». E adesso avrà molto da insegnare a quella bambina cocciuta e sola: come cucire le asole, come armarsi per le guerre che l'aspettano, come imparare l'umiltà di accogliere sia la vita sia la morte. Tempo fa avevo pubblicato un post legato alla Femina Agabbadora parlando di luoghi misteriosi. Lo ripropongo per far conoscere ai non sardi questo rituale antico della Sardegna, vero o leggenda che sia. | ||||
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LURAS (OT) - IL MUSEO GALLURAS L'ULTIMO MARTELLO DELLA FEMINA AGABBADORA | ||||
I capitoli di questa scheda sono: La filosofia del Museo Il museo contiene ben 5000 reperti pazientemente raccolti e conservati dalla fine del 1400 alla prima metà del 1900 da PIER GIACOMO PALA che ne cura l’impostazione, la direzione e la promozione. Qui tutto è stato utilizzato e tramandato di padre in figlio. Un’interessantissima visita guidata con minuziosa narrazione fa rivivere al visitatore ogni ambiente, ci si sente realmente proiettati indietro nel tempo. Varcata la porta d’ingresso si torna all’antica vita gallurese e se ne respira la quotidianità. Nascita, infanzia, amore, lavoro, morte, rinascita... questo luogo contiene tutto questo. Il Piano terra è dedicato all’agricoltura, alla pastorizia e al vino. Si toccano da vicino i più svariati attrezzi per la lavorazione dei campi, e per la produzione dei derivati del latte e del vino. E’ presente una particolare collezione di cavatappi tra cui uno da taschino. Vi è anche un carro. Primo piano - la famiglia La cucina è un’esplosione di ogni tipo di utensile, qui si faceva tutto in casa dal pane ai biscotti. Nella credenza sono conservati alcuni esempi di “pane degli sposi”, il pane elaborato che veniva donato il giorno del matrimonio in segno di prosperità. Gli esempi che qui si possono ancora osservare risalgono al 1945, una rarità se si pensa che il pane non dura più di 7/8 anni. Nella camera da letto spicca all’occhio l’angolo della riparazione delle calzature, fatto quantomeno curioso dato che la casa era abitata da una famiglia benestante. Ebbene la capacità di autoriparazione delle scarpe era un privilegio anche per i più ricchi essendo un oggetto indispensabile e molto costoso. Fortunato era chi sapeva rammendarle perché portava in casa un risparmio davvero elevato. Inoltre gli strumenti di riparazione venivano conservati nella camera da letto dei genitori in quanto l’accesso qui era severamente vietato ai bambini, evitando così che si ferissero con la complicata strumentazione del calzolaio. Secondo piano - lavorazione del sughero e della lana Il martello della Femina Agabbadora A prima vista potrebbe sembrare un normalissimo utensile, ma così non è perché veniva usato dalle “Femine Agabbadore”, donne che avevano il compito di “finire” un malato terminale, attivando così una sorta di antica eutanasia. La donna veniva chiamata dalla stessa famiglia dello sventuarato, ma solo quando risultava inguaribile e in preda a sofferenze atroci. Era un'oscura donna, a volte residente nello stesso paese, che si occupava di questa macabra pratica, mestiere considerato “positivo” perché sapeva portare il “sollievo”, laddove medico e preghiere fallivano miseramente. Erano vestite di nero e indossavano un mantello, una macabra coincidenza le fa "somigliare" alla Morte, e quando ne vedevi una, in effetti qualcuno doveva morire. Gli ultimi episodi sono più recenti di quanto si pensi, uno risale al 1952 a Orgosolo e uno proprio a Luras nel 1929. Curioso il verbale stilato dai carabinieri sull'ultima "eutanasia" in cui si giustifica la morte del malato con il fatto che “i familiari ne hanno dato il consenso”. Il rituale della Femina Agabbadora Se il malato continuava a soffrire allora si procedeva con una confessione in famiglia, l’AMMENTU, gli si rammentavano all'orecchio i propri peccati (anche quelli dimenticati!) per pentirsene prima dell’ultimo respiro. Capitava che o il malcapitato moriva sotto il peso psicologico di questi ricordi negativi, ma capitava a volte che si riprendeva per il timore di finire all’inferno e per la voglia di rivalsa. Si ritornava in sè per una sorta di desiderio di espiazione e per rincorrere una seconda possibilità. E a volte funzionava! Se non si osservavano miglioramenti, allora si tentava di innescare una forte reazione fisica, si avvolgeva il moribondo in un panno di acqua gelata tenendolo dentro ad una botte, tentando così in extremis di calmare il bollore della febbre, ma ciò facendo capitava spesso che veniva ucciso da una broncopolmonite fulminante! Insomma laddove magia, psicologia e attacco fisico non funzionavano si doveva ricorrere all’atto finale e, dopo un'importante riunione di famiglia, si decideva di convocare a malincuore l’Agabbadora. In effetti era come chiamare la Morte in persona, arrivava di notte, avvolta in un mantello nero, solo che in mano aveva il martello al posto della falce. Appoggiava lo strumento sul davanzale del malato, ma entrava dalla porta principale annunciandosi con la frase “che Dio sia qui”. Veniva accompagnata nella camera del malato, per indicare che era un volere di tutti, faceva il segno della croce e li congedava chiudendosi all'interno. Dopo aver compiuto il “suo dovere” avrebbe richiamato i parenti e avrebbe pianto il trapassato insieme a loro. Un' eutanasia di tutto rispetto, con tutte le sue regole e il suo galateo. La figura della Femina Agabbadora è avvolta nell'oscurità in Sardegna, pochi ne parlano nonostante siano stati scritti dei libri. Era un mestiere duro ma necessario per una famiglia spesso povera, che lavorava intensamente per il proprio sostegno, una persona in fin di vita poteva solo portare grossi disagi e sofferenze. Una selezione naturale "aiutata" da un'organizzazione sociale che permetteva di salutare la propria persona cara, per rivederla nell'altro mondo guarita e in piena salute. Un rapporto con la morte strano, forse macabro e spaventoso, ma sicuramente più rassicurante e migliore del nostro, perchè per loro la Signora Morte era quasi "una di famiglia"...
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sabato 25 settembre 2010
L' ultimo martello della '' femina agabbadora - Luras (OT) - Il museo Galluras -
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