- Neanche una goccia per terra. Questa volta non hai da rimproverarmi. Ti ricordi l’ ultima volta? Mi avevi indicato cinque gocce cinque d’ acqua sul pavimento del bagno. Mi avevi detto che dovevo mettere l’ asciugamano vicino al lavandino quando mi lavavo. Oggi neanche una goccia.
Marion non risponde. E’ stesa sul letto del camper. Pochi minuti prima i suoi piccoli seni sodi sfregavano sulla pelle del mio viso, sul mio ventre, contro i peli del petto. Il camper e’ fermo vicino a una spiaggia di Green Coast, dominata da ricchissima vegetazione di lentischio, ginestra, corbezzolo e ginepro che scende dalle montagne fino al mare fra valli e dune di sabbia. Chilometriche e splendide spiagge, interrotte da cale rocciose, scure ed imponenti scogliere che scendono a picco sul mare e deserti di sabbia intercalati dalla profumata macchia mediterranea. Ginepri piegati quasi fino al suolo come in un elegante inchino ad una natura ancora incontaminata e regale che non chiede altro che essere rispettata. Territorio rquasi incontaminato, sospeso nel tempo. Non lontano ruderi di villaggi e di palazzi minerari abbandonati, di gallerie dove ancora riecheggiano i passi dei minatori. Marion per quella breve vacanza in camper aveva scelto quella solitaria localita’ perche’ catturata da un mondo nuovo, originale, sospeso nel tempo e forse anche nello spazio. - Mi piace, aveva detto guardando il panorama, questo mondo dal quale non potro’ più sfuggire. Sotto di noi una torre spagnola in rovina, roccaforte abbandonata. Ortiche spesse come un dito crescono tra le pietre. Attorno cespugli di lentischio. Nascondigli di conigli, che al fresco dell’ alba e della sera fanno uscire i loro piccoli, a giocare sull’ antica fortificazione.
Continuo a pulire - Hai ragione, dico, nel camper e’ necessario essere ordinati. Ogni cosa deve stare al suo posto altrimenti non ci si ritrova.
Nessuna risposta.
- E’ stato bello?, chiedo. Ricordi? Ti sei avvicinata, mi hai tirato a te e mi hai dato un bacio sessuale. Mi hai invitato a seguirti sul lettino. Ordinato. Lenzuola geometricamente stese sul materasso. Ordinatamente hai appoggiato i vestiti sul divanetto. Non hai detto nulla, ma il tuo e’ stato uno sguardo di rimprovero vedendo i miei sparsi sul pavimento. Ordinatamente hai fatto l’ amore. A cavalcioni su me, attenta a non spiegazzare i teli. Lenti movimenti prima, poi sempre piu’ rapidi, violenti a riempirti tutta. Poi in ordine mi hai baciato le mani e gli occhi e il collo e la bocca e il petto. Dal mare portato da folate di vento fuggente arrivava un odore di salsedine, di sabbia che emana dalla spiaggia e di ginepro, lentischio e tamerice. Ricordi? Ti sei lasciata sfuggire un ordinato leggero sospiro appagato, di felicita’.
Nessuna risposta.
Cosi’, penso, fin dal nostro primo incontro, dal nostro primo rapporto quando mi ti eri aperta come se quel momento potesse compensarti di tutti gli anni vuoti.
- Marion, dico, non sei stata, pero’, capace di prendere il volo, lasciare le regole ordinate della tua vita.
Mi siedo a guardarla distesa sul letto.
- Il tuo principale motivo d’ ansia, l’ ordine, soprattutto costringere gli altri all’ ordine a restringere sempre piu’ gli spazi di liberta’. La paura del disordine come fosse un lupo in agguato pronto a ghermirti.
Silenzio.
- Non ho mai visto, dico, il tuo petto sollevarsi e mai ho sentito il tuo cuore accelerare i battiti e il tuo corpo non e’ mai esploso di piacere. Solo ordinati sospiri. Appagati? Felici? Il tuo amore e’ stato come una zuppa in scatola. Nell’ etichetta una lista di ingredienti ordinati per qualita’. Dentro la scatola pero’ solo frammenti di elementi indistinti che una volta scaldati e messi sul piatto avevano tutti lo stesso sapore. Ne’ buono, ne’ cattivo, semplicemente privo di sapore.
Silenzio. Marion, viso al soffitto dell’ abitacolo, sembra indifferente. Sembra neanche sentire le mie parole.
- Pero’ sono stato bravo, dico. Mentre il rumore del mare, un accompagnamento tranquillizzante, mentre facevi l’ amore liofilizzato in un’ aria, mista e profumata di salmastro, il mio coltello e’ penetrato nel tuo petto, facendomi sentire colto da una bella e intensa sensazione, una piacevole fusione di mente e corpo. Ordinatamente la tua bocca ha emesso un lieve suono di disperazione, un gorgoglio, per non poter piu’ parlare …
Mentre parlo il rumore del mare ora e’ quasi una sensazione subliminale, un delicato pulsare piu’ che un suono.
- Pero’ devi ammettere sono stato bravo. La lama istantaneamente ha reciso gli stami della vita e si e’ sostituita alle parche, e niente sangue a sporcare le immacolate lenzuola del lettino del camper. Il coltello piantato nel tuo petto ha impedito che il sangue uscisse dalla tua materia. Prima di tutto la pulizia come hai sempre ordinato. Ricordi? Ti avevo detto che questa mattina l’ alba somigliava a un sudario. Ho finito, come puoi vedere, si fa per dire. Vado via. Non lascio impronte a sporcare il camper. Ho tolto anche la frutta dal frigorifero. Lo so, non l’ ami fredda. Marion addio.
Lancio un bacio.
- Si’. Chiudero’ la porta per impedire l’ ingresso di formiche e di altri animaletti. Si’. Delicatamente.
Esco. Mi immagino come un evaso che ha scavato un tunnel per mesi, per anni, per decenni, per raggiungere la liberta’. Forse come un minatore che all’ uscita dalla buia galleria trova la luce. Nell’ isola dove e’ sempre accesa la lampada implacabile del sole mediterraneo, or nell’ aria un’ atmosfera gradevole che fa respirare con piacere. Cammino lentamente. Provo un sentimento che mi sembra molto grande, penso che non lo dimentichero’ mai. Sospiro lentamente. Meditazione lenta. Prendo un toscano Garibaldi. Con la fiamma di un accendino scaldo meticolosamente la punta del sigaro e quando comincia a prendere fuoco lo giro piu’ volte tra le dita sino ad ottenere una accensione totale. Tiro una compatta massa di fumo. Cammino. La strada e il panorama sono solo un confuso guazzabuglio di fondali o scenari da film, prima visti scorrere dal finestrino della cabina di guida del camper. Ora la possibilita’ di scoprire gli spazi. Non penso a nulla, semplicemente mi allontano cercando di ricordare me stesso. Mi guardo attorno. Le sensazioni vengono da sole. Strano stato emozionale di pace interiore, lontando dal trambusto e dal torpore del camper. Marion ch’ era una donna d’ ordine aveva un hobby appassionane e pericoloso: Ordinare la vita degli altri. Io che sono un uomo di disordine ho un hobby decadentemente sereno e riposante: la leppa. E’ perfetta! E’ perfetta!
Emma pensa a quegli anni felici. I suoi ricordi sono intrecciati con quelli di Hobbit. Ancora oggi, davanti alla tomba di Hobbit, nel cimitero di Biscuter, non riesce a capacitarsi della sua morte, del suo gesto. Trema. Trema e non è per la temperatura di una giornata di primavera avanzata. Le nocche delle sue dita diventano bianche per la forza con cui stringe i suoi pugni per la rabbia di non essere stata in grado di comprendere quello che Hobbit da tempo aveva deciso. Serra la bocca, sempre più, contorcendola come una smorfia, nello sforzo di controllarsi per non urlare la rabbia, per non inveire contro Hobbit, che l’ aveva lasciata così con il suo gesto insano. Suo malgrado si smarrisce. Il suo corpo è preso da un senso di malessere. Piange sommessamente la sua rabbia e il suo dolore. Torce la bocca, si morde le labbra. Nasconde il viso per non far vedere le lacrime. Lei creatura fantasiosa dalle predisposizioni più disparate che si vedeva mortificare dal peso di quella morte, di cui non aveva colpe. Piange. Non sopporta questa fine della sua storia, del suo amore, della sua nuova vita. Non sopporta di stare sola, senza Hobbit, l’ unico uomo che era riuscito a farla sentire importante, a farla essere donna. Ora piange e si dice che Hobbit non c’ è più. Sola. ‘’Eravamo felici’’ pensa ‘’anche se separati, in due città diverse, eravamo felici nel nostro mondo con fiori di forti colori e profumi intensi, con odori di mari, con sole e nebbia. Eravamo felici perché la nostra vita solitaria si era improvvisamente affollata di emozioni, passioni, desideri. Non capisco, in questa nostra storia, cosa sia logico, e non ho mai provato particolare interesse a definire cosa sia normale. Avrei dovuto prendere il volo e lasciar perdere le regole. ’’ Ricorda. Il tempo ora è come fermato. Sa, è consapevole che non sarebbe più tornato. Le vengono in mente le parole scritte nella lettera d’ addio, trovata con quella indirizzata al giudice che aveva deciso della separazione con la moglie, nell’ ultimo cassetto del comò, fine ‘ 800, nel soggiorno del suo mini appartamento della sua nuova città. Una morte come atto d’ amore per la regina del suo cielo, per il suo fiore. Era come trasognata. Come sempre gli occhi erano intensi e attenti. La sua mente però era lontana, non faceva caso a quel che gli accadeva attorno. Cosa è stato per lei amarlo? Vedere scorrere l’ acqua fra le sue povere dita. Non averlo potuto trattenere tra i palmi delle sue mani. Ora non ignora più l’ assoluta caducità delle cose. Impara che ogni cosa a fine. Solo ora comprende lo sforzo da lui fatto per essere un uomo felice. Il suo desiderio per raggiungere la pace. Invece era arrivato solo al fallimento. A un fallimento catastrofico.
Emma ripensa ai problemi avuti da Hobbit dopo la separazione dalla moglie, che ha messo in luce la sua avidità. Infatti, quella donna ha manifestato il solo suo interesse per i soldi di Hobbit. Mai che abbia avuto un moto di emozione, ma solo ingordigia e voglia di continuare ad umiliare, sputando tutta la sua indifferenza per Hobbit per avere solo soldi. Hobbit, ricorda Emma, pur riconoscendo il ruolo nefasto della moglie nella sua vita, anche in quella occasione si era comportato con signorilità. Lei, invece, con le sue grazie assassine, gli aveva vomitato addosso solo insulti, recitando bene la commedia della donna tradita e abbandonata, ricattando al contempo i figli per non fargli avere rapporti con il padre. Ricorda tutte quelle volte che Hobbit parlando del rapporto con la moglie ha detto di essere stato umiliato, di avere letto spesso nel suo viso lo sguardo ostile, mascherato in grazie assassine. Spesso Hobbit diceva che gli era sembrato di avere vissuto con la moglie da uomo, mentre invece era un cane. La moglie puliva tutto, ordinava, spolverava, ma era arrogante nei comportamenti, incapace di amare, non solo fisicamente. Ripensa a tutte le volte che Hobbit parlando di lei l’ ha paragonata a un angelo dalle ali nera, dal respiro pesante, che sputa tutto il veleno dietro promesse di gentilezza, vuote. Un angelo nero dentro scatole di noia, senza uno straccio di emozioni. Una creatura nefasta, deforme e contorta nella mente, in grado solo di vomitare insulti, nascosti in gentili parole e comportamenti. Buio totale nei rapporti con Hobbit.
Ora che si era scavato da solo tutte le fosse in cui era caduto, giace la, sotto terra, nel freddo della materia. Sfatto come uomo, come corpo, dissolto nella polvere. La rabbia di Emma ora è di non aver compreso la logica di Hobbit, di essere stata incapace di ricevere il suo messaggio di uomo fragile dentro quel corpo forte. Pensa che, forse, arrivare a conoscere la sua contorta personalità avrebbe richiesto molta audacia. Il problema era se, in realtà, fosse stato coscientemente presente o meno nella vita. Fino a quel giorno, maledetto giorno, in cui lui ha staccato, era stato possibile sognare un nuovo futuro, una nuova strada di vita. Ora non più. Forse tutto era già stato deciso e la fine è stampata nel principio. Comprende che Hobbit si era accusato e aveva già giudicato se stesso, e si era già condannato alla massima pena, fissando la data della sua esecuzione, perché sapeva che gli sarebbe stata concessa la grazia. Capisce quanto la strada sia pericolosa. Una strettoia senza appoggi, senza appigli, senza ripari, sopra un profondo burrone. Prima poteva sognare. Ora non più. Merda!
Emma sta per urlare la sua rabbia quando si sente toccare. Intorpidita si gira. È intontita. Allunga una mano. Sente un corpo caldo al suo fianco. Apre gli occhi e nella penombra della camera della loro casa di Biscuter, sul letto, accanto a lei nuda Hobbit, nudo, che ancora addormentato, come suo solito, cerca il contatto fisico con il suo sedere. Emma sorride felice. È stato un sogno, un terribile sogno, cancellato dalla realtà. ‘’Impossibile continuare a dormire’’ dice, dando una serie di baci rapidi, ma intensi, sul viso di Hobbit per svegliarlo. Le labbra di Emma vagano sul corpo del suo compagno, che, adesso, benché sveglio finge di dormire per continuare a ricevere quei caldi e dolci baci di lei. Lo afferra lo tira a se’ e gli da’ un bacio sessuale, un bacio che aveva una sola interpretazione confermata dal calore, dall’ umidita’, dalla percezione della lingua. ‘’Che meraviglia averti qui con me’’ dice Emma a voce alta ‘’mi sento come se tu fossi stato via per molto tempo. Forse è per il brutto, troppo brutto, spaventoso sogno che ho fatto. Ho sognato che ti eri ucciso e io, piena di rabbia ma impotente, stavo ferma, fissa, davanti alla tua tomba. Hobbit non farlo. Non ucciderti. Non lasciarmi. Qualche volta ho paura di quei tuoi momenti di malinconia ‘’. ‘’ Tesoro ‘’ dice Hobbit, aprendo gli occhi e smettendo di far finta di dormire ‘’ sciocchina, non temere, non ti lascerò mai e non ho intenzione di suicidarmi. Sono troppo felice da quando sto con te. Penso sempre che tutte le cose belle che mi stanno capitando sono merito tuo. Non penso di poter mai smettere di amarti e non penso proprio di uccidermi. La vita con te è troppo bella per sciuparla con un insulso suicidio ‘’. Hobbit risponde ai baci di Emma. La sua bocca cerca quella di lei. La trova. Le loro labbra si incollano. Le lingue si cercano. Si trovano. Non si lasciano. ‘’Sei meravigliosa ‘’ continua Hobbit accarezzando il corpo pieno di Emma ‘’ sei adorabile, desiderabile, sensuale, casta. Hai un sorriso incantevole, caldo, sapiente, puro e casto. Mi piace molto stare a guardarti mentre sorridi e vedere il tuo viso illuminarsi. Il tuo corpo e la tua anima mi sono molto cari e non posso farne a meno ‘’. La passione a questo punto li travolge. Uno dei loro modi di eccitarsi è quello di parlare, confidarsi i sentimenti. Ascoltare le loro voci. Amano le loro voci, delicate, profonde, carezzevoli, capaci di suscitare ancora travolgenti, elettrizzanti momenti di sesso. Parlano. Si accarezzano. Continuano a ascoltare rapiti le loro voci. Si toccano lentamente, molto lentamente, delicatamente, con molta dolcezza, per assaporare ogni centimetro dei loro corpi. Le braccia di Emma circondano il corpo di Hobbit, gli accarezzano il petto, le gambe, lo stringono, poi il ventre, la schiena e ancora più giù. Questo toccarsi, come in uno stato di sogno, di fantastico sogno, accentua le emozioni di Hobbit e il suo desiderio di prenderla. Aspirano le proprie fragranze. Il calore dei loro corpi li avvolge. Si baciano. I baci ora sono ardenti. Si mordicchiano le labbra. Lui si china su di lei e la sua bocca torna su quella di Emma. Preme le sue labbra su quelle di lei piene e forti. Hobbit chiude gli occhi e preme il suo viso sul petto di Emma, sul florido seno. La sua bocca scende sul ventre di lei. Con le mani accarezza il volto e i capelli di Emma. Emma passa le sue dita innamorate sui capelli ricci di Hobbit e bacia la sua barba, il suo collo. Il toccarsi in quel modo accentua la loro voglia di amarsi, di prendersi. Succhia il suo pene, lentamente, a fondo e a lungo. Gli cinge i fianchi e appoggia la faccia sul pene palpitante. Lo culla come un bambino. Prima che le scosse dell’ orgasmo possano giungere al centro del suo corpo lo introduce dentro se’. Si prendono con dolcezza, con tenerezza, fino a sfinirsi. Sono uno accanto all’ altra, ebbri di piacere. Gioiosamente felici di essersi ingozzati dei loro corpi. Adesso il braccio destro di Hobbit è sopra di lei con la mano che va ad appoggiarsi sul suo monte di venere. Emma, come sempre dopo aver fatto l’ amore, ha la mano sinistra sotto la natica nuda di Hobbit. Sono immobili ed in silenzio. Non vogliono disturbare il momento magico che li prende. Sono storditi dalla passione. Si guardano negli occhi, limpidi, traboccanti d’ amore e felicità. No, il mondo non era sprofondato. La vita insieme continua.
Emma si scuote finalmente dal ricordo che dolcemente l’ ha presa, allontanandola dalla realtà. Hobbit è morto. Il suo corpo era stato ripescato un paio d’ ore dopo la sua morte, all’ interno della sua mini club man, adagiata sul fondo del mare antistante la banchina n. 8 del porto di Biscuter. Lei stessa ha avvertito la polizia del suo suicidio, vissuto in diretta, al cellulare, mentre lo metteva in atto. Hobbit, infatti, nella sua definitiva decisione, sua estrema scelta, sua terminale follia, l’ aveva chiamata, e aveva descritto la sua ultima azione, tragedia di una follia. La sua pazza corsa sul molo e il tuffo nell’ acqua. Emma, incredula per quanto sentiva, per quello che accadeva, ha ascoltato anche le ultime parole di Hobbit ‘’ lo faccio perché è anche questa una prova d’ amore per te, quando avrò finito, morirò e allora sarò libero, affrancato ‘’, strozzate poi in gola dall’ acqua che inesorabilmente riempiva la sua vetturetta inglese, togliendoli la vita. Emma è rimasta attonita a ascoltare il silenzio. L’ aria le si era offuscata come per la presenza della nebbia. Solo allora si era accorta che il silenzio era diventato enorme, che non esisteva più il mondo intorno a lei. Lascia cadere il telefonino. Resta immobile con un muto urlo di dolore in gola. Non sente più la voce di Hobbit. Rimane in ascolto per qualche minuto. Non sente niente adesso. Tutto attorno a lei è immerso nel silenzio. Ascolta ancora: solo silenzio. Sente di essere sola. Irrimediabilmente. È il momento in cui comprende tutto, sa tutto, e capisce che ogni cosa era stata decisa irrevocabilmente. Poco a poco ritorna in se. Incredula chiama la polizia di Biscuter con l’ inutile speranza che questa storia non sia vera. Ma, sa, con certezza, che purtroppo è stata travolta dalla morte, arrivata senza preavviso. Non ha compreso quel gesto e non capisce quella morte che le sembra una fuga dalle responsabilità della vita. Ricorda di essere stata lei, il giorno dopo, a riconoscere il corpo inanimato di Hobbit. Ora li, davanti alla sua tomba, ricorda. Gli occhi di Emma restano immobilizzati nel silenzio sceso nel camposanto. Li davanti ai suoi piedi, chiuso dentro, imprigionato serrato per sempre c’ è Hobbit con tutti i ricordi. ‘’A cosa mi serve ricordare? ‘’ pensa ‘’ non comprendo più niente . . . ‘’. Ha soltanto voglia di gridare. Vuole fermare la realtà. Questa, invece, la schiaccia con durezza. ‘’Perché? Perché? Perché?, di nuovo sola? ‘’ L’unica risposta a queste domande è la certezza di essere stata buttata come uno straccio vecchio in una pattumiera. Un desolante stato di abbandono. Mille lacrime sono negli occhi di Emma. Piccoli fiori che si sciolgono nella maschera triste del viso, scoprendo le ferite su un’ anima bruciata e tradita dal male oscuro di Hobbit. Eppure lui aveva detto spesso ‘’non ne ho per molto ‘’, ma Emma aveva sempre ritenuta oziosa questa affermazione. Ora sa quanto fosse vera. Un senso di indicibile dolore e delusione. La gola le si serra per un groppo. Lacrime imminenti premono e vogliono uscire in fretta. Perché la vita da sempre questi spintoni: non potrebbe tutto fermarsi per un poco? Da inconsapevole che era diventa consapevole, fin troppo.
- Epilogo –
L’ eternità prosegue
I Campi Elisi non hanno bisogno di essere descritti. Tutti sanno come sono fatti: in un unico paesaggio ogni nostra visione di perfetta beatitudine: quando il sole indugiò più a lungo nel cielo del meriggio, quando il pensiero ( il nemico della vita ) fu abolito. In quell’ immutabile bellezza, che è il ricordo – e che fu bellezza soltanto perché mutò sempre – gli spiriti che amiamo hanno figura e propositi secondo che preferiscono. Qui si può essere vecchi o giovani ( o anche di mezza età ) come si vuole.
He vist els meus pensaments erigir-se en vol sobre distensions d'azur i xafogor... el meu cor ara és més blanc i lleuger. Gavines gallardes com somnis d'estiu juguen dins el blau dels meus ulls... Dins els reflexos del sol hi ha el tresor de la vida que rellisca preciosa sobre la meva pell... Dins l'argent de la lluna hi ha la passio' que rellisca preciosa en la paraula... He vist les meves paraules erigir-se en vol sobre distensions d'azur i xafogor i replegar les ales dins el bressol de la nit.
SULLE ALI DEI PENSIERI
Ho visto i miei pensieri ergersi in volo su distese d'azzurro e afa... il mio cuore ora è più bianco e leggero. Gabbiani leggiadri come sogni d'estate giocano nel blu dei miei occhi... Nei riflessi del sole c'è il tesoro della vita che scivola preziosa sulla mia pelle. Nell'argento della luna c'è la passione che scivola preziosa nella parola... Ho visto le mie parole ergersi in volo su distese d'azzurro e afa e ripiegare le ali nella culla della notte.
Questa è la traduzione in sardo a cura di Giovanni Chessa:
In alas de pessares. Apo idu sos pessos meos pesendesi in bolu in pranos de chelu e d’affogu.... custu coro est como prus alvu e lepiu. Caos marinos in sa muda e su tempus s’apentan in sos ogros meos pintos.. Isperas de sole sun posidos de vida chi illassinan che prendas in sa pedde. Sa prata ‘e sa luna at su sentidu viu e illassinat che prend’in sa paraula... Apo ‘idu sa paraulas meas in bolu in biaitos chelos incaldanados pijende sas alas in su laccheddu ‘e s’intrinada.
I giornali hanno il dovere di informare perché i cittadini hanno il diritto di conoscere e di sapere. La nuova legge sulle intercettazioni telefoniche è incostituzionale, limita fortemente le indagini, vanifica il lavoro di polizia e magistrati, riduce la libertà di stampa e la possibilità di informare i cittadini. Per questo va fermata.
La informiamo, ai sensi dell'art. 13 del d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196 (recante il "Codice in materia di protezione dei dati personali" nel prosieguo, per brevità, il "Codice"), che i dati personali forniti nell'ambito dell'Iniziativa denominata "I giornali hanno il dovere di informare" saranno raccolti e registrati dal Gruppo Editoriale L'Espresso S.p.A. - editore della testata "la Repubblica" - su supporti cartacei, elettronici e/o informatici e/o telematici protetti e trattati con modalità idonee a garantire la sicurezza e la riservatezza nel rispetto delle disposizioni del Codice. La informiamo che i dati fornitici verranno utilizzati unicamente per finalità strettamente connesse e strumentali all'Iniziativa. A tal fine, nell'ambito dell'Iniziativa, i suoi dati potranno essere pubblicati on line sul forum presente su "repubblica.it" mentre i dati non pubblicati verranno immediatamente cancellati e distrutti. Il conferimento dei dati, è necessario al fine di poter partecipare all'Iniziativa. La informiamo che potrà esercitare i diritti previsti dall'art. 7 e seg. del d.lgs. n. 196/2003 (tra cui, a mero titolo esemplificativo, i diritti di ottenere la conferma dell'esistenza di dati che la riguardano e la loro comunicazione in forma intelligibile, la indicazione delle modalità di trattamento, l'aggiornamento, la rettificazione o l'integrazione dei dati, la cancellazione) mediante richiesta rivolta senza formalità al Titolare del trattamento dei dati. Titolare del trattamento dei dati è il Gruppo Editoriale L'Espresso S.p.A., con sede legale in Roma, via Cristoforo Colombo n. 149. L'elenco aggiornato recante i nominativi dei Responsabili del trattamento dei dati è conservato presso gli uffici della predetta sede legale.
Non colui che si alza con il suo lettino e cammina ma quelli che lo conoscono da sempre e che lo portano in giro...
La spalle rotte, un male profondo che scende lungo la curva della schiena piegata e la presa incerta delle mani sulla lettiga. Senza
requie fino a quando non lo inclinano, stretto con le cinghie, per farlo passare sopra le tegole e poi calarlo giu' verso la sua guarigione.
Guardali bene mentre aspettano in piedi che si plachi il bruciore prodotto dalle corde, ancora un po' increduli e quasi storditi, quelli che lo conoscono da sempre.
(traduzione di Luigi Sampietro)
Questi versi inediti (pubblicati nel Sole 24 Ore di domenica 5 luglio 2009) sono di Seamus Heaney, poeta irlandese del Nord e premio Nobel per la letteratura 1995. Sono un inno alle fatiche di coloro che fanno miracoli aiutando il prossimo. A Seamus Heaney, i prossimi 10-11 luglio, a Cetona (Siena), nell' ambito della terza edizione del Premio Cetonaverde 2009, sara' consegnato il Premio internazionale alla carriera. Del poeta irlandese sta per uscire nella collana ''Lo specchio'' di Mondadori l' ultima raccolta di poesie (District e Circe).
- cortronico astratto tridimensionale - maggio 2009 -
- musica di Roberto Zanata -
Il tempo ostinato del brano musicale, che occupa quasi l’intera traccia, è stata una sfida che Tonino Casula ha voluto accettare, pur consapevole del rischio che correva di trovarsi avvolto da una rete di noiose e immotivate ridondanze visive. Solo alla fine del lavoro, come gli capita spesso, ha capito che il filo per tessere non era ancora finito e che il tempo del brano avrebbe potuto indugiare persino più a lungo nella sua ostinazione
Roberto Zanata ha sottolineato che la composizione e' stata frutto di un lavoro a togliere. ''L'ostinato ritmico - ha aggiunto - e' nato dopo aver svuotato il materiale sonoro di tutto cio' che mi e' sembrato nell'elaborazione necessario rifiuto di generalizzare particolarita' timbriche concilianti''.
Cari lettori, ricordate l'incipit di Una storia normale? Lo scrissi il 24 febbraio scorso e adesso pubblico il racconto completo. C'è però una sorpresa. Il racconto non l'ho scritto da sola, ma è il risultato di una esperienza di scrittura creativa collaborativa in rete. In breve, il racconto è stato scritto a quattro mani con altre tre persone, interamente online. E' stata fissata la trama a grandi linee e poi ciascuna autrice si è inserita liberamente sul pezzo dell'altra.
E' stata un'esperienza molto positiva sotto il profilo della cooperazione anche se non semplice da realizzare. Il prodotto giudicatelo voi. I miei pezzi sono: l'incipit (pag. 2 e pag. 3 inclusa la frase "La luce era accesa in cucina mentre fuori, nel portico, era buio"), il contributo di pag. 8 a partire dalla frase "Quella domenica la giornata era incerta, ma i quattro decisero di uscire egualmente in mare", pag. 9 e pag. 10 sino alla frase "...papà non c’è più, di là manca la madre, tu e Francesca amiche… non ti sembra tutto un po’ finto?". E infine il primo finale (da pag. 13 a pag. 15). Sì avete capito bene: i finali sono due!
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