La quercia e la rosa, di Ludovica De Nava

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Storia di un amore importante di Grazia Deledda con lettere autografe. Romanzo di Ludovica De Nava

IN TERRITORIO NEMICO

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Romanzo storico sulla Resistenza di Pier Luigi Zanata e altri 114 scrittori - metodo Scrittura Industriale Collettiva

Dettagli di un sorriso

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romanzo di Gianni Zanata

Il calcio dell' Asino

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Il calcio dell’Asino. Il calvario di un giornale ribelle (1892-1925) e del suo direttore Giovanni de Nava (Giva)

NON STO TANTO MALE

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romanzo di Gianni Zanata

domenica 3 luglio 2011

La confusione della lingua, di Marcello Madau

da il Manifesto Sardo La confusione della lingua

Marcello Madau
Secondo il Signore (Genesi 11, 1-9) i popoli che costruivano la ziqqurat di Babilonia nota come ‘torre di Babele’ parlavano una sorta di LBC (Limba Babilonesa Comuna). Ma fu la presunzione di puntare verso il cielo che scatenò la punizione della confusione delle lingue..
Questo dio del Genesi mi è sempre sembrato discretamente autoritario e dispotico. L’omologazione che produce nel suo infinito pensiero fra multilinguismo e confusione – vecchia idea sumerica – ne è conferma. Peraltro, essendo la sua identità costruita in ambiente sacerdotale ebraico, e antibabilonese, di deportati giudei (molti impiegati come mano d’opera edile assieme ad anatolici, iranici ed aramei, nelle corvèes comandate dal re di Babilonia), vi è il sospetto che non solo non glie ne importasse nulla delle altre lingue – come dopo dimostrerà in Palestina – , ma che il suo obiettivo fosse una LEC (Limba Ebraica Comuna) da imporre almeno tra la Siria e l’Egitto.
Ma lì dominò per secoli una lingua internazionale più efficace come l’aramaico, parlato correntemente persino dal suo stesso figlio nazzareno (poco rispettoso del Padre).
Ogni costruzione centralista e statalista prevede, e tenta, l’imposizione di una lingua. In questo senso la posizione di Dio padre e del re babilonese (nei tempi di scrittura del passo della Genesi, dopo la metà del VI secolo a.C., era Nabucodonosor II) è speculare e analoga, quasi da opposti estremismi.
Vecchissime storie ai tempi dei primi grandi stati territoriali.
Ma se la lingua da imporre non esiste neppure ed è artificiale, la situazione si complica.
Nei tempi della contemporaneità diventa ancora meno legittimata la proposta di una LSC (Limba Sarda Comuna) costruita a tavolino e lingua ‘ufficiale’, che dovrebbe approdare fra poco alla discussione del Consiglio Regionale della Regione Autonoma della Sardegna mediante il “Piano triennale degli interventi di promozione e valorizzazione della cultura e della lingua sarda 2011-2013 (L.R. 15 ottobre 1997 n. 26, art. 12)” (ecco il testo). Per un parere, non vincolante ma della massima importanza, che ci auguriamo almeno corregga la proposta e l’idea stessa della LSC, che rischia di oscurare proprio le diversità che si vogliono tutelare.
Il bilinguismo è una conquista culturale importante, e delicatissima, soprattutto se la parte linguistica non ancora statuale, in questo caso quella sarda, è costituita da un multilinguismo di fatto. Un patrimonio straordinario che rende più ricche e complesse le identità che ormai si costruiscono e propongono in contesti fortemente deterritorializzati e planetari; dove però possono – in una nuova e creativa dimensione globale – portare le proprie ricchezze e far crescere quelle comuni, migliorando, se intese in modo aperto, le relazioni tra persone e popoli.
Le ricchezze culturali richiedono strumenti di salvaguardia e sviluppo attenti e non esclusivisti. I monumenti si proteggono bene se si protegge la rete, e non si ricostruiscono falsi con la scusa dell’anastilosi. Con approcci e metodologie per un patrimonio che parte dai nostri territori ma si definisce su ambiti più vasti. La suggestiva definizione UNESCO “patrimonio dell’umanità” sta per ‘mondiale’.
Può anche aiutarci il raffronto con la biodiversità, espressione di particolarità biologica, spesso culturale, che segna con ricchezza l’ambiente.
Quando noi operiamo la battaglia a favore della biodiversità stiamo operando per scenari più ampi e ricchi, e conosciamo le enormi difficoltà di convivenza assieme ad una cultura dominante OGM, imposta con l’artificiosità del laboratorio, la forza della legge che deposita un brevetto in maniera arbitraria usurpando patrimoni comunitari non brevettabili e attaccandoli sino alle radici.
Aspetti e rischi connessi alla LSC (che mi appare francamente una lingua OGM) sono stati sottolineati da prestigiosi studiosi sardi, linguisti ed antropologi, come Giulio Paulis, Massimo Pittau, Marinella Lörinczi, Giovanni Lupinu Giulio Angioni e Mario Puddu.
Da ultimo con uno sferzante documento in sardo dell’Ateneo sassarese, firmato dal Rettore Attilio Mastino assieme alla Commissione lingua sarda dell’ateneo sassarese, composta da Giovanni Lupinu, Dino Manca, Carlo Schirru, Fiorenzo Toso: definisce la LSC come una limba bodia, chene istoria, chene sambene, chentza bida chi sun fravicande commo in carchi sostre (una lingua vuota, senza storia né sangue né vita che stanno fabbricando ora in qualche sottotetto).
Persino il leader sardista Paolo Maninchedda ha scritto di ‘tirannia della LSC e di “un tentativo di accentramento di potere a favore dello Sportello Linguistico Regionale. A questo si vorrebbero affidare attività di controllo e indirizzo della politica linguistica sarda, allo scopo di omogeneizzare l’attività degli sportelli nonché di regolare le carriere degli operatori della lingua.”.
Nè sarà un caso che i circuiti che hanno prodotto durissime critiche ai cattedratici sardi (in particolare quelli dell’Università di Sassari) che hanno osato ‘dissentire’ dalla LSC sono le stesse di chi non riconosce come sarda la letteratura (e per estensione direi anche la ricerca scientifica) prodotta da sardi ma scritta in italiano o comunque non in sardo.
In un contesto globale dove dinamiche storiche profondamente rivoluzionarie modificano continuamente gli assetti identitari (si vedano ad esempio, “Modernità in polvere” di Arjun Appadurai, o “Connessioni” di Jean-Loup Amselle), spazzando la forma settaria dei nazionalismi, la Sardegna propone spot promozionali deliranti e un piano triennale della lingua e della cultura sarda visti in maniera chiusa, burocratica e profondamente riduttiva.
Il problema non è solo la vera o supposta artificialità della LSC, quanto che essa sia frutto di una concezione statalista e conservatrice, peraltro veicolata da una frazione di forze indipendentiste – a giudicare dagli ultimi risultati elettorali – fortemente minoritarie. Come pensare in queste condizioni di imporre il proprio punto di vista su una legge regionale?
L’apporto dell’indipendentismo democratico e non settario verso la democrazia ‘dal basso’ e una ricchezza identitaria che sfugga miti falsi ed autoritari è certamente positivo, ma penso che oggi la costruzione di spazi democratici richieda, più che tale strumento, una forte spinta verso alleanze vaste ed extranazionali sui temi del lavoro, dell’ambiente, della partecipazione e della non violenza. E della cultura. Che gli attraversamenti dei popoli ed il loro incrociarsi debbano spezzare i confini nazionali e le follie etnocentriche.
In ogni caso nel mondo reale costruire un sistema di salvaguardia della lingua e della cultura sarda basato sulla LSC è un grave errore, di concezione e di tutela.
C’è da auspicare che il dibattito regionale faccia giustizia degli errori ‘in corso d’opera’ e consegni alla cultura sarda la possibilità di godere dell’apporto prezioso ed equilibrato delle diversità linguistiche all’interno del suo più vasto patrimonio culturale.

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