VISIONI
In Egitto i graffiti della rivoluzione
Intervista. Ammar Abo Bakr è l’autore dei tre murales di via Mohammed Mahmud al Cairo, la strada in cui si sono verificati gli scontri più duri tra polizia e manifestanti
Abbiamo incontrato il graffitaro egiziano Ammar Abo Bakr. Il
trentenne vive a West el-Balad (quartiere del centro del Cairo) ed
è autore dei tre più bei graffiti di via Mohammed Mahmud, una delle
strade in cui si sono verificati gli scontri più duri tra manifestanti
e polizia, in particolare nel novembre 2011 quando gli attivisti
protestavano contro la giunta militare, guidata da Hussein Tantawi. Tra
questi graffiti spiccano Il giovane
con gli occhi di pesce, rappresenta uno dei ragazzi — accecato
dai cecchini e coinvolto negli scontri in piazza Tahrir del novembre
2011, e Il
bimbo con il pane a rappresentare
il dramma dei bambini di strada.
L’ultima
creazione in ordine di tempo a via Mohammed Mahmud ritrae il disegnatore
Hisham Rizk, 19 anni, scomparso e poi ritrovato morto nell’obitorio di
Sayeda Zeinab, la scorsa primavera. I graffiti sono diventati uno dei
simboli delle rivolte del 2011. Disegni e murales hanno tappezzato il
centro del Cairo, i ponti e i viadotti della città. Gli artisti
hanno saputo usare il linguaggio della gente comune per riappropriarsi
dello spazio pubblico, senza però dimenticare l’utilità di conquistare le
parole (in arabo classico: per esempio il termine «Giustizia sociale») normalmente
appannaggio del regime che usa la lingua alta. Così migliaia di attivisti
hanno sfidato l’egemonia culturale delle autorità egiziane. I graffiti
sono stati però in parte cancellati nell’autunno del 2012, dopo l’elezione
dell’ex presidente islamista, Mohammed Morsi, per poi ricomparire dopo
il colpo di stato militare e diventare dei veri esemplari d’arte contemporanea.
Secondo i più importanti intellettuali egiziani,i graffiti sono il
principale esito artistico e culturale delle rivolte del 2011.
Hai un
ricordo di Hisham?
Il mio
ultimo lavoro lo raffigura. Era uno dei giovani artisti di maggior
talento. Voleva la rivoluzione non solo sulle mura. Mi ha contattato un
anno fa dicendo che voleva fare graffiti, voleva andare a studiare arte.
E così ha iniziato il primo anno all’Accademia. Ma qualcosa
è andato storto e una campagna contro Hisham è stata avviata
dagli islamisti radicali di Hazimoun. ‘Hisham non è musulmano,
e parla male dell’islam’, dicevano. Certo Hisham tra rivoluzione
e religione avrebbe scelto la prima, ma è un artista e i suoi
amici vengono da tutte le correnti politiche. Era un puro rivoluzionario,
contrario a ogni potere, anche alla religione. Gli islamisti,
dall’inizio delle rivolte, hanno tentato di mescolare le carte e confondere
il movimento. Il nostro giudizio non era certo positivo sul loro conto, ma
non possiamo negare l’estrema ferocia della repressione dell’esercito. Ho
poi voluto affiancare a Hisham delle immagini di statuette funerarie
dell’antico Egitto (lavoro sull’identità egiziana tra antico e moderno),
vorrei dare alla gente lo spazio per pensare di più. Vorrei, come al tempo
degli antichi egizi, che questi idoli della filosofia antica lo accompagnino
nell’altra vita.
Quando hai
iniziato a fare graffiti?
Ho studiato
all’Accademia tra il 1996 e il 2001, ho iniziato a lavorare alla
Facoltà di Arte a Luxor. È molto difficile vivere qui in Egitto,
molti artisti si rifanno troppo alla scena europea e hanno perso la loro
identità. Io faccio ricerca, credo nella gente non nella politica, non amo
la gente di Zamalek (ricco quartiere del centro del Cairo,ndr)
e dell’Opera, gli artisti hanno perso tutto, vendono dipinti ai vecchi
capitalisti. Io vorrei che di arte si parli ovunque, invece si insegna
e la si presenta nelle gallerie ad un pubblico ristretto, un elite.
Nessuno la porta nei quartieri popolari, perché gli artisti sostengono il
regime, sono schierati con loro e non fanno niente per gli egiziani. Ho
iniziato le mie ricerche dieci anni fa, nel 2004, all’inizio della rivoluzione
avevo già raccolto moltissimo materiale, quasi 26 cartelle. Ho passato il
tempo cercando di studiare la gente, passavo tempo per strada e non
intendevo presentare me stesso come rivoluzionario. Sono stato un anno
a dare informazioni sui graffiti rappresentati sulle mura alla gente
che passava per strada, non mi presento mai come artista ma come parte della
rivoluzione che usa l’arte.
Cosa ami del tuo lavoro?
Sono
felice quando finisco un’opera e allora scatto una foto e vedo la
reazione della gente per strada. È impressionante l’interesse della
gente, delle famiglie: uomini, donne, bambini guardano al muro della rivoluzione,
al giornale della rivoluzione. Per me è incredibile. È una vergogna
che gli artisti presentino ancora l’arte nelle gallerie. Certo non sono
contro le gallerie in Europa, ma al Cairo, o Luxor sì. Quello che
dipingo per strada, dopo due mesi, non è mai la fine, ma un altro inizio.
E così ricomincio dall’inizio e faccio qualcosa di meglio, condivido
le mura, non succedeva prima.
Come rappresenti
la società egiziana nelle tue opere?
La società
egiziana ovviamente è una fonte di ispirazione notevole. Hanno accettato
quello che ho fatto sulle mura. Quando a settembre 2012 la polizia ha
pulito parzialmente le pareti, al tempo di Morsi (ex presidente islamista, ndr), la reazione popolare
è stata incredibile. Hanno duramente criticato il governo islamista
e sono scesi tutti per strada contro questa decisione. Dal novembre
2013 abbiamo fatto tanti nuovi graffiti e la polizia non li ha cancellati,
perché temevano un’altra forte reazione.
È vero
quanto dici, ma dopo il golpe del 2013 ogni tentativo di rivolta è stato
come sedato. Si respira quasi un clima di… ’pace’ armata…
Dall’ultima
volta che ho dipinto in via Mohammed Mahmud sono passati sei mesi. Da allora
non ho fatto niente perché avevo paura per me e i miei amici, molti di
loro sono finiti in prigione. L’ultima volta che sono stato lì per dipingere Il giovane con gli occhi di pesce mi sono sentito in pace. Sono tornato
dopo sei mesi solo per dipingere Hisham. Ho capito di aver perso tempo… Mi
sento un po’ come Hanubi, l’uomo che quando qualcuno muore gli prepara la
tomba, rappresentando qualcosa che fa bene alla gente.
Cosa hai
imparato dopo tre anni di rivolte?
Ho capito
che non posso creare niente da solo, solo se sto in mezzo alla gente e la
studio, mi muovo per le strade allora riesco a imparare. Ecco se posso
dare di una definizione di me stesso, mi vedo come uno strumento tra la
gente e il soggetto che ritraggo e non molto più di questo.
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