La disinvoltura delle melanzane.
L’altra domenica mi son svegliato e ho scoperto che il mondo era diventato viola, come una succulenta melanzana. Anzi, il mondo era una melanzana. Una gigantesca bacca, oblunga e arrotondata, con la parte superiore avvolta in un delicato calice verde.
E mi son detto: pensa te, ma guarda un po’ che roba. È un mondo proprio strano, il mondo a melanzana.
Fuori stava albeggiando. Sono andato alla finestra e ho visto sorgere il sole, una ciliegia rubizza e rubiconda. E tutto, anche il cielo, in pochi istanti s’è tinto di magenta. Finché una luce sottile s’è posata dolcemente sulla terra, come una traboccante cascata di glicini. Persino le nuvole erano viola, sembravano tanti fiori di malva ricoperti di ametiste.
Ho chiamato Gina, mia moglie. E le ho detto: Gina, vieni qua, guarda quant’è bello.
Ho chiamato Bice, nostra figlia. E le ho detto: Bice, vieni qua, guarda che meraviglia.
Ho chiamato Fausto, nostro figlio. E gli ho detto: Fausto, vieni qua, guarda che prodigio.
Loro son corsi subito.
Il mondo è melanzana, ho detto dispiegando il braccio verso l’esterno. Mi sentivo fiero, felice e temerario.
Loro niente. Han fatto delle facce come dire: e quindi? Mi han guardato strano, come se fossi un marziano. E se ne sono andati, scuotendo la testa.
Ci son rimasto male.
A loro, evidentemente, sembrava una cosa normale che il mondo fosse melanzana, e tutto il resto. Soltanto a me pareva buffo, stravagante e strampalato.
Pensa te, mi son detto scrutando l’orizzonte di prugna. Vuoi vedere che son l’unico a non sapere che il mondo è sempre stato melanzana?
Be’, voglio capire com’è ‘sta storia, mi son detto.
Così sono andato in bagno, mi son lavato con un sapone al giacinto, ho indossato una camicia che profumava di lavanda e mi sono infilato il cappotto.
Prima di uscire da casa mi son guardato allo specchio.
Avevo quel cappotto da tanti anni, un regalo di Natale. Eppure non avevo mai fatto caso al suo colore. In circostanze diverse l’avrei definito semplicemente un bel cappotto di lana. Adesso, a guardarlo meglio, non solo era un bel cappotto ma aveva anche uno strano alone, una fluorescenza, per così dire. Il tessuto brillava di una strana tonalità al mirtillo, quasi viola.
Pensa te, mi son detto, pure il cappotto.
Mi sono aggiustato il bavero, ho preso l’ombrello e son sceso in strada, curioso di sapere com’era fatto il mondo a melanzana.
La città era un brulichio di uomini e donne che sembravano danzare su tappeti di pervinca. I muri dei palazzi erano rosa, e sui tetti campeggiavano lucenti scritte purpuree. Anche dai giardini si sprigionavano bagliori di sangria. E sulle panchine di radicchio si accucciavano placide famiglie di piccioni fucsia.
Mentre camminavo lentamente verso la periferia, e il sole si sfrangiava in un roboante ciuffo di petali d’iris, m’è venuta un’illuminazione.
Noi siamo il popolo melanzana, mi son detto. Ecco chi siamo.
E ho continuato a camminare. Un passo dopo l’altro, ho attraversato il ponte, là dove finiva la città e iniziava la campagna. E di là dal fiume, tra gli alberi di broccoli e i filari d’uva, ho visto scintillare nella rugiada sterminati campi di fiordaliso.
C’erano anche piccole case di barbabietola sparse sui rilievi delle colline. E tutto intorno degli ossuti spaventapasseri, piantati come tanti stuzzicadenti sul terreno. Dalle zolle arate e fumanti si diffondeva un vago aroma di vinaccia.
Un bel panorama melanzana.
Poi, a certo punto, uno degli spaventapasseri s’è fatto avanti. S’è avvicinato a falcate lunghe e lente. Era un tipo segaligno, dal naso rotondetto, vestito di lillà.
Tu che ci fai qua, m’ha domandato.
Guardo il mondo a melanzana, gli ho detto.
E ti piace?
Sì, gli ho detto.
Perché?
Perché così è più bello.
Più bello di che cosa, m’ha chiesto.
Più bello dell’altro.
Lui è rimasto in silenzio per qualche minuto.
No, m’ha detto alla fine, non è mica vero che il mondo a melanzana è più bello dell’altro.
E ho pensato che a lui, allo spaventapasseri di lillà, io non l’avevo mai visto, nell’altro mondo, perciò non poteva proprio conoscerlo, l’altro mondo.
Ma lui deve avermi letto nel pensiero, perché mi ha sorriso e mi ha detto: guarda che lo conosco bene il tuo mondo.
Dopodiché ha estratto dalla tasca dei pantaloni un fico grosso e maturo e lo ha impugnato come una lampadina. M’ha fissato a lungo.
Chiudi gli occhi e conta fino a dieci, poi riaprili, m’ha detto.
Li ho chiusi. E ho contato fino a dieci.
Quando ho riaperto gli occhi lo spaventapasseri di lillà non c’era più. E il mondo non era più una melanzana.
Ma pensa te, mi son detto, una vera disdetta.
Allora ho preso e son tornato a casa. Mi son sdraiato sul letto e ho dormito un po’.
Al risveglio sono andato in cucina, c’era mia moglie, Gina, che preparava il pranzo. Bice e Fausto non erano ancora rientrati.
Ciao Gina, le ho detto.
Lei m’ha rivolto uno sguardo neutro.
Sai, le ho detto, ho fatto un sogno bislacco. Ho sognato che il mondo era cambiato. S’era trasformato in un’enorme melanzana.
Sai Gina, le ho detto, era proprio un bel sogno, di quelli che ti svegli e stai ancora pensando di sognare. E dopo che hai pensato un po’, ti vien da dire: ma pensa te, che bel sogno.
Lei non ha detto niente. Ha fatto un’espressione come dire: ma dài, vai a lavarti le mani, ché è pronto in tavola.
Allora sono andato in bagno, e mi son lavato le mani.
Quando son tornato in cucina, c’era lo spaventapasseri di lillà che mi fissava da dietro la finestra. Svolazzava tra le nuvole e agitava una mano in segno di saluto. Gli ho fatto ciao con la mano anch’io. Lui è rimasto lì a fissarmi.
Stavo per dirlo a Gina.
Guarda là, stavo per dirle, c’è il mio amico spaventapasseri vestito di lillà.
Invece non le ho detto niente. Non sai mai come può reagire una moglie, a dirle che fuori dalla finestra c’è uno spaventapasseri di lillà che saluta svolazzando tra le nubi.
Son stato zitto, mi son seduto a tavola.
Dopo un po’ Gina ha portato un vassoio. C’era una specie di tortino tagliato a fette.
Cos’è, le ho chiesto.
Sformato di melanzane m’ha detto lei.
Ho fatto finta di niente, ho tirato indietro le labbra.
Beh, perché quella faccia, m’ha chiesto lei.
Niente, le ho detto, lascia stare.
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L’altra domenica mi son svegliato e ho scoperto che il mondo era diventato viola, come una succulenta melanzana. Anzi, il mondo era una melanzana. Una gigantesca bacca, oblunga e arrotondata, con la parte superiore avvolta in un delicato calice verde.
E mi son detto: pensa te, ma guarda un po’ che roba. È un mondo proprio strano, il mondo a melanzana.
Fuori stava albeggiando. Sono andato alla finestra e ho visto sorgere il sole, una ciliegia rubizza e rubiconda. E tutto, anche il cielo, in pochi istanti s’è tinto di magenta. Finché una luce sottile s’è posata dolcemente sulla terra, come una traboccante cascata di glicini. Persino le nuvole erano viola, sembravano tanti fiori di malva ricoperti di ametiste.
Ho chiamato Gina, mia moglie. E le ho detto: Gina, vieni qua, guarda quant’è bello.
Ho chiamato Bice, nostra figlia. E le ho detto: Bice, vieni qua, guarda che meraviglia.
Ho chiamato Fausto, nostro figlio. E gli ho detto: Fausto, vieni qua, guarda che prodigio.
Loro son corsi subito.
Il mondo è melanzana, ho detto dispiegando il braccio verso l’esterno. Mi sentivo fiero, felice e temerario.
Loro niente. Han fatto delle facce come dire: e quindi? Mi han guardato strano, come se fossi un marziano. E se ne sono andati, scuotendo la testa.
Ci son rimasto male.
A loro, evidentemente, sembrava una cosa normale che il mondo fosse melanzana, e tutto il resto. Soltanto a me pareva buffo, stravagante e strampalato.
Pensa te, mi son detto scrutando l’orizzonte di prugna. Vuoi vedere che son l’unico a non sapere che il mondo è sempre stato melanzana?
Be’, voglio capire com’è ‘sta storia, mi son detto.
Così sono andato in bagno, mi son lavato con un sapone al giacinto, ho indossato una camicia che profumava di lavanda e mi sono infilato il cappotto.
Prima di uscire da casa mi son guardato allo specchio.
Avevo quel cappotto da tanti anni, un regalo di Natale. Eppure non avevo mai fatto caso al suo colore. In circostanze diverse l’avrei definito semplicemente un bel cappotto di lana. Adesso, a guardarlo meglio, non solo era un bel cappotto ma aveva anche uno strano alone, una fluorescenza, per così dire. Il tessuto brillava di una strana tonalità al mirtillo, quasi viola.
Pensa te, mi son detto, pure il cappotto.
Mi sono aggiustato il bavero, ho preso l’ombrello e son sceso in strada, curioso di sapere com’era fatto il mondo a melanzana.
La città era un brulichio di uomini e donne che sembravano danzare su tappeti di pervinca. I muri dei palazzi erano rosa, e sui tetti campeggiavano lucenti scritte purpuree. Anche dai giardini si sprigionavano bagliori di sangria. E sulle panchine di radicchio si accucciavano placide famiglie di piccioni fucsia.
Mentre camminavo lentamente verso la periferia, e il sole si sfrangiava in un roboante ciuffo di petali d’iris, m’è venuta un’illuminazione.
Noi siamo il popolo melanzana, mi son detto. Ecco chi siamo.
E ho continuato a camminare. Un passo dopo l’altro, ho attraversato il ponte, là dove finiva la città e iniziava la campagna. E di là dal fiume, tra gli alberi di broccoli e i filari d’uva, ho visto scintillare nella rugiada sterminati campi di fiordaliso.
C’erano anche piccole case di barbabietola sparse sui rilievi delle colline. E tutto intorno degli ossuti spaventapasseri, piantati come tanti stuzzicadenti sul terreno. Dalle zolle arate e fumanti si diffondeva un vago aroma di vinaccia.
Un bel panorama melanzana.
Poi, a certo punto, uno degli spaventapasseri s’è fatto avanti. S’è avvicinato a falcate lunghe e lente. Era un tipo segaligno, dal naso rotondetto, vestito di lillà.
Tu che ci fai qua, m’ha domandato.
Guardo il mondo a melanzana, gli ho detto.
E ti piace?
Sì, gli ho detto.
Perché?
Perché così è più bello.
Più bello di che cosa, m’ha chiesto.
Più bello dell’altro.
Lui è rimasto in silenzio per qualche minuto.
No, m’ha detto alla fine, non è mica vero che il mondo a melanzana è più bello dell’altro.
E ho pensato che a lui, allo spaventapasseri di lillà, io non l’avevo mai visto, nell’altro mondo, perciò non poteva proprio conoscerlo, l’altro mondo.
Ma lui deve avermi letto nel pensiero, perché mi ha sorriso e mi ha detto: guarda che lo conosco bene il tuo mondo.
Dopodiché ha estratto dalla tasca dei pantaloni un fico grosso e maturo e lo ha impugnato come una lampadina. M’ha fissato a lungo.
Chiudi gli occhi e conta fino a dieci, poi riaprili, m’ha detto.
Li ho chiusi. E ho contato fino a dieci.
Quando ho riaperto gli occhi lo spaventapasseri di lillà non c’era più. E il mondo non era più una melanzana.
Ma pensa te, mi son detto, una vera disdetta.
Allora ho preso e son tornato a casa. Mi son sdraiato sul letto e ho dormito un po’.
Al risveglio sono andato in cucina, c’era mia moglie, Gina, che preparava il pranzo. Bice e Fausto non erano ancora rientrati.
Ciao Gina, le ho detto.
Lei m’ha rivolto uno sguardo neutro.
Sai, le ho detto, ho fatto un sogno bislacco. Ho sognato che il mondo era cambiato. S’era trasformato in un’enorme melanzana.
Sai Gina, le ho detto, era proprio un bel sogno, di quelli che ti svegli e stai ancora pensando di sognare. E dopo che hai pensato un po’, ti vien da dire: ma pensa te, che bel sogno.
Lei non ha detto niente. Ha fatto un’espressione come dire: ma dài, vai a lavarti le mani, ché è pronto in tavola.
Allora sono andato in bagno, e mi son lavato le mani.
Quando son tornato in cucina, c’era lo spaventapasseri di lillà che mi fissava da dietro la finestra. Svolazzava tra le nuvole e agitava una mano in segno di saluto. Gli ho fatto ciao con la mano anch’io. Lui è rimasto lì a fissarmi.
Stavo per dirlo a Gina.
Guarda là, stavo per dirle, c’è il mio amico spaventapasseri vestito di lillà.
Invece non le ho detto niente. Non sai mai come può reagire una moglie, a dirle che fuori dalla finestra c’è uno spaventapasseri di lillà che saluta svolazzando tra le nubi.
Son stato zitto, mi son seduto a tavola.
Dopo un po’ Gina ha portato un vassoio. C’era una specie di tortino tagliato a fette.
Cos’è, le ho chiesto.
Sformato di melanzane m’ha detto lei.
Ho fatto finta di niente, ho tirato indietro le labbra.
Beh, perché quella faccia, m’ha chiesto lei.
Niente, le ho detto, lascia stare.
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