Le porte sbattono quando c’è troppo vento.
Devo mettermi in testa che certe volte è meglio che me ne stia zitto, che non fiati, che stia in silenzio. Zitto zitto. Ma non zitto zitto come se fossi impaurito o mortificato. Come se volessi dire e non dire. No. Proprio zitto. Muto. Zitto Zitto. Ma non zitto zitto come se non volessi farmi notare. Come se volessi defilarmi. No. Proprio zitto. Muto. In silenzio. Zitto zitto. Come l’olio. Che non so perché si dica zitto come l’olio. Ma rende l’idea. Zitto zitto. Anzi, zittissimo. Devo mettermi in testa che certe volte è meglio che mi metta a contare sino a dieci, prima di parlare. Anche sino a cento. Che ce ne vuole a contare sino a cento. A volte anche un paio di minuti, per non dire di più. Che se uno conta molto, ma molto lentamente, ce ne vuole a contare sino a cento. Figurarsi sino a mille. Che se uno conta molto, ma molto lentamente, ce ne vuole a contare sino a mille. A volte anche un quarto d’ora. Zitto. Muto. Un quarto d’ora a contare. Zittissimo. In silenzio. Ma non in silenzio come chi tace acconsente. No. Proprio zitto. Muto. Zitto zitto. Quel genere di silenzio che, dopo un po’ che te ne stai zitto, muto, zitto zitto, a non dire nulla, non fiatare e contare sino a mille, la prima cosa che ti viene da pensare è: mi sa che parlo.
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