Autunno alla riscoperta delle fiabe
Donzelli propone ora le fiabe calabresi di Letterio Di Francia
Sempre alla ricerca di romanzo che riesca a coinvolgerci, per i week end di autunno si potrebbe pensare a una sorta di pausa, in cui lasciarsi andare alla scoperta della storia classica, quella esemplare e catartica delle fiabe, con la loro apparente leggerezza, con le loro invenzioni e magie che, se vogliamo, riescono ancora a stupirci e magari, se lette ad alta voce, a unire grandi e piccini durante queste ultime sere di vacanza, prima del rientro. Ecco quindi uscire a proposito la raccolta di fiabe e novelle calabresi firmata da Letterio Di Francia, grande studioso della nostra novellistica e che, nella natia Palmi, cominciò a raccogliere in famiglia e poi in giro i racconti tradizionali che pubblica nel 1929 e ristampa arricchite nel 1935, cinque anni prima di morire e che il suo libro finisse nell'oblio.
A recuperarlo per noi la Donzelli, in un'edizione con il testo originale e, in contemporanea, questa solo con le traduzioni italiane di Bianca Lazzaro e le belle illustrazioni di Fabian Negrin, cui ci hanno abituati i volumi di fiabe, a cominciare da quelle popolari del Pitrè, sino a Grimmm e Andersen, che ha cominciato a riproporre questo editore.
Una raccolta affascinante e semplice nel suo raccontare, che va da favole che hanno echi di altre celebri, come ''Il mercante e la figlia'' derivata liberamente dalla classica ''Pelle d'asino'' di Perrault a quel ''Re Pepe'' che dà ora il saporito titolo al volume. Protagonista, come nella più parte di queste favole, sono figure femminili, e femminili in maggioranza le narratrici, quei nomi che Di Francia mette alla fine di ogni pezzo per dar testimonianza alla voce e fantasia di chi gliela ha raccontata (''Annunziata Palermo, la più eloquente e sicura delle mie collaboratrici''). E la figlia di un re vedovo diviene anche l'autrice del proprio marito, di quel Re Pepe coprotagonista della sua avventura, che lei si impasta e modella pazientemente per dodici mesi con un quintale di farina e un quintale di zucchero, facendolo e difancendolo ''sinchè gli piacque, perciò gli mise un peperoncino rosso come bocca e poi lo sistemò in una nicchia del muro'' incominciando a lavorare per farlo parlare. Il problema è che un marito di tal fatta basta una bella folata di vento che se lo porta via e allora, per arrivare al lieto fine, ci vorrà molta pazienza.
Palmerino, Rotilio, Prezzemolina, ma anche il classico Giufà, sono tra i nomi dei protagonisti di queste storie, cui sono accanto appellativi più quotidiani, da Mariuccia a Fiorella, sempre con contorno di cattivi, di briganti e draghi, oltre a fontane portentose e animali magici: insomma tutti gli ingredienti che possono farci ritrovare il tempo in cui leggevamo storie come queste e riportarci fuori del tempo, ma sempre con un piccolo insegnamento, quando non una morale nel lieto fine, superati tutti i pericoli d'obbligo, proprio come nella vita.
Letterio Di Francia si laureò alla Normale di Pisa sulle novelle del Sacchetti, fu insegnante, etnografo e letterato e sono suoi i due ancora fondamentali volumi nella collana enciclopedica Vallardi su ''La novellistica'' italiana del 1925.
Le sue raccolte di fiabe originali sono in calabrese e questa traduzione in italiano della Lazzaro, che firma anche una bella introduzione, ne restituiscono l'immediatezza che incanta, l'incedere orale e affabulatorio con tutte le inesattezze e le sgrammaticature che le hanno dato i raccontatori primari.
Allora, anche in questo caso, possiamo dire: ''Loro si divertirono con suoni e canti / e noi restiamo qui a mani vacanti'', come recita uno dei distici conclusivi di alcune delle favole.
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