Cultura
“Non sto tanto male”
Quella carogna
del direttore,
uno come noi
Giovedì 05 maggio 2011
È una delle regole di ferro della narrativa. E infatti funziona da più di duemila anni, da quando Terenzio con quel suo humani nihil a me alienum puto decretò che non c'è perfido, crudele zozzone in cui non ci si possa identificare. Perché quel malvagio è umano come noi, e almeno una nostra parte, un nostro spicchio oscuro condivide le sue pulsioni ignobili. E se è valso per il killer di “American Psyco”, se abbiamo sentito affine il nazista delle “Benevole” (che non a caso salutava i lettori con un “Fratelli umani, lasciate che vi racconti”), allora ci si potrà sentire affratellati anche a Valdo Norman, il direttore di giornale spregevole, maniacale e arido che Gianni Zanata ha scelto come protagonista del suo “Non sto tanto male” (Quarup editore, 96 pagine, 12,90 euro).
Pur essendo giornalista (è caposervizio del tg di Sardegna 1), Zanata non cede alla tentazione di fare del direttore e della sua redazione macchiette folk, riassuntini delle pecche e dei luoghi comuni che martirizzano la professione. Il suo secondo romanzo (dopo “Prestami una vita”) è la storia di una carogna che dirige un giornale, certo, e lo fa senza rispetto di sé, del mestiere e dei colleghi, ma il punto non è questo. Potrebbe essere il boss di un'azienda tessile, o il socio anziano di uno studio legale. Il punto è il suo essere gelidamente, fastidiosamente uno di noi.
Spregevole ma romantico, sa inciampare in un tenero e stralunato incidente sentimentale. Odioso ma vulnerabile, vive assediato da fobie angosciose e cerca rifugio in un bunker di abitudini, rituali, pranzi rigorosamente a base di fritti e insalatine, alienati struggimenti davanti al fluire vellutato, innocente del detersivo azzurro nel candore del lavandino. Perché le tecniche di autorassicurazione ognuno se le crea come gli pare. Le paure purtroppo no: «Le paure, si sa, mica te le puoi scegliere. Sono loro che scelgono te». Disgustoso e psicolabile, ma a modo suo sensibile, pronto a turbarsi per un ricordo, un'evocazione, un suggerimento sensoriale. Appena può si immerge in un sentiero di fragranze che lo riportano all'età felice, e sceglie il Vetril come una sorta di madeleine proustiana che, nel giro di due o tre annusate, lo spedisce dritto in un pomeriggio d'infanzia, quando se ne sta spensierato all'ombra della mamma che - in piedi sulla sedia - strofina e pulisce le finestre. Con un linguaggio molto efficace, in particolare nei dialoghi, e con un'attenzione documentaristica alla degenerazione paranoide che va a braccetto con sprazzi improvvisi di umorismo, Zanata ci porta per mano sul sentiero di un piccolo carnefice aziendale che va di terrore in amarezza, di spavento in speranza immerso in una totale, bizzarra solitudine.
E poi la pace. Dove tutto è bianco e perfetto, dove finalmente possono uscire le paure e le angosce di una vita. E tutto può essere finalmente lasciato libero di fluire.
Celestino Tabasso
Pur essendo giornalista (è caposervizio del tg di Sardegna 1), Zanata non cede alla tentazione di fare del direttore e della sua redazione macchiette folk, riassuntini delle pecche e dei luoghi comuni che martirizzano la professione. Il suo secondo romanzo (dopo “Prestami una vita”) è la storia di una carogna che dirige un giornale, certo, e lo fa senza rispetto di sé, del mestiere e dei colleghi, ma il punto non è questo. Potrebbe essere il boss di un'azienda tessile, o il socio anziano di uno studio legale. Il punto è il suo essere gelidamente, fastidiosamente uno di noi.
Spregevole ma romantico, sa inciampare in un tenero e stralunato incidente sentimentale. Odioso ma vulnerabile, vive assediato da fobie angosciose e cerca rifugio in un bunker di abitudini, rituali, pranzi rigorosamente a base di fritti e insalatine, alienati struggimenti davanti al fluire vellutato, innocente del detersivo azzurro nel candore del lavandino. Perché le tecniche di autorassicurazione ognuno se le crea come gli pare. Le paure purtroppo no: «Le paure, si sa, mica te le puoi scegliere. Sono loro che scelgono te». Disgustoso e psicolabile, ma a modo suo sensibile, pronto a turbarsi per un ricordo, un'evocazione, un suggerimento sensoriale. Appena può si immerge in un sentiero di fragranze che lo riportano all'età felice, e sceglie il Vetril come una sorta di madeleine proustiana che, nel giro di due o tre annusate, lo spedisce dritto in un pomeriggio d'infanzia, quando se ne sta spensierato all'ombra della mamma che - in piedi sulla sedia - strofina e pulisce le finestre. Con un linguaggio molto efficace, in particolare nei dialoghi, e con un'attenzione documentaristica alla degenerazione paranoide che va a braccetto con sprazzi improvvisi di umorismo, Zanata ci porta per mano sul sentiero di un piccolo carnefice aziendale che va di terrore in amarezza, di spavento in speranza immerso in una totale, bizzarra solitudine.
E poi la pace. Dove tutto è bianco e perfetto, dove finalmente possono uscire le paure e le angosce di una vita. E tutto può essere finalmente lasciato libero di fluire.
Celestino Tabasso
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