Dicembre.
Stanotte ho sognato un sogno in cui perdevo tempo a fare cose che non servivano. Proprio cose inutili. Cose che non servirebbero nemmeno se a qualcuno servissero cose inutili, ché a volte capita.
Poi al risveglio m’è rimasto un po’ di sogno aggrappato ai pensieri.
Il pensiero di dicembre, per esempio.
Dicembre non è stato. Non è stato niente.
Non è stato per tanti motivi che nemmeno so. Forse non è stato perché non doveva essere, e basta. Era proprio destino che non fosse, dicembre. Poi, va’ a sapere. Le cose finiscono per non essere anche quando sono lì, evidenti nella loro essenza. Le cose finiscono per essere sempre un’altra cosa, non sono mai ciò che sono.
Dicembre non è stato perché ce ne saremmo accorti, se avesse voluto essere. Non sarebbe passato inosservato. Avrebbe lasciato un’impronta di sé.
Invece. Non ne ho visto, di impronte. Nemmeno una.
Dicembre non è stato avaro. Non è stato generoso. Non è stato giusto. Non è stato sbagliato.
Non è stato. Non è stato niente.
Stanotte ho sognato un sogno in cui perdevo tempo a fare cose che non servivano. Non sarebbero servite nemmeno nella vita reale, figurarsi in un sogno. Cose inutili.
Poi al risveglio m’è venuto voglia di fischiettare la colonna sonora del film “Il Padrino”. Ce l’avevo in testa, quella musica. Non saprei dire come e perché.
I risvegli sono come le ferite. A volte il dolore può essere fastidioso, quando non orribile o vorace.
Poi al risveglio m’è rimasto un po’ di sogno aggrappato ai pensieri.
Il pensiero di dicembre, per esempio.
Dicembre non è stato. Non è stato niente.
Non è stato per tanti motivi che nemmeno so. Forse non è stato perché non doveva essere, e basta. Era proprio destino che non fosse, dicembre. Poi, va’ a sapere. Le cose finiscono per non essere anche quando sono lì, evidenti nella loro essenza. Le cose finiscono per essere sempre un’altra cosa, non sono mai ciò che sono.
Dicembre non è stato perché ce ne saremmo accorti, se avesse voluto essere. Non sarebbe passato inosservato. Avrebbe lasciato un’impronta di sé.
Invece. Non ne ho visto, di impronte. Nemmeno una.
Dicembre non è stato avaro. Non è stato generoso. Non è stato giusto. Non è stato sbagliato.
Non è stato. Non è stato niente.
Stanotte ho sognato un sogno in cui perdevo tempo a fare cose che non servivano. Non sarebbero servite nemmeno nella vita reale, figurarsi in un sogno. Cose inutili.
Poi al risveglio m’è venuto voglia di fischiettare la colonna sonora del film “Il Padrino”. Ce l’avevo in testa, quella musica. Non saprei dire come e perché.
I risvegli sono come le ferite. A volte il dolore può essere fastidioso, quando non orribile o vorace.
Dicembre (2).
Ti parlo d’amore, se vuoi.
Sì, ti parlo d’amore.
Sì, ti parlo d’amore.
Sai com’è l’amore?
L’amore è come un uovo in un pentolino d’acqua che bolle sul fuoco. Se resta a bollire troppo, diventa sodo.
L’amore è come un uovo in un pentolino d’acqua che bolle sul fuoco. Se resta a bollire troppo, diventa sodo.
Ti parlo degli sbagli, se vuoi.
Sì, ti parlo degli sbagli.
Sì, ti parlo degli sbagli.
Sai cos’è uno sbaglio?
Lo sbaglio è uno spazio dove il tempo muta pelle e diventa giudice di se stesso.
Lo sbaglio è uno spazio dove il tempo muta pelle e diventa giudice di se stesso.
E ora dimmi se posso andare via.
Posso andare via?
Grazie.
Ché ho voglia di giocare con uno di quegli aeroplani che si trasformano in robot.
Posso andare via?
Grazie.
Ché ho voglia di giocare con uno di quegli aeroplani che si trasformano in robot.
Dicembre (3).
Il telefono squilla. Con una certa insistenza.
Lo lascio squillare. Poi non squilla più.
Mi alzo e vado alla finestra. Guardo il cielo, le facciate dei palazzi, il cortile di fronte. Piove.
Da questa finestra si vede un pezzo di realtà, sempre la stessa, immutabile. Solo due gatti, sdraiati sul cofano di un’auto, sembrano volermi raccontare un’altra storia, oggi.
Mi viene da pensare che un giorno o l’altro potrei decidere di andar via e di non tornare più. Un giorno o l’altro.
Fuori fa freddo. Chiudo la finestra. Mi preparo un caffè. Metto la caffettiera sul fuoco.
Un istante dopo il telefono riprende a squillare.
Lo lascio squillare. Poi non squilla più.
Domani mattina andrò al porto, penso. Guarderò le navi partire. Ascolterò il verso dei gabbiani. Fumerò. Fumerò più forte. Fumerò fino a stare male.
Lo lascio squillare. Poi non squilla più.
Mi alzo e vado alla finestra. Guardo il cielo, le facciate dei palazzi, il cortile di fronte. Piove.
Da questa finestra si vede un pezzo di realtà, sempre la stessa, immutabile. Solo due gatti, sdraiati sul cofano di un’auto, sembrano volermi raccontare un’altra storia, oggi.
Mi viene da pensare che un giorno o l’altro potrei decidere di andar via e di non tornare più. Un giorno o l’altro.
Fuori fa freddo. Chiudo la finestra. Mi preparo un caffè. Metto la caffettiera sul fuoco.
Un istante dopo il telefono riprende a squillare.
Lo lascio squillare. Poi non squilla più.
Domani mattina andrò al porto, penso. Guarderò le navi partire. Ascolterò il verso dei gabbiani. Fumerò. Fumerò più forte. Fumerò fino a stare male.
Dicembre (4).
Sfogliando i quotidiani on line, oggi ho letto che a Washington, negli USA, hanno esploso alcuni colpi d’arma da fuoco contro un Babbo Natale che consegnava doni.
L’uomo, vestito da Santa Claus, stava portando regali ai bambini bisognosi della città.
L’uomo, vestito da Santa Claus, stava portando regali ai bambini bisognosi della città.
Io, dopo aver letto questa notizia, ho pensato che se anche arrestassero l’aggressore, cioè il tizio che ha sparato, beh non so quanto potrebbe reggere l’accusa di tentato omicidio.
Babbo Natale, lo sanno tutti, non esiste. Quale giudice si prenderebbe la briga di incriminare qualcuno per aver sparato a una persona che non esiste?
Babbo Natale, lo sanno tutti, non esiste. Quale giudice si prenderebbe la briga di incriminare qualcuno per aver sparato a una persona che non esiste?
Dicembre (5).
Dicembre è il mese che uno può sempre dire Dài che è passato un anno, se ne sta andando.
Dicembre è il mese che uno può sempre dire Dài che ne arriva un altro, di anno, un altro che sarà migliore.
E buttar giù una lista di buoni propositi.
E pensare che Ma sì, le cose non andranno male.
E dispensare sorrisi convinti e verbi coraggiosi.
A dicembre. Convinti e coraggiosi.
Finché dura. Ché poi viene gennaio. Il mese che uno finisce sempre per dire Beh, quasi quasi era meglio prima.
Dicembre è il mese che uno può sempre dire Dài che ne arriva un altro, di anno, un altro che sarà migliore.
E buttar giù una lista di buoni propositi.
E pensare che Ma sì, le cose non andranno male.
E dispensare sorrisi convinti e verbi coraggiosi.
A dicembre. Convinti e coraggiosi.
Finché dura. Ché poi viene gennaio. Il mese che uno finisce sempre per dire Beh, quasi quasi era meglio prima.
Dicembre (6).
Dicembre è il mese che comunque sia, frulla che ti rifrulla, qualche idea di fine anno arriva, non c’è niente da fare.
Un dicembre di molti anni fa, per esempio, mi misi in testa di iniziare l’anno nuovo con un’idea che avevo maturato dopo aver letto un racconto pubblicato su una rivista di cucine e arredamento. L’idea in sé non è che fosse originale. Ma mi sembrava una buona idea, un buon proposito, più che altro.
L’idea era quella di scattare una foto al giorno per tutti i 365 giorni del nuovo anno. In tal modo, a fine anno, avrei potuto mettere in sequenza cronologica le 365 foto, una dietro l’altra, un secondo ciascuna, e realizzare un filmato di 365 secondi che raccontasse la storia di un anno.
Decisi di mettere in pratica l’idea. Ma la cosa durò soltanto qualche settimana. Già a metà gennaio avevo saltato qualche giorno. Mi ero dimenticato di scattare, o semplicemente non ne avevo avuto voglia, oppure non avevo trovato niente di interessante da fotografare.
Non era certo l’idea a essere sbagliata, benché poco originale. Il problema non era l’idea. Il problema ero io.
E insomma.
Così vanno le cose.
Ci sono idee buone che camminano su gambe sbagliate. E viceversa.
Io non lo so com’è che certe idee mi frullino a dicembre, proprio non lo so.
Un dicembre di molti anni fa, per esempio, mi misi in testa di iniziare l’anno nuovo con un’idea che avevo maturato dopo aver letto un racconto pubblicato su una rivista di cucine e arredamento. L’idea in sé non è che fosse originale. Ma mi sembrava una buona idea, un buon proposito, più che altro.
L’idea era quella di scattare una foto al giorno per tutti i 365 giorni del nuovo anno. In tal modo, a fine anno, avrei potuto mettere in sequenza cronologica le 365 foto, una dietro l’altra, un secondo ciascuna, e realizzare un filmato di 365 secondi che raccontasse la storia di un anno.
Decisi di mettere in pratica l’idea. Ma la cosa durò soltanto qualche settimana. Già a metà gennaio avevo saltato qualche giorno. Mi ero dimenticato di scattare, o semplicemente non ne avevo avuto voglia, oppure non avevo trovato niente di interessante da fotografare.
Non era certo l’idea a essere sbagliata, benché poco originale. Il problema non era l’idea. Il problema ero io.
E insomma.
Così vanno le cose.
Ci sono idee buone che camminano su gambe sbagliate. E viceversa.
Io non lo so com’è che certe idee mi frullino a dicembre, proprio non lo so.
Dicembre (7).
“Andiamo, andiamo”, mi diceva lei. Che pure se non sapevo dove volesse andare, io con lei sarei andato ovunque.
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