CULTURA
Lo sciame proletario di Valerio Evangelisti
Narrativa. «Il sole dell’avvenire. Chi ha del ferro ha del pane» di Valerio Evangelisti . Dalla settimana rossa al fascismo. Secondo appuntamento con la storia del movimento operaio
Una frase di Louis-Auguste Blanqui fa da sottotitolo
al secondo volume di Il
sole dell’avvenire (Mondadori, pp. 536, euro 18), la saga di Valerio
Evangelisti dedicata alle profonde trasformazioni che hanno attraversato
l’Italia e non solo a partire dalla seconda metà dell’Ottocento. La
frase in questione è «Chi ha del ferro ha del pane». E, se da un lato sembra
riferirsi alla dimensione più strettamente politica dei conflitti di
classe e sociali, richiamando questioni quale la necessità di organizzarsi
e l’utilizzo della violenza rivoluzionaria, dall’altro, per l’uso che
ne è stato fatto molti anni dopo che il rivoluzionario francese
l’aveva pronunciata, ha acquistato, suo malgrado, un carattere quanto meno
ambiguo. Le parole di Blanqui, infatti, campeggiavano sulla testata del
«Popolo d’Italia», il giornale fondato da Benito Mussolini, dapprima per
diffondere le idee interventiste e divenuto poi, dal 1922, l’organo
del partito nazionale fascista.
E il periodo storico in cui sono ambientate le
vicende narrate nel libro sembra caratterizzato proprio dal crescere,
radicarsi delle lotte di braccianti, contadini e proletari
e dall’emergere poi della minaccia fascista. Tutto si svolge nei primi
vent’anni del Novecento. Sono gli anni della Settimana rossa, della Prima
guerra mondiale, della Rivoluzione russa, del Biennio rosso. Ma sono al contempo
anche gli anni del nazionalismo e della nascita delle squadracce fasciste.
E sono inoltre anche gli anni in cui il partito socialista raggiunse
a livello elettorale i suoi più ampi successi, ma, nello stesso
tempo, mostrò quanto fosse diviso al suo interno tra riformisti, sindacalisti
rivoluzionari, intransigenti, integralisti. Insomma, come dice Evangelisti:
«una geografia complessa, che la base degli iscritti non afferrò bene». Una
base che invece «badava al concreto: le lotte, il salario, l’orario di
lavoro» e che inventava e metteva in opera nuove forme di lotta
come il sabotaggio e riusciva a creare reti di relazioni
e di solidarietà che non limitavano al solo livello locale
i momenti di ribellione.
Tra passato e presente
Il tutto narrato, come nel volume precedente, dal
punto di vista delle classi basse, braccianti, operai agricoli, proletari.
La narrazione segue le vicende dei figli e dei nipoti dei protagonisti
del precedente volume. Ritroviamo ancora una volta, dunque, gli esponenti
delle famiglie Menguzzi e Verardi. E attraverso di loro diventa
possibile seguire, principalmente dal territorio emiliano-romagnolo, il
susseguirsi degli avvenimenti che hanno caratterizzato quel periodo storico.
Ed è una lettura viva e appassionante grazie soprattutto alla
maestria della scrittura di Valerio Evangelisti e alla sua perfetta
padronanza delle tecniche romanzesche.
Ancora una volta, insomma, le idee dell’autore sulla
letteratura di genere e su quella mainstream – e sui loro rapporti – espresse in tante pagine
di riflessione letteraria, trovano una perfetta applicazione in un
romanzo appassionante e ricco disuspence come i migliori
noir o la fantascienza più innovativa e, allo stesso tempo, gli argomenti
trattati e il modo in cui sono affrontati spinge i lettore ad
interrogarsi, a riflettere su tematiche che non sembrano assolutamente
confinate al periodo storico trattato. Già perché problemi come la disoccupazione,
la precarietà, l’attacco a diritti che parevano acquisiti grazie
a lotte anche dure non sono soltanto eventi di un passato lontano, ma
si ripropongono con tutta la loro virulenza nel nostro presente che proprio
per questo non può essere un presente senza storia.
Non solo, anche le indecisioni, i tentennamenti,
le divisioni del partito che rappresentava gli interessi dei lavoratori
sembrano parlarci direttamente. Ed appaiono ancora più drammatiche
a confronto con i livelli di azione e di consapevolezza raggiunti
da operai e contadini che erano capaci, con i cosiddetti
«cicloni», di calare in sciami «in bicicletta sui poderi esigendo immediati
aumenti di salario. Non erano sindacalisti rivoluzionari e nemmeno
anarchici o socialisti di qualche scuola più o meno estrema. Somigliavano
a un fenomeno naturale». E uno dei personaggi, Canzio,
all’inizio del libro, quasi presagendo quello che accadrà in seguito,
afferma: «Noi stiamo buoni e quelli ci ammazzano. Se non ricevono una
sana lezione fanno quello che vogliono. Non avete notato che da quando Bresci
ha sparato al re, di stragi non ce ne sono più state? Quando hanno paura loro,
abbiamo meno paura noi».
Libro importante, spesso duro e drammatico, Chi ha del ferro ha del panerifugge, come nello stile dell’autore, da qualunque
patetismo e anzi appare spesso attraversato da venature comiche,
nelle situazioni, nei personaggi, nelle reazioni agli eventi. Evangelisti,
inoltre, riesce a rendere davvero tutta la complessità dei fatti
mostrando anche le contraddizioni, i cambiamenti, le ambiguità che
determinano i comportamenti dei vari personaggi causando mutamenti
profondi nell’animo, nell’ideologia, nelle azioni, nello schieramento politico
di vari personaggi.
Il libro è assolutamente conchiuso e può
essere letto da solo senza bisogno di conoscere il precedente. Anche questa
volta, inoltre, è suddiviso in tre parti, ognuna dedicata a un
personaggio. Questa volta si tratta di Eleuteria, Aurelio e Narda.
Due donne e un uomo, come si vede, e, occorre sottolinearlo, sono proprio
le donne a svolgere un ruolo centrale nello sviluppo della storia.
Tanto che sarà proprio quella a prima vista più fragile, Narda,
a rivelare nei fatti un carattere eroico.
Nodi irrisolti
Tra i tanti personaggi davvero molto riusciti,
occorre almeno sottolineare la figura di Cincin, comico, picaresco, in
grado di caversela in qualunque situazione, altruista, determinato, affidabile,
insomma dalle mille sfaccettature. Così come, augurandosi che ci sia
e arrivi presto la terza parte della saga, sembra addirittura doveroso
– dato che paiono condensare manzonianamente il «sugo di tutta la storia»
– riportare le ultime parole della nota finale di Valerio Evangelisti:
«Parlo di contadini e di braccianti, di povera gente che ha dato alla
Romagna e all’Emilia la propria impronta. Senza curarsi troppo di chi,
a livello politico, pretendeva di averne la guida. L’unico linguaggio
per me adeguato era quello brusco, essenziale, a volte sarcastico
o umoristico delle campagne. Quanto è risultato da questa colossale
trasformazione dal basso è soddisfacente, oggi? Non sono problemi
miei. Io scrivo romanzi».
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