Il sapere, le radici, la memoria, cogliendo l’attimo fuggente
Inaugurata ieri nella Libreria di via Sulis a Cagliari la mostra di Giuseppe Loy. Parla la scrittrice Rosetta Loy, moglie del fotografo e poeta cagliaritano
di Walter Porcedda
CAGLIARI. «La mia casa è tappezzata dalle fotografie di Peppe. Vivo immersa tra le sue immagini. Tutte mi sono care. Come la sequenza scattata nell'isola di Cavallo in Corsica, nel cimitero popolato di lapidi che ricordano il naufragio della fregata "Semillante" nel 1855. Un luogo unico, bellissimo. Come le gigantografie che ritraggono gli amici Afro e Burri… e poi tutte quelle che stanno qui…». La scrittrice Rosetta Loy indica le foto che spuntano tra gli oggetti e i libri, oggetto della mostra del marito Giuseppe Loy, fratello del regista Nanni, inaugurata ieri nella Libreria di via Sulis con immagini dedicate ad alcuni grandi artisti italiani e quelle inedite sul "Mare degli italiani" scattate per Laterza e mai stampate. Giuseppe Loy, poeta e intellettuale scomparso a 53 anni nel 1981, fu fotografo di sguardo acuto.
«Una passione quella per la fotografia iniziata prestissimo» rivela Rosetta, 83 anni portati con classe. Donna affascinante dai tratti di aristocratica bellezza, vestita sobriamente e con eleganza, occhi luminosi in uno sguardo magnetico e seducente.
«Io credo di averlo capito molto bene questo suo amore. E' attraverso l'immagine che si capisce la realtà – riflette la scrittrice, una delle più importanti in Italia – L'esistenza della fotografia permette di cogliere particolari che altrimenti sfuggirebbero. Peppe l'aveva inteso benissimo. Io che scrivo sono abituata a cogliere l'immagine e trasformarla in parole, il fotografo invece la cattura all'istante. Con rapidità. Peppe era così. Coglieva il momento».
Come il celebre Cartier Bresson insegna.
«Era un suo mito. Penso che avrebbe dovuto fare l'operatore cinematografico. Sarebbe stato perfetto. Ha fatto del cinema con Nanni ma come segretario di produzione. Mai come operatore. Non glielo chiese neppure, non so perché. Ancora oggi me lo chiedo. Era una persona intelligente e nelle sue aziende faceva il suo lavoro con scrupolo . Ma non gli piaceva. Ecco perché appena libero se ne andava solitario, con la macchina al collo».
Gli artisti sono oggetto delle sue foto. Da Afro a Burri fino a Fontana. Artisti molto fisici, mentre Loy, poeta e fotografo, sembra sublimare il rapporto con la materia.
«Sì. Ma le due cose si tenevano bene assieme. E' la fotografia il collante. La cattura dell'immagine è già qualcosa di astratto. Con Afro e Burri in particolare nacque una vera e amicizia. Due persone con caratteri spigolosi, soprattutto Burri. Peppe invece era estroverso. faceva politica nel Pci, era amatissimo dai giovani. Quell’impegno però gli fece vivere male la professione. Era dirigente in un'azienda privata dove però era mal visto per le sue posizioni di sinistra. Dopo il 1968, quando si iscrisse al Pci, la situazione diventò infernale. Gli tolsero anche l'ufficio. Tanto che aveva già deciso di andarsene per dirigere la rivista "Rinascita"»
Nelle foto sul mare, c'è uno sguardo ironico e attento sulla realtà. Anche la Sardegna.
«Ci sono immagini scattate a Stintino, Santa Teresa. Arrivammo nell'isola nel 1959. Peppe mancava da venti anni. Fu un viaggio meraviglioso. Ritrovò i parenti, i cugini. Sembrava che il tempo si fosse fermato alla sua partenza da ragazzo per Roma. Mi parlava come una favola di Cagliari raccontando dei palazzi Aymerich e Sanjust. Non dico il mio stupore nel vederli… io che ero cresciuta a Roma e abituata ai vari palazzi Colonna, Orsini e Borghese. Questi erano così malandati per via della guerra, le scalette rotte. Però c’era una splendida famiglia. Fu la scoperta di un mondo antico. E poi il Poetto, la spiaggia bianchissima, i capanni sull'arenile e l'acqua calda e celeste».
Come nacque il vostro amore?
«Mi innamorai di lui a 18 anni. Peppe era bellissimo ed io ero sensibile alla bellezza. L'ho conosciuto a una festa da ballo nel 1946. Allora si organizzava così nelle case. Un grammofono e si ballava. Lo notai subito. Ballammo assieme tutta le sera. E poi mi riaccompagnò a casa, a piedi. Fui presa immediatamente di lui e speravo mi cercasse. Invece sparì. Lo ritrovai un anno dopo. Mio padre mi ostacolò fino allo spasimo.Venivo da una famiglia tradizionale e molto cattolica. Peppe era un comunista, non andava in chiesa ed era di una famiglia povera che nella guerra aveva perso quasi tutto. Ma a 21 anni decisi di sposarmi. Mio padre era duro ma alla fine capì».
Rosetta Loy una scrittrice della memoria. Quanto è importante di questi tempi?
«Chi non ha memoria non ha strumenti per capire. Un giorno parlai con una signora americana che scrisse un libro sui bambini ebrei mandati negli Usa durante la guerra. Raccontava che tutti questi avevano dei grandi disturbi. Non avevano avuto una famiglia che ti forma e racconta. Non avevano un passato. Ma solo un muro che in tanti aveva creato un grande disagio psichico per l’assenza di riferimenti».
Tanti suoi libri sono dedicate all'importanza delle radici. Dalla saga di “Le strade di polvere” al racconto “Cioccolata da Hanselmann”.
«Le radici sono importanti certo, ma oggi si è così risucchiati da una realtà in continua mutazione. Una velocità a cui è difficile stare dietro. Ad esempio gli sms non si usano più. Anche se in questo nuovo modo di comunicare c'è un grandissimo vantaggio: aumentano le possibilità di sapere. Cosa che prima non si aveva. La memoria è importante quanto il sapere».
Ottimista?
«Sono ottimista per natura ma ho finito mesi fa un libro pessimista come "Fra cane e lupo" per Chiarelettere. Racconta gli anni italiani da Piazza Fontana all’era Berlusconi, l'avvento di n'drangheta e mafia, di quelli che si sono impossessati del nostro Paese. Un racconto, con al centro un grande capitolo sul caso Moro che cambiò la storia d'Italia. E’ molto semplice: l’ho scritto pensando ai miei nipoti. Volevo scrivere per loro che non sanno. E mi sono detto speriamo che adesso si cambi».
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