da Sardinia post
Sciola, Thabor e la disfatta dei guerrieri di Mont’e Prama
“Era lì, in un angolo, nascosto in mezzo alla folla di gente. Giovane, giovanissimo, con l’aria un po’ timida, l’ho riconosciuto subito: era Thabor, lo scultore dei giganti di pietra”.
Inizia così il dialogo immaginario con “l’antico collega che lo scultore Pinuccio Sciola ha scritto per Sardina Post. Un testo buttato giù di getto, subito dopo aver partecipato, sabato scorso, all’inaugurazione cagliaritana della mostra dei Giganti di Mont’e Prama. Un dialogo fantastico, un po’ provocatorio e ironico. L’ennesimo messaggio d’amore di Sciola alla sua terra. Eccolo:
A salutare i militari arrivati dal Sinis, sabato scorso a Cagliari, c’era un’infinità di gente: un fiume composto e silenzioso di donne e uomini che da quarant’anni attendevano l’uscita in pubblico e la prima sfilata dei reduci per la città. Ma i guerrieri non potevano uscire, bloccati com’erano dalle strutture ortopediche che tenevano insieme i pezzi dei loro corpi scampati alla guerra del tempo. Così aspettavano con dignità che la folla, a tratti commossa, si avvicinasse ad accarezzare le loro profonde ferite.
Questi grandi guerrieri – pensavo tra me e me – non sono né vincitori, né vinti. Sono uomini che sono stati mutilati dal tempo e che oggi, dopo più di tremila anni, dopo essere stati curati con amore dalle mani di esperte crocerossine dell’archeologia, aspettano la l’arrivo dei loro parenti sardi, come se fosse finalmente venuta l’ora delle visite in un importante reparto di ortopedia.
Percepivo distintamente che la loro compostezza e dignità superavano il dolore che le ferite dell’aratro avevano inciso su quelle carni di pietra. Tra le tante voci, nella sala gremita, riecheggiava quella del sovrintendente Minoja, intento a spiegare al primario professore in visita, il governatore Pigliaru, il valore che quei guerrieri avrebbero avuto nel rilancio del turismo e dell’economia sarda.
Poi, ad un tratto, lo vidi. Era lì, in un angolo, nascosto, in mezzo a tanta gente. Giovane, giovanissimo, con l’aria un po’ timida, l’ho riconosciuto subito: era Thabor, lo scultore dei giganti di pietra. Nessuno lo aveva invitato ed era arrivato fino a lì in incognito. Un viaggio lungo, dal lontano Oriente, attraverso le colonne d’Ercole fino alla Sardegna, cuore del Mediterraneo. Anche lui mi riconobbe, e fui felice di avvicinarlo. Invisibile agli occhi dei visitatori, si muoveva come un folletto in mezzo a un bosco profumato: era felicissimo per il tributo che le sue opere raccoglievano, ma erano soprattutto le torri nuragiche e la scultura plastica dei bronzetti ad affascinarlo.
Mi raccontò che appena arrivato nella città di Tharros, aveva voluto acquistare due piccole sculture nuragiche perché gli ricordavano le vestigia e gli abiti della cultura orientale. Era consapevole della semplicità dei suoi lavori, molto più naif rispetto all’eleganza dei bronzetti che guardava estasiato, lasciandosi prendere dolcemente in giro.
” ‘Non avrai faticato molto a realizzare le tue opere…”.
“‘Ho fatto quel che ho potuto”, mi rispose sorridendo.
Del resto, osservando le grandi mani e i piedi scolpiti nella pietra calcarea, si immaginava il lavoro di uno scalpellino. Certo, gli spunti di raffinatezza nei volti non mancavano, ma niente di paragonabile con l’eleganza e la precisione della nostra arte nuragica. Lodai comunque la sua importante testimonianza: quella sua opera avrebbe contributo alla centralità della Sardegna nel Mediterraneo, ed era un ottimo auspicio per la candidatura di Cagliari a capitale della Cultura in Europa. A prescindere da date e scadenze: “Perché la cultura – gli spiegai – non può essere schiava del calendario”.
All’improvviso si fermò, richiamato dai segnali di un gigante pallido che si lamentava con lui di non aver ancora percepito la pensione di guerra. Scorsi il suo disappunto: ‘”Non sono degli eroi – mi disse – ma semplici soldati. E come tutti i soldati soffrono dei danni subiti: credi si potrà fare qualcosa?’
“‘Ho capito, bisognerà parlarne col professor Pigliaru”. E così dicendo mi strinse ancora più forte la mano.
Pinuccio Sciola
(Fotografia di Franco Nonnoi)
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