Le onde troppo alte per Tabia e Robera
EverTeen. «Gli amici nascosti» di Cecilia Bartoli, il libro edito da Topipittori che racconta la storia del viaggio-odissea di una madre e il suo bambino
disegno di Guido Scarabattolo
Il mare era grande, le onde altissime. E, si sa, chi è nato in
Oromia, una regione nel centro-sud dell’Etiopia, non è abituatissimo
all’acqua, è gente di montagna, magari è in grado di fare lunghissime
camminate resistendo all’arsura della gola seccata dalle sabbie del
deserto, alla fame che attanaglia lo stomaco, all’angoscia delle notti dove
a fare da punto di riferimento e a ricordare che si è ancora
vivi, abitanti di questa terra, ci sono solo le luci delle stelle. Ma non al
mare che inghiotte. Così, il terrore è tanto.
A volte,
i viaggi sono un’odissea e chiunque vaghi — cacciato dalla propria
terra per le guerre, per la povertà, perseguitato come dissidente — alla
ricerca di un territorio dove piantare nuove radici — ha una storia particolare
da raccontare. Perché ogni viaggio è diverso: è intriso di paure,
speranze, malinconia e coraggio.
Gli amici
nascosti, il libro di Cecilia Bartoli proposto da Topipittori nella collana
«Gli anni in tasca» (pp.65, euro 10, illustrazioni di Guido Scarabottolo),
parte dalla passione della sua autrice. Che per mestiere non fa la scrittrice,
ma lavora per Asinitas, un’associazione che accoglie chi, stremato, arriva
da altri paesi. Chi è in fuga, sopravvissuto a momenti atroci. Il
libro è dedicato anche a tutti coloro che riposano in fondo al mare
o fra le dune: al popolo di chi non è rimasto impigliato in un
sogno impossibile fino a morirne. Taiba, invece, ha abbattuto gli ostacoli.
Ce l’ha fatta la piccola (di statura) madre etiope di Robera, bambino già
segnato — fin dalla nascita — da una sola colpa: essere oromo nel suo paese e avere un padre
militante, il Nuruddin che lotta contro le ingiustizie e deve rinunciare
alla propria libertà per spendere i suoi giorni migliori in carcere.
Il libro
raccoglie una testimonianza di vita toccante e la trasforma in un
racconto «leggero»: non si indugia mai nelle miserie e i soprusi sopportati,
ma si procede per rapide inquadrature cinematografiche, guardando con
gli occhi di Robera il mondo che si dipana, il quartiere libico, l’Italia
e poi l’Europa del nord, dove (in Norvegia) fa così freddo come nessuno
in Africa può immaginare e dove il cielo non è mai azzurro. Anche
lì, però, come altrove, è pieno di «amici nascosti tra la gente», persone
che aiutano i propri connazionali, che si fanno riconoscere, magari
semplicemente offrendo una cerimonia del caffè con tutti i crismi.
Perché spiega il bimbo Robera, fare il caffè dalle sue parti è davvero
importante: si mettono in fila dieci tazze su un tavolino e si aspettano
gli ospiti. Tutti chiacchierano e a nessuno viene in mente di alzarsi
e andare via: restano così per molto tempo. L’odore poi è buonissimo,
i chicchi tostati di caffè si mescolano al profumo dell’incenso sparso
sulle foglie. L’accoglienza passa anche per questo benessere del corpo
e dell’anima, si «nutre» dello stare insieme senza obblighi.
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