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lunedì 27 giugno 2011

L'uomo mite che spaventò i violenti in libreria la storia del vescovo Romero

IL LIBRO

L'uomo mite che spaventò i violenti
in libreria la storia del vescovo Romero

Torna il volume di Ettore Masina sulla ribellione agli squadroni della morte e ai silenzi del Vaticano del prelato salavadoregno ucciso sul sagrato della sua chiesa

di MATTEO TONELLI ROMA - "Vi sono storie che ti abbracciano così stretto che non riesci a dimenticarle". Storie che parlano di un uomo mite che spaventò i violenti. Che si fece rivoluzionario solo perché decise di stare con gli ultimi quando degli ultimi non importava niente a nessuno. Storie di un uomo che consacrò la sua vita alla religione e su un altare trovò la morte. La storia di Oscar Romero, l'arcivescovo salvadoregno freddato, il 24 marzo 1980, dai proiettili degli squadroni della morte a cui il regime lasciava mano libera. Ettore Masina  consegna alle stampe la sua terza versione della biografia di Romero (la prima era uscita nel 1996). "L'arcivescovo deve morire" si intitola (edizioni Il Margine, pagine 400, 18 euro) e racconta la storia di un uomo mite ma armato di una volontà ferrea. Che decise di condurre una lotta, solitaria, nella totale indifferenza prima e ostilità poi, delle alte gerarchie ecclesiastiche, silenti spettatrici delle atrocità commesse dall'allora governo salvadoregno. Romero, invece, dice no. Non resta indifferente davanti ai massacri del suo popolo, all'eliminazione di quei preti "scomodi" schierati con i deboli. Si schiera e incassa l'accusa di essere "comunista". Marchio con cui venivano bollati tutti coloro che, in quella parte di mondo negli anni 80, lottavano per migliori condizioni di vita e minori disuguaglianze: sindacalisti, oppositori politici, contadini, sacerdoti. Tutti accusati di simpatizzare per la guerriglia.

La repressione scatenata dall'allora presidente Carlos Humberto Romero è tremenda. Le violenze degli squadroni della morte senza controllo. Sparizioni, torture, processi sommari diventano "il pane quotidiano dei cristiani". Il cardinal Romero decide di non tacere e Masina racconta per intera questa ribellione che finisce nel mirino del regime. Proprio il vescovo che al momento della sua elezioni era definito "un buon conservatore" si ritrova addosso l'accusa di marxismo. Le gerarchie ecclesiastiche locali lo lasciano solo additandolo come "incitatore della lotta di classe e del socialismo". E il prelato, ricorda Masina, replica così: "E' uno scandalo che i cristiani di oggi critichino la Chiesa perché "pensa in favore dei poveri" e così facendo rischi di trasformarsi in comunista".

Lasciato solo Romero decide di far conoscere la situazione del suo Paese direttamente in Vaticano. Nell'agosto del 1979 vola a Roma e (tra molte difficoltà) riesce ad incontrare Giovanni Paolo II. Al papa polacco Romero racconte le violenze che funestano il Salvador, parla dell'assassinio del sacerdote Octavio Ortiz, delle sofferenze del suo popolo. Ma non serve. Wojtila  resta freddo davanti a quel vescovo in odore di "comunismo". Quello stesso comunismo che il papa polacco osteggiava con forza. Al punto che lo strabismo del Vaticano tendeva a chiudere un occhio davanti "alle dittature di destra, che spesso esibivano un cerimonioso rispetto per la Chiesa cattolica" mostrandosi inflessibile davanti a quelle "comuniste che miravano a essere definitive e radicalmente anticristiane" scrive Masina

Romero, dunque, resta solo. Ma non si ferma. Ogni sua messa, ogni sua omelia vengono interpretate dal regime come un atto di sfida. Le gerarchie locali vedono in lui un pericoloso sostenitore della "teologia della liberazione". Lui, che negava di avere "la vocazione del martire" come tale finisce la sua vita. Ucciso mentre celebra la messa da un colpo di pistola da un uomo degli squadroni della morte del maggiore D'Aubuisson. E ancora sangue scorrerà il giorno dei funerali. Sangue impunito come quello di Romero.  

E ancora oggi, a distanza di 31 anni dalla sua morte, la sua figura provoca imbarazzi in Vaticano. Non a caso la causa di canonizzazione è ancora ferma sul tavolo della Congregazione dei santi. Nel 1997 i vescovi latinoamericani (quelli della vecchia generazione sono morti ndr) hanno chiesto, senza esito, che la causa di Romero venisse istruita rapidamente. Nel suo pontificato Giovanni Paolo II ha proclamato più di milleottocento tra santi e beati. Non Romero però: anche se nel 2000 il defunto papa polacco inserì il vescovo salvadoregno tra "i nuovi martiri". E anche oggi c'è chi frena sostenendo che un santo non debba fomentare divisioni ma essere segno di unità. Un contrasto che interessa poco chi, come il popolo del Salvador, considerava Romero beato anche da vivo. E poco si cura delle rigide regole dei canonisti.

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