L’ultimo pamphlet su Berlusconi
di Pierfranco PellizzettiTra la fine degli anni Sessanta e la metà dei Settanta del secolo scorso ci fu una sorta di corsa a girare “l’ultimo western”, in coincidenza con l’inarrestabile declino fisico di quelli che ne erano stati i suoi grandi interpreti. Dalla melanconica elegia de “Il mucchio selvaggio” di Sam Pekinpah (1969), con William Holden e Ben Johnson, all’epitaffio da crepuscolo degli dei ne “Il Pistolero” di Don Siegel (1976); il melodramma con cui si congeda in tutta la sua residua fisicità proprio l’icona per eccellenza del genere: John Wayne, ormai l’ombra mastodontica e semovente del fordiano Ringo Kid di “Ombre Rosse”, che balzava sui cavalli in corsa della diligenza rimasta senza conducente.
Parafrasando l’universo cinematografico, nell’attuale pubblicistica nostrana si potrebbe rilevare la fretta di obliterare (alla François Truffaut) il biglietto per “l’ultimo metró” del libro definitivo su Silvio Berlusconi. Molto meno operazione nostalgia di quella filmica di cui si diceva, ma altrettanto segnale dell’inesorabile scorrere del tempo: per un personaggio come per un’epopea in sedicesimo.
Tra le più recenti opere che aspirano a tracciare definitivamente la parola “fine” sull’argomento, si notano i due volumetti di cui sopra; presentati nel salone torinese del libro dello scorso maggio. E che magari potrebbero riuscire nell’intento.
Il primo (Spoon River di Arcore) è opera di un apprezzato giornalista de l’Espresso, Marco Damilano, e attualizza ai giorni nostri la celebre antologia poetica di Edgar Lee Master che ispirò un altrettanto celebre disco di Fabrizio de André (Non al denaro Non all’amore Né al cielo); l’altro è un’analisi di taglio saggistico classico, firmata da Rino Genovese, filosofo della Normale di Pisa: Che cos’è il Berlusconismo.
Appunto, una vera e propria gara contro il tempo; non solo stante l’evidente invecchiamento del personaggio in questione, di cui già si accennava, ma anche per una ragione molto concreta e – per così dire – “terra, terra”: un numero crescente di librai segnala l’inarrestabile rigetto da parte dei lettori nei confronti del tema tanto inflazionato, tanto da spingerli a rifiutare per saturazione ogni proposta editoriale che rechi già nel titolo il nome del cacicco di Arcore. Il quale – insomma – non tira più, tanto editorialmente come in politica.
Nonostante il taglio diverso (Damilano costruisce un divertente bestiario, mentre Genovese prende le mosse dalla crisi tutta politica di una democrazia “deformata”), entrambi gli autori giungono a una conclusione comune: il Berlusconismo è un’antropologia, una mutazione genetica che ha modificato il DNA della società italiana, dando vita a un vero e proprio museo degli orrori.
“Quello che così viene a configurarsi”, scrive Genovese “non è nemmeno un blocco sociale secondo la vecchia terminologia marxista: piuttosto un blocco antropologico... Ne sono insieme artefici e soggetti passivi persone da sempre abituate ad anteporre il proprio “particulare”, la famiglia soprattutto, a qualsiasi interesse generale e a qualsiasi veduta più ampia” (pag. 37).
Chi scrive queste note ne ha proposto in altre sedi la denominazione come “neoborghesia affaristica e cafona”. Di cui l’habitus diventa una sonda interpretativa preziosa, specie se maneggiata da mani esperte quali quelle di Damilano, nel suo inventario di fantasmi che vagano tra le tombe sulla collina mastersiana: “il gessato quattordici centimetri tra una riga e l’altra” dell’ex Direttore RAI Masi, di cui restano impressi nella memoria solo “i baffetti ben pinzati, l’effluvio di brillantina Linetti” (pag. 93); la Crudelia-Santanché con la maglietta “sono di plastica al cento per cento” (pag. 89). Insomma, il Cafonal come sindrome di un’epoca che “partì con la P2 e terminò con la B2, il bunga bunga” (Pag. 25).
Ma se l’impresario di questo incubo fantasmatico, che ci accompagna da un ventennio, rischia di essere finalmente spazzato via da venticelli civili che stanno rafforzandosi in uragano (dalle amministrative milanesi, napoletane e cagliaritane fino all’esito sorprendente dei quattro referendum dell’11/12 giugno) i lasciti della lunga devastazione restano ancora più che presenti e consistenti: le viscere della società ne sono state profondamente contagiate.
Tanto che “la notte dei morti viventi” è destinata a continuare. Fino a quando il paletto della critica, confisso nel cuore del Cafonal di massa e del ceto politico infettato, non ci libererà – questa volta sì, definitivamente – dal lungo orrore mutante.
Marco Damilano, Spoon River di Arcore, Aliberti, Reggio Emilia, 2011
Rino Genovese, Che cos’è il Berlusconismo, Manifestolibri, Roma, 2011
da MicroMega
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