Tahar Ben Jelloun, Le storie dei ragazzi della Primavera
Anticipiamo l’ultimo saggio di Ben Jelloun dedicato alle rivoluzioni arabe
Tahar Ben Jelloun
Le storie dei ragazzi della Primavera
Le rivolte cominciano con
un ragazzo che si dà fuoco in Tunisia e continuano oggi con tutti
quelli che vengono massacrati in Siria
Hamzah al-Khatib fu uomo
a tredici anni. È morto portando con sé quella luce che è frutto
di coraggio e dignità. Come ha scritto l´editorialista Abu Dib nel
quotidiano libanese L´Orient-Le Jour (2 giugno 2011) «per la Siria,
Hamazh non è stato torturato; solo ucciso un po´».
Arrestato il 29 aprile a Deraa per aver cantato
"abbasso il regime", è stato torturato con scariche
elettriche, ustionato ai piedi, ai gomiti e alle ginocchia. Gli è
stato tagliato il sesso, lacerato il viso e poi è stato finito da
tre proiettili, di cui uno in pieno petto. È stato restituito alla
famiglia il 31 maggio. Contemporaneamente il padre è stato arrestato
e costretto ad accusare pubblicamente i salafiti di aver torturato il
figlio. Il corpo, ormai diventato violaceo, era in decomposizione ma
i segni delle torture rimanevano visibili.
Coloro che hanno fatto tutto ciò sono dei topi,
neanche dei lupi, solo dei topi di carogne, in preda ad
allucinazioni… Le loro notti saranno popolate da fantasmi di
ragazzini, leggeri come le farfalle che si appoggiano sui vetri
inseguendo una luce. Sono certo che dormono bene e sognano. La
brutalità criminale conserva e apre delle prospettive per nuove
sedute di tortura e di morte. Sono cresciuti nel sugo nauseabondo del
partito Baats, l´ideologia totalitaria del regime.
Il viso paffuto di questo ragazzino è sulla stampa;
il suo corpo a pezzi è nei video in internet. Quattro altri bambini
hanno subito torture analoghe. Io non so quanti anni abbiano i figli
di Bashar al-Assad. Sembra che li abbia fatti andare all´estero. Fa
bene a proteggerli. Non ha tempo di occuparsene. Ma cosa importa. Che
dei servizi di Stato torturino a morte un ragazzino la dice lunga
sulla sua umanità, sulla sua visione del mondo e del potere. Spero
che un giorno i suoi discendenti si ricordino del piccolo Hamzah. Il
regime siriano sa rispondere alla protesta pacifica solo con le armi
e con questa forma viziata di barbarie. Più di 1200 morti
dall´inizio delle manifestazioni. Discreditato, illegittimo, il
regime di Damasco sarà prima o poi giudicato per i suoi crimini
contro l´umanità. Nel frattempo, semina il terrore, ma la cosa
straordinaria è il coraggio magnifico del popolo siriano, che scende
in strada più volte a settimana, sapendo che sarà accolto solo da
raffiche di mitra. Per molto tempo ci hanno fatto credere che questo
popolo fosse fatto di spie e informatori. Per molto tempo sono stati
evocati gli anni di piombo, in cui il minimo sospetto di opposizione
veniva ridotto al silenzio definitivo. Ecco che la "primavera
araba" ci fa scoprire un popolo di persone coraggiose, un popolo
responsabile.
Il Libano conosce meglio di qualunque altro Stato
questo regime. Sa di cosa è capace. Da quando le truppe siriane
hanno dovuto lasciare il Libano (nel 2005) il paese vive sotto la
minaccia permanente di attentati. Proprio nel giugno 2011, il
segretario generale di Hezbollah, Hassan Nasrallah, commemora a
Beirut il ventiduesimo anniversario della morte dell´ayatollah
Khomeini portando il suo sostegno al regime di Damasco "«vittima
di un progetto di spartizione americano-israeliano». Così Hamzah
era una spia al servizio di un progetto di complotto! Era un furbetto
che metteva a rischio la sicurezza dello Stato. Un ragazzino che
minacciava il regime! Anche i suoi compagni. L´intero popolo siriano
che chiede a Bashar al-Assad di andarsene non fa che seguire le
indicazioni dell´America e di Israele. Ventidue milioni di siriani,
tutti a complottare, tutti traditori della patria. È vero che il
regime funziona da quarantadue anni grazie a un sistema di spionaggio
particolarmente efficace e crudele. Uno stato di polizia, che non
tarderà a crollare. Ciò che ne uscirà sarà comunque meglio di
questo regime ereditato di padre in figlio grazie al sacrificio di
migliaia di morti a Hama nel 1982 e che fa fatica anche nella
primavera di oggi a estirpare quest´erba velenosa.
Ero a Beirut la settimana scorsa per il sesto
anniversario dell´uccisione dello scrittore e giornalista libanese
Samir Kassir. Scriveva delle verità che non piacevano a Damasco. La
sua morte non ha fatto sparire le sue idee, il suo umanesimo, la sua
passione per il proprio paese. Il Libano vive sotto tensione.
Attanagliato fra la Siria e Israele, resiste. Ovunque, l´esercito
militare. Ma la vita continua con ottimismo, con vigilanza, e il
popolo che ha attraversato diverse guerre si aspetta da un momento
all´altro una provocazione da parte della Siria per sviare
l´attenzione della stampa (i giornalisti stranieri non possono
entrare in Siria). I muezzin richiamano alla preghiera. Le campane
delle chiese suonano. Ovunque si creano ingorghi. Di sera, rue
Gemmayzé, dove c´è una grande concentrazione di ristoranti, bar e
locali notturni, è sempre piena. Il Libano ha addomesticato la morte
con ironia, con intelligenza.
Hamzah non andrà più a scuola. Non scriverà più
slogan ostili verso il regime di Bashar al-Assad. Non canterà più.
Da alcuni viene già considerato come Mohamed Bouazizi, il giovane
tunisino che si è immolato nel fuoco il 17 dicembre 2010. Hamzah,
Mohamed e centinaia di altre persone sconosciute sono morte perché
la primavera araba coi suoi venti, le sue burrasche, la sua
grandezza, continui il suo corso.
L´anima di Hamzah, fragile e leggera, plana sopra i
manifestanti. Si dice che andrà in paradiso. L´inferno è sulla
terra, in molti paesi arabi i cui capi si attaccano patologicamente
al potere.
Il testo è tratto da Fuoco. Una storia vera, in uscita da Bompiani
(Da: La Repubblica del 4 maggio 2012)
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