L’ombelico gommoso della ragazza.
Ferragosto è una festa che a me ricorda Natale. Ma senza l’albero di natale, i doni, le canzoncine e la slitta con le renne di Babbo Natale. Uguale ma senza tutte queste cose. Insomma, è un’altra cosa.
Ferragosto è una festa che a me ricorda Pasqua. Ma senza l’uovo di Pasqua, le sorprese inutili, i coniglietti di cioccolato e l’agnello nel forno. Uguale ma senza tutte queste cose. Insomma, è un’altra cosa.
Ferragosto è una festa che a me ricorda Capodanno. Ma senza i fuochi d’artificio, lo spumante, le trombette, i trenini, il concerto di Zucchero. Uguale ma senza tutte queste cose. Insomma, è un’altra cosa.
Ferragosto è una festa che a me ricorda un giorno che avevo fatto una gita al mare insieme ad alcuni amici, e ognuno aveva portato qualcosa per il pranzo, e tutti avevamo portato un paio di polli arrosto, cosicché c’erano tanti di quei polli arrosto da sfamare un paese. Polli arrosto di ogni tipo. Grandi, piccoli, medi. Qualcuno aveva portato soltanto le cosce arrostite, altri solo le alette arrostite. E patatine fritte in sacchetto. Che quando le mangi al mare l’olio che ti rimane sulle dita lo puoi usare al posto della crema abbronzante, ché l’odore di fritto sulla pelle a volte secondo me è molto meglio dell’odore di certe creme.
A ogni modo, per pranzo avevamo un sacco di polli arrosto. E non so perché, forse perché c’era abbondanza di polli arrostiti, o forse perché non c’era nient’altro a parte le patatine fritte nei sacchetti rumorosi, o forse perché l’unto che ti ritrovi nelle mani dopo aver mangiato il pollo arrosto pure quello è un discreto olio abbronzante, o forse perché semplicemente avevo molta fame, e quando fumi molto poi ti viene anche molta fame, e non so perché ma fatto sta che quel giorno lì, a pranzo, in spiaggia, sotto gli ombrelloni piantati in circolo, seduto sull’asciugamano, gli occhi che fissavano l’ombelico gommoso della ragazza che mi stava davanti, io, quella mattina lì, dopo un bel sorso di birra ghiacciata, presi e mi mangiai sei o sette polli arrostiti. Li mangiai di filato, in rapida successione.
Poi la sera non stetti tanto bene. Non so, ebbi dei dolori. Mi sentivo unto dentro.
Dal giorno non ho più mangiato polli arrostiti. Per più di quindici anni non ho più toccato un pollo arrosto. Mi venivano i dolori soltanto a sentirne l’odore, le mani iniziavano a trasudare grasso e olio, solo a vederne uno. Ho ricominciato a mangiare pollo arrosto solo qualche anno fa.
E niente.
Però, a pensarci bene, quel giorno lì, il giorno che mangiai sei o sette polli arrostiti, uno dietro l’altro, le labbra unte e l’olio che come un rigagnolo giallastro scivolava dal mento seguendo le linee del costato, a pensarci bene, quel giorno lì non era il giorno di ferragosto. Secondo me era una domenica di giugno. Faceva caldo uguale, tuttavia.
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