Quando i miei figli erano dei giovanottini la mia casa era un va e vieni di altri ragazzi.
La domenica, verso mezzogiorno, accadeva d' incontrare nel corridoio dei ragazzi spettinati che vagavano in mutande, diretti al bagno, per fare ladoccia o per pisciare. Si presentavano così:
Sono un amico di suo figlio.
Buongiorno. Benvenuto.
Gli veniva risposto.
Mai specificavano di quale figlio si trattava. Gianni, Bobo, Alessio? L' unico escluso era Joel. Non andava neanche all' asilo e quindi non aveva amici o compagni che passassero la notte fuori casa.
Qualche volta rimanevano anche uno o due giorni.
La conoscenza veniva approfondita a tavola, a colazione, la loro: tazza di caffellate o di nesquik, caffé, buondì, una fetta di ciambellone...
Quello che arrivava da più lontano è stato Anthony, un amico di Gianni, che così lo descrive in ''L' uomo che allontanava le nuvole con un sorriso''. Lo aveva incontrato, il 28 maggio 1984, a Verona. Data storica per Gianni: il primo concerto di Bob Dylan in Italia.
''Anthony aveva una trentina d’anni, un po’ meno. Era nato e viveva in Tasmania, figlio di emigrati di origini abruzzesi. Era un tipo non troppo alto, magrolino, aveva un viso che ricordava quello di Dustin Hoffman. Anzi, lo si sarebbe potuto scambiare proprio per Dustin Hoffman. Parlava a stento l’italiano, usava uno slang nel quale mescolava l’inglese e il dialetto abruzzese.
Anthony era un viaggiatore, un viaggiatore vero. Lavorava sei mesi l’anno, nei pressi di Hobart. Durante i restanti sei mesi girava il mondo. Non aveva bisogno nemmeno di tanti soldi. Per lo più si arrangiava. Dormiva dove gli capitava, mangiava poco. Adorava il cappuccino. Quando entrava in un bar, era capace di berne uno dietro l’altro. Dalla gioia sollevava gli occhi al cielo.
L’Italia rappresentava una tappa importante del suo viaggio. Ci disse che era l’occasione per fare visita ai parenti d’Abruzzo. Lì si sarebbe fermato qualche settimana, in un casolare tutto per sé, una proprietà di famiglia, nei boschi del Parco. Non ricordo se proprio dentro l’area del Parco o appena fuori. A ogni modo, si trattava di un posto selvaggio. Anthony quando ne parlava si entusiasmava, e il suo entusiasmo era contagioso''.
E' stato ospite per circa una settimana. Ha dormito in salotto sempre nel suo sacco a pelo.
Aveva l' aspetto di un hippie, ma le maniere di un gentleman.
La prima mattina, vado per chiedergli come avesse dormito, ma non lo trovo. Dopo un' ora torna a casa e mi dice che era andato al bar sotto casa per il cappuccino, lo yogurth e il cornetto. Da allora ha sempre fatto colazione in casa. Si alzava all' alba per liberare il salotto.
Chissà se avrà fatto pace con il padre, titolare di gelaterie, a Hobart, nella cosiddeta New Town, il quale non accettava il suo modo di vivere, lo riteneva incompatibile con quello di una famiglia normale. Lo chiamava ''a tasmanian devil'', diavolo della Tasmania.
Partì per andare a cercare un lavoro da stagionale in qualche azienda agricola. Aveva necessitàdi denaro per proseguire il suo viaggio. Se non ricordo male voleva andare verso l' India per poi da lì tornare in Tasmania.
Anthony, un uomo che guardava, sentiva, vedeva, ascoltava . Osservava molto, con attenzione e proponeva una diversa concezione dell’utopia, il tentativo di costruire un essere-in-comune con l’altro, il desiderio della società senza classi e senza servitù
Dove sarà oggi Anthony? Avrà ancora contatti con Gianni? Devo chiederglielo.
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