SIAMO SARDI (di Grazia Deledda)
Siamo spagnoli, africani, fenici, cartaginesi, romani, arabi, pisani, bizantini, piemontesi.
Siamo le ginestre d’oro giallo che spiovono sui sentieri rocciosi come grandi lampade accese.
Siamo la solitudine selvaggia, il silenzio immenso e profondo, lo splendore del cielo, il bianco fiore del cisto.
Siamo il regno ininterrotto del lentisco, delle onde che ruscellano i graniti antichi, della rosa canina,
del vento, dell’immensità del mare.
Siamo una terra antica di lunghi silenzi, di orizzonti ampi e puri, di piante fosche,
di montagne bruciate dal sole e dalla vendetta.
Noi siamo sardi.
Siamo le ginestre d’oro giallo che spiovono sui sentieri rocciosi come grandi lampade accese.
Siamo la solitudine selvaggia, il silenzio immenso e profondo, lo splendore del cielo, il bianco fiore del cisto.
Siamo il regno ininterrotto del lentisco, delle onde che ruscellano i graniti antichi, della rosa canina,
del vento, dell’immensità del mare.
Siamo una terra antica di lunghi silenzi, di orizzonti ampi e puri, di piante fosche,
di montagne bruciate dal sole e dalla vendetta.
Noi siamo sardi.
LA NOTA di Marisa Cardu
Le parole di Grazia Deledda spiegano come mai qui da noi capiti che il sud del’isola non capisca il dialetto del nord e viceversa. Le incursioni, le dominazioni son state talmente tante e ciascuna ha lasciato tracce della sua lingua, che condiziona l’idioma parlato attualmente nella varie parti. La lingua sarda vera e propria è il logudorese, mentre gli altri sono dialetti, alcuni collegati fra loro, altri decisamente diversi, tanto da essere incomprensibili gli uni agli altri. Sassari non capisce Cagliari, Cagliari non capisce Sassari. Un linguista saprebbe spiegare meglio le derivazioni, ma una inesperta quale io sono, sa soltanto che il latino e lo spagnolo sono facilmente individuabili. Poi ci sono gli “stranieri” in patria, il catalano parlato ad Alghero e il tabarchino parlato a Carloforte. Siamo stati terra di conquista e le eredità linguistiche ci costringono ad esprimerci in italiano, bene o male che lo si faccia, altrimenti il visitatore, se parlassimo in sardo, non capirebbe un’acca!
Le parole di Grazia Deledda spiegano come mai qui da noi capiti che il sud del’isola non capisca il dialetto del nord e viceversa. Le incursioni, le dominazioni son state talmente tante e ciascuna ha lasciato tracce della sua lingua, che condiziona l’idioma parlato attualmente nella varie parti. La lingua sarda vera e propria è il logudorese, mentre gli altri sono dialetti, alcuni collegati fra loro, altri decisamente diversi, tanto da essere incomprensibili gli uni agli altri. Sassari non capisce Cagliari, Cagliari non capisce Sassari. Un linguista saprebbe spiegare meglio le derivazioni, ma una inesperta quale io sono, sa soltanto che il latino e lo spagnolo sono facilmente individuabili. Poi ci sono gli “stranieri” in patria, il catalano parlato ad Alghero e il tabarchino parlato a Carloforte. Siamo stati terra di conquista e le eredità linguistiche ci costringono ad esprimerci in italiano, bene o male che lo si faccia, altrimenti il visitatore, se parlassimo in sardo, non capirebbe un’acca!
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