Reportage o no? Sulla Siria gli occhi
di una giornalista clandestina
di Ella Baffoni da l' Unità
Andare, guardare, capire, riferire.
Le regole del giornalismo, in sintesi sono queste. Il fatto è che
questo mestiere è molto cambiato – non so se in meglio – in questi anni.
Un esempio ne dà il libro di Antonella Appiano “Clandestina a Damasco”
(Castelvecchi, collana RX, 124 pgg, 12.50 euro). Esperta di Medio
oriente, Appiano ha fatto quel che avrebbe fatto un giornalista
dell'altro secolo. Durante la primavera araba è tornata in Siria nel
marzo scorso, iscrivendosi all'università per celare la vera ragione del
suo viaggio, per cercare di cogliere cosa accadeva in uno dei paesi più
“chiusi” agli inviati occidentali. E ha reso evidente un curioso
paradosso.
E' vero, la Siria è grande. E a Damasco
c'è qualche manifestazione dell'opposizione, fortunatamente senza
feriti, e molte filogovernative. Ma a Damasco arrivavano le notizie
dalle altre città, a volte quasi di prima mano, a Damasco la giornalista
assiste ai discorsi del presidente Bashar e ne discute con
intellettuali, ascolta testimoni, si fa un'idea. E poi cerca, invano, di
raggiungere Homs. Daraa, Suweia, Latakia, i luoghi delle proteste.
Si fa domande, cerca risposte. Davvero i
siriani vogliono riforme, non rivoluzione? Il presidente Bashar non è
odiato: giovane, colto, non assetato di potere, è però condizionato
dall'esercito e dalle autorità islamiche. Il regime è regime, certo: una
dittatura. Ma se nelle campagne le condizioni di vita sono durissime, a
Damasco e Aleppo c'è una borghesia teme di aver qualcosa da perdere da
una rivolta radicale. E l'opposizione è debole ancora, sfrangiata.
L'evoluzione, se ci sarà, sarà lenta. Ma che sia possibile è già un
grande cambiamento.
Intanto una notizia la trova: la blogger siriana Amina, che compare ormai su tutti i media occidentali, non esiste. Militante lesbica, a Damasco non la conosce nessuno, ma neanche nelle altre città. I cyber attivisti siriani lo avevano detto: scrive troppo bene in inglese, vivrà all'estero. E dubitano anche del racconto del suo mancato arresto (la polizia era andata per arrestarla, il padre l'ha difesa e li ha respinti. Incredibile: quando la polizia siriana deve arrestare qualcuno, lo fa, punto) . Infatti Amina è un'invenzione di Thomas MacMaster, Georgia. Da Damasco la giornalista italiana aveva annusato la bufala.
Appiano torna in Italia, poi, in luglio
riparte. Compra un biglietto per Damasco ma scende dall'aereo ad Aleppo,
arriva a Latakia, a Homs, torna a Damasco. E' qui, che finalmente,
incontra la rivolta. Un fiume di uomini che chiede unità e libertà,
“Meglio la morte che l'umiliazione”. E' qui che i militari attaccano con
i lacrimogeni, li disperdono. La polizia spara ad altezza d'uomo, in
questi mesi i morti sul campo sono stati quattromila..
Ma ecco il paradosso. E' l'unica
giornalista italiana in Siria, anche se “clandestina”. Non può scrivere,
non può raccontare quel che vede. Non subito, non finché è sotto
copertura: sarebbe immediatamente espulsa. I giornali scrivono,
raccolgono spesso notizie non verificabili, cercano le fonti di prima
mano sui social network. Una volta in Italia, però, quel momento di
crisi è alle spalle: la giornalista che era sul campo è già passata
all'imperfetto. La velocità dell'informazione, anche grazie a blogger
Facebook e Twitter, ha già macinato l'evento. Vale ancora la pena di
andare a vedere, di cercare fonti di prima mano, di testimoniare, in
queste condizioni? Vale: la “seminformazione” in cui viviamo, la
sensazione di sapere già tutto, di avere tutto a disposizione, è una
delle trappole più insidiose di questi tempi. Senza ricerca, senza
competenza, non c'è approfondimento e comprensione vera. Senza
giornalisti che vogliano capire, laicamente, cosa accade e perché,
davvero si rischia di avere a disposizione molti fatti e nessuna
conoscenza.
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