"Cesare deve morire": Shakespeare a Rebibbia
di Emanuele Bigi
“Da quando ho conosciuto l’arte questa cella è diventata una prigione”. È una delle frasi emblematiche di Cesare deve morire
(nelle sale dal 2 marzo) dei fratelli Taviani, vincitori dell’Orso
d’oro al Festival di Berlino. Viene pronunciata e scritta in un libro da
Cosimo Rega, uno dei detenuti del carcere di Rebibbia che ha preso
parte a questo film. L’arte miracolosamente diventa uno strumento di
libertà, uno strumento che permette ad alcuni di questi uomini
condannati per omicidio, per traffico di sostanze stupefacenti o per
delitti legati alla criminalità organizzata di continuare a vivere.
Shakespeare recitato in siciliano, romano e napoletano - “Quando
abbiamo vinto il premio il primo pensiero è andato a queste persone che
portano con sé delle colpe, ma che sono e restano sempre degli uomini”,
dichiara uno dei fratelli, già Palma d’oro nel 1977 con Padre padrone.
I Taviani sono stati folgorati da una recita organizzata a Rebibbia dal
regista Fabio Cavalli, “è stata una delle emozioni più grandi degli
ultimi anni – commentano - sentire un’opera di Shakespeare in siciliano,
romano e napoletano ci ha colpito. Così è nata l’idea di rappresentare
il Giulio Cesare con i detenuti”.
Paolo Taviani: "In qualche detenuto c’è talento" -
Un testo che si aggrappa inconsciamente alle vite di questi uomini,
“che parla di omicidi, di congiure, di odio e di libertà, sentimenti che
rimandano alla quotidianità trascorsa dei nostri attori – dichiara
Paolo – sicuramente in qualcuno di loro c’è del talento, ma davanti alla
macchina da presa portano se stessi, il loro vissuto, le loro memorie
drammatiche”. Ed è proprio questo continuo gioco di specchi che fa di
questo piccolo film teatrale, distribuito dalla Sacher di Nanni Moretti
(“ringrazio i distributori che non l’hanno voluto – dice
l’attore/regista – credo sia un film che sprigioni un’energia rara”), un
film denso, speciale e dalle forti emozioni.
L'importanza dei laboratori teatrali -
A renderlo speciale sono i suoi interpreti: Rega (Cassio), Giovanni
Arcuri (Cesare), Antonio Frasca (Marcantonio), Salvatore Striano, nei
panni di Bruto che dichiara quanto i laboratori teatrali debbano essere
obbligatori “in tutti i penitenziari italiani perché aiutano a prendere
coscienza di se stessi”. “Aiutano a uscire da una condizione infernale –
afferma Vittorio Taviani - una frase di un detenuto rivolta alla
moglie, che non è stata inserita nel film per problemi di montaggio,
diceva: ‘Giovanna vieni a vedermi recitare perché mi sembra di potermi
perdonare’”. Cesare deve morire è un viaggio di redenzione che trova il suo più stretto alleato nell’arte drammatica.
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