PARTITO SOCIALISTA
120 anni di liti.
Da Turati e Gramsci
a Craxi e Berlinguer,
storia di un gruppo
politico che ha
la divisione nel Dna
di Marcello Sorgi
La Stampa 28.4.12
Libri
(a cominciare dall’ultimo volume, 1992-94, dedicato agli anni di Craxi)
documentari, mostre fotografiche, dibattiti. A centoventi anni dalla
nascita e a venti dalla fine, se non dei socialisti, del partito
craxiano, c’è un futuro per il socialismo in Italia?
E’ questa in fondo la domanda al centro delle celebrazioni aperte
al Cinema Sivori di Genova dal segretario del rinato Psi Riccardo
Nencini e che si concluderanno in autunno a Roma con un convegno, a cui
parteciperà anche il Presidente della Repubblica Napolitano, a cura del
“Comitato per le celebrazioni del centoventesimo anno della nascita del
Psi”. Al Comitato aderiscono le maggiori fondazioni culturali socialiste
e, per la prima volta, novità da sottolineare, anche l’Istituto
Gramsci, nato in area comunista. Un manifesto di inizio Novecento del
partito socialista. Sopra uno dei fondatore Filippo Turati
In
tempi di grande crisi dei partiti vecchi e nuovi, lo storico (non c’è
altro modo di definirlo) anniversario dei centoventi anni del Partito
socialista - celebrata oggi a Genova, nella stessa Sala Sivori in cui il
14 agosto del 1892 fu fondato da Filippo Turati, Anna Kuliscioff e
Andrea Costa -, farà sicuramente molto discutere, anche per un
paradosso: si parla della nascita del primo e per molti anni maggior
partito della sinistra italiana, la cui morte è stata ufficialmente
dichiarata nel 1994, con la caduta di Craxi dopo Tangentopoli. Da allora
in poi sono stati molti i tentativi falliti di rianimarlo.
In
Francia in dieci anni sono passati dalle stalle del ballottaggio
Chirac-Le Pen, che sembrava preludere a un declino irreversibile, alle
stelle di Hollande alle soglie dell’Eliseo. In Germania hanno vinto e
perso con Schroeder e governato con la Merkel, cosa che sembra si
accingano a rifare. E anche in Inghilterra, dopo la sconfitta
postblairiana, il calvario dei laburisti all’opposizione sembra
accorciarsi, grazie alla crisi dei conservatori. Solo in Italia,
sia detto con tutto il rispetto per quelli che provano ancora a
ricominciare, per i socialisti da venti anni è il tempo malinconico
delle commemorazioni. «E delle divisioni, la malattia che il partito ha
sempre covato al suo interno e ha esportato in tutto il campo della
sinistra», aggiunge il senatore Gennaro Acquaviva, a lungo braccio
destro di Craxi e con lui a Palazzo Chigi nei quattro anni del governo a
guida socialista.
Al
dunque, era scritta nel dna delle origini la grande frattura tra
massimalisti e riformisti, anarchici, rivoluzionari e governativi, o se
si preferisce tra Antonio
Gramsci e Filippo Turati, che ha attraversato il secolo dei partiti dei
lavoratori e ne ha deciso le sorti. Per Acquaviva, che come presidente
della Fondazione Socialismo ora affronta il problema sul piano storico e
culturale, l’ispirazione iniziale però era quella riformista. Andrea
Costa, primo deputato emiliano, eletto alla Camera già nel 1882, dieci
anni prima dell’avvento del partito, era andato a cercare i socialisti
nei campi durante la trebbiatura e aveva ricostruito per loro un
meccanismo di comunicazione e una simbologia dell’azione politica
mutuati dalla Chiesa e dai cattolici: l’assemblea al posto della messa,
il tesseramento come battesimo e perfino i matrimoni socialisti, perchè
Costa, come officiante del nuovo culto laico, s’era spinto anche a
consacrare certe unioni illegittime fatte di fame e ansie
rivoluzionarie. Il vero Manifesto di quel partito era il libro Cuore,
scritto dal socialista Edmondo De Amicis, e costruito sull’illusione di
smontare il modello del capitalista lombardo cattivo e sfruttatore,
convincendolo, almeno sul piano letterario, ad aprirsi alla comprensione
dei problemi, delle sofferenze e della difficile sopravvivenza dei
lavoratori, nell’Italia paleo-industriale di fine Ottocento.
Turati,
l’intellettuale, verrà a dare veste teorica, oltre che leadership
politica, a questa miscela di valori pre-sociali e umanesimo, in aperta
concorrenza con i movimenti cattolici che devono ancora farsi partito, e
in contrapposizione con uno Stato che tende a usare la maniera forte
(la rivolta del pane del 1882 e le cariche di Bava Beccaris). Costa, il
sindacalista dei contadini che nel 1867 aveva fondato con l’anarchico
Bakunin la Lega internazionale dei lavoratori, è un politico nato con il
talento del negoziato e della mediazione. Ed era un’ebrea russa
inizialmente anarchica la Kuliscioff, ginecologa, intellettuale,
compagna di vita di Turati, fondatrice con lui nel salotto della loro
casa milanese di Critica sociale, la rivista teorica che precedette di
un anno la nascita del partito, e prima ancora legata sentimentalmente a
Costa, da cui avrà una figlia, Andreina, cresciuta nel fuoco della
clandestinità semirivoluzionaria, e, forse anche per questo, fuggita
verso un matrimonio e una condizione di vita borghesi e conservatori,
con due figli, ironia della sorte, che si faranno prete e suora.
E’
da questo terzetto, e in aperta rottura con i massimalisti, che
faticheranno prima di trovare in Arturo Labriola ed Enrico Ferri leader
degni di competere, che nel 1892 nasce il partito, inizialmente «dei
Lavoratori», e dal 1894, e per un secolo esatto, «socialista». La
frattura delle origini, quasi trent’anni dopo, nel 1921, nel pieno del
«biennio rosso» delle occupazioni delle fabbriche e alla vigilia del
fascismo, porterà alla scissione di Livorno e alla nascita del Partito
comunista. Turati e Gramsci si separano per sempre. Ed anche se il
problema di un unico grande partito accompagnerà la sinistra italiana
per il resto della sua storia, da Nenni e Togliatti (con la sola
disastrosa eccezione del Fronte popolare del ’48), ad Amendola e Ingrao,
a Craxi e Berlinguer, per arrivare, anche adesso che i socialisti non
sono più in gioco, a Bersani e Vendola, le divisioni l’hanno sempre
avuta vinta. E a causa delle divisioni, la sinistra ha visto sfumare
tutte le grandi occasioni storiche che la riguardavano, comprese le più
recenti.
In
un excursus di oltre un secolo non può certo essere trascurato lo
scenario internazionale. Il Psi nacque in fondo sul modello dei
socialisti tedeschi con i quali i rapporti rimasero intensi e fecondi.
Garibaldi fu un’icona protosocialista, non solo per gli italiani, ma
anche per i laburisti inglesi, che lo accolsero in centocinquantamila al
suo arrivo nel Regno Unito. Acquaviva suggerisce di guardare anche ad
Est, alla Mosca comunista da cui per decenni venivano aiuti e
incoraggiamenti ai partiti «fratelli» e anatemi per i riformisti
«revisionisti»: «Una storia lunghissima - spiega il senatore che
comincia quando Turati e Costa vanno a parlare con Lenin dopo la fine
della Prima Guerra Mondiale e, allibiti, si sentono dire: “Ne avevate
uno buono, Mussolini, e l’avete cacciato! Ma perchè? ”». Va da sé che
l’ex-socialista Benito era già il capo dei neonati fascisti.
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