La vita trascorre nell' indugiare e ciascuno di noi muore senza aver mai goduto della pace. L' uomo è quello che gli è permesso di essere.
C'è chi dice che forgiamo i nostri destini, ma non sempre comprendiamo, né siamo in grado di vedere quello che ci lasciamo alle spalle.
Lei si chiamava Johanna, lui Louis. Le loro origini erano decisamente diverse: lei apparteneva a una famiglia di imprenditori di Castle, lui era di origini nordiche, proveniva da una famiglia di Rostiev.
I miei genitori Johanna e Louis erano delle persone fantastiche, innamoratissime.
La loro e’ storia da raccontare. L' amore va e va e non vi è angolo dove non sia casa sua.
Mia
madre nata nei primi anni del ventesimo secolo era una donna
straordinaria. Figlia di un imprenditore di Castle che operava nel
settore dei trasporti era cresciuta in una delle piazze centrali della
citta’, dove erano le proprieta’ di mio nonno, Frank: casa padronale,
stalle, cavalli, calessi, landau, carri per il trasporto delle merci e
la stazione di posta dove i cavalli degli operatori delle campagne
intorno sostavano, in attesa del ritorno nei paesi, una volta che i loro
padroni avevano concluso i loro affari o scaricato le merci che poi
venivano distribuite da mio nonno.
La famiglia di mia madre comprendeva altre tre sorelle e due fratelli.
Nonno
Frank, molto severo, impediva ai figli, soprattutto alle sue bambine,
di andare nelle stalle dove bazzicavano gli stallieri e gli uomini del
contado.
Mia madre, ribelle, era l’ unica che trasgrediva gli
ordini del padre. Appena alzata si precipitava nele stalle e trafficava
con i cavalli.
Col crescere degli anni, oltre ad essere sempre
piu’ bella, una donna dalla pelle madreperlacea, capelli corvini, occhi
scuri, labbra carnose, naturali, non come quelle rifatte oggi dai
chirurghi plastici, che realizzano interventi mostruosi che trasformano
le bocche delle loro clienti in antiestetici canotti di carne, era
diventata un’ abile amazzone. Cavalcava come gli uomini, non seduta con
le gambe pendenti sul lato sinistro dell’ animale, come si usava in
quegli anni, ma incosciando la bestia per meglio stringerlo tra le gambe
e poterlo governare senza problemi. Cavalcava spesso a pelo, senza
sella, ed era bravissima nell’ eseguire acrobazie con il cavallo
lanciato al galoppo.
Era la disperazione del padre.
Inoltre si divertiva a fare capriole aggrappata alle travi delle stalle.
Partecipava con grande perizia anche alla doma dei puledri.
Una volta la vide il proprietario di un circo il quale propose a nonno Frank una scrittura per la figlia.
Johanna
dovette restare chiusa nella sua camera per due settimane, fino a
quando il circo lascio’ la citta, non fosse mai che la ribelle figlia
decidesse di aggregarsi alle troupe circensi.
Nonno Frank aveva
paura dell’ estrema socievolezza della figlia che esibiva sempre e che
forse per i tempi, secondo lui, non era consona con una particolare
maturita’ di comportamento.
Mia madre andava nella vicina spiaggia
di Little George a fare lungo galoppate che immancabilmente si
concludevano con un bagno in mare del cavallo e suo. Si divertiva a
lanciare il cavallo nella grigia distesa dalla spiaggia che arriva sin
quasi all’ orizzonte. Generalmente Little Gorge era poco affollata.
Quasi sempre poca gente distesa sulla sabbia o seduta sulle sedie a
sdraio, pochi altri a prendere il sole vicino all’ acqua. Gli uomini o
in completi o nei loro costumi interi e le donne nei loro pagliaccetti
con l’ ombrellino a impedire una, allora, disdicevole abbronzatura. Una
volta, in sella a Devil, uno stallone dal manto nero, fu trascinata al
largo dalla corrente. Mia madre, sotto gli occhi terrorizzati del padre,
che gia’ presagiva una disgrazia, riusci’ con pazienza e perizia a
ritornare a riva, assecondando il nuoto di Devil nelle onde e nella
corrente. Anche questa bravata le costo’ la ‘’reclusione’’ di due
settimane nella sua camera, guardata a vista dalla severa governante,
che avrebbe dovuto proibirle anche di mangiare i dolci preparati dalla
cuoca. Invece la governante le portava di nascosto piu’ di una fetta di
torta, senza dire una parola, un dito sulla bocca in segno di
avvertimento, in un ironico teatro della cospirazione.
Uno degli
stallieri soprannominato Lead Feet per il modo di camminare pesante,
come se i suoi piedi fossero infilati in scarpe di piombo le aveva
insegnato a sparare con la pistola. Ogni giorno si esercitava al tiro
sparando a barattoli di latta o bottiglie. Naturalmente quando il padre
non era in casa. Se l’ avesse scoperta le sarebbero toccati altri giorni
di clausura.
Mia madre aveva il potere di evocare gli spiriti.
Gli
spiriti, i fantasmi, si dice, regnarono in tutti i tempi. La storia che
sto per narrare e’ un esempio della loro esistenza? Puo’ darsi. Affermo
che gran parte della incredulita’ su queste vicende sono legate al
fatto che non sempre si comprende che non possiamo essere sempre soli.
La
vicenda si svolge a Nayaders, un paese non lontano da Castle, la piu’
importante citta’ di Sandalyon, una grande isola dei mari temperati.
Sono
le sette del pomeriggio di un giorno di settembre del 1943. Si sentono
le ore suonare nel vicino campanile della chiesa. parrocchiale. La luce
del giorno comincia a calare.
Sono nel salotto di casa, una stanza
con un divano, due poltrone, una credenza con i servizi buoni di piatti
e bicchieri, argenteria esposta, il tavolo tondo, quadri e foto alle
pareti, una lampada a stelo, sul tavolo anche un portacenere di vetro e
rame con un cavallino di rame sul bordo, nonostante in casa nessuno
fumi. Gioco con un cavalluccio di latta, accoccolato dietro la sedia in
cui mia madre e’ seduta, intenta a cucire e a lavorare a maglia.
Improvvisamente
qualcosa accade in cucina, rompendo il silenzio che regna nella
casa.Rumore di sedie trascinate e rovesciate. Poi come di piatti,
bicchieri. Per terra. Rotti.
-Peter? Che cosa hai combinato?Mi alzo e mi faccio vedere. Si accorge che le sono accanto.
-John Charles? Che cosa e’ successo?
Nessuna risposta.
Si alza. Va in cucina per guardare il disastro. Niente. Tutto e’ in ordine.
Mio fratello e’ in giardino. Gioca con il cane.
Mia madre lo raggiunge.
-Hai toccato qualcosa?
-No.
Torna in salotto alle abituali faccende. Riprende a cucire e a lavorare a maglia.
Un’
altra sera. E’ sola in casa. Le tenebre sono gia’ arrivate. Le poche e
deboli luci in strada sono accese. Noi figli siamo da una vicina.
Improvvisamente rumore di stoviglie.
Corre in cucina: piatti, bicchieri, tegami, padelle e pentole sono sul tavolo, tirati fuori della credenza.
Sbianca in viso. Le mani le tremano. Ha paura. Va anche lei dalla vicina.
Quando torniamo a casa riassetta.
Non racconta l’ accaduto.
Poi
una notte, siamo tutti a letto, e’ un continuo sbattere di porte e
finestre. Le ante dell’ armadio si aprono e la biancheria è scaraventata
a terra.
In casa non ci sono altre persone.
Mia madre e’ spaventata, ma mantiene la calma, per non allarmare noi figli, svegliati dal fracasso.
Recita
a voce alta un’ Ave Maria e un Padre Nostro. La sua voce e’
perfettamente ferma, tranquilla, composta, ma seria. Ci invita a
recitare con lei le preghiere. I miei due fratelli le dicono, sempre ad
alta voce. Io, ho appena tre anni, non le so per intero.
Dice: Se sei un’ anima buona vieni in pace. Se sei uno spirito cattivo l’ inferno ti inghiotta.
Ci rasserena. Fa persino un debole tentativo di sorridere.
Ancora
di sera, siamo tavola, in cucina, stiamo cenando. D’ un tratto, la
porta d’ ingresso è colpita come da un forte getto d’ acqua, come di
secchi svuotati con violenza.
Va verso la porta che da in
giardino. Rimane qualche istante ferma pensando al da farsi. E’ indecisa
se tornare a sedersi o aprire.
Apre. Nessuno. Solo una grande pozza.
Di nuovo recita un’ Ave e un Padre e ripete l’ invito a venire in pace se spirito buono, altrimenti tornare tra i dannati.
L’
indomani va in chiesa e parla degli accaduti con il parroco. Mia madre
parla lentamente, come per aiutarsi a ricordare tutti i particolari e
non tralasciare nulla. Il corpo e’ immobile, le mani strette
indissolubilmente in grembo e lo sguardo conficcato sul crocifisso
appeso alla parete. Il prete l’ ascolta con gli occhi fissi sul suo
viso. E’ tranquillizzata. Le dice che forse e’ ancora scossa per la
recente morte del marito.Una mattina John Charles gioca in salotto. Ha
una monetina in mano. Gli sfugge. Rotola sul pavimento, raggiunge la
parete e si infila in una fessura, tra una mattonella e il muro. Fa per
prenderla ma questa scompare nel pavimento e dopo qualche secondo si
sente un pling, fine caduta. Mia madre che ha seguito la scena capisce
che li’ il pavimento copre un vano vuoto. Inspiegabile. La casa non ha
cantina.
Ricorda che si e’ parlato della casa come di quella dove
sarebbe stato ucciso, almeno un secolo prima, un uomo per rubargli gli
averi, una cassetta con centinaia di monete d’ oro. Quando la mia
famiglia era andata a viverci una vicina aveva raccontato a mia madre il
triste episodio, affermando che nessuno l’ aveva mai voluta acquistare e
era rimasta disabitata per molti decenni. Le aveva detto che qualcuno
affermava di aver visto il tesoro, fornendo una descrizione molto
particolareggiata degli oggetti. Questo tanti e tanti anni fa. Poi il
silenzio sulla vicenda, sulla casa, sul tesoro.
Questa volta si
rivolge a un prete di un paese vicino, conosciuto come esorcista. E’ un
prete alto, con gli occhiali, il cranio pelato, un sorriso franco e
beneducato.
Mia madre racconta gli episodi, la storia della morte
violenta, della casa e del tesoro con voce sommessa, ma molto chiara.
Parla, ma un vago timore, forse terrore, gli prende l’ anima,
probabilmente in ragione della calma che, comunque, aveva nel cuore.
Sembra contemplare, sbigottita, sgomenta, spaurita le visioni, nascoste
ai piu’, che ora si librano nella sagrestia dalle pareti alte, coperte,
dall’ alto al basso da una pesante tappezzeria, a intervalli irregolari
tappezzata da figure di santi e immagini della passione del Cristo..
Il sacerdote ascolta, poi dice serio:
-Potrebbe
essere uno spirito buono che vuole attirare la tua attenzione per farti
trovare il tesoro che gli assassini non sono riusciti a rubare.
Potrebbe pero’ essere anche uno spirito maligno. Lo stesso Belzebù.
Mia
madre sta in silenzio. Guarda i disegni sulla tappezzeria e nota al
centro di una parete il disegno di una colonna attorno alla quale
correva attorcigliata con la forza di un serpente la fiamma di un fuoco
vivo.
L’ esorcista prosegue:
- Se non hai altro da
riferirmi, posso andare a casa tua e recitare le preghiere per
allontanare il demonio. Non sapro’ pero’ mai dirti se in casa c’e’ un
tesoro. Per saperlo dovrai levare le mattonelle e scendere nel vano.
Puoi trovarci, pero’, non monete d’ oro e altri oggetti preziosi,
serpenti e scorpioni, l’ emblema del male. Te la senti di correre questo
rischio?
Mia madre accetta l’ invito del sacerdote a benedire la
casa. Non fa altro, anche perche’ gli episodi dopo le preghiere dell’
esorcista non si ripetono. Non osa guardare sotto il pavimento perche’
teme che il demonio prenda se’ e le sue creature per trascinarle nei
gorghi dei fiumi infernali, nelle tenebre, nelle profondita’ del
silenzio, trascinandole giorno e notte, estate e inverno, senza mai
riposare.
Dopo qualche mese trasferisce la famiglia a Castle, la citta’ dove esercita la sua professione di ostetrica condotta.
Dimentica la vicenda.
Le torna in mente quando viene a sapere che il nuovo inquilino e’ diventato improvvisamente ricco.
Questa era una prerogativa di mia madre.
Io che amo i misteri, la vita, la morte, un aspetto della vita…eterna, avro’ preso da lei?Forse.
Sicuramente
le assomiglio nella dolcezza e nel dare felicita’.Per me, pero’, c' e'
un solo mezzo in questo mondo per essere felici, ed e' quello di fare
tutto quello che si puo' fare per rendere felici gli altri. So che le
donne amate, per essere felici, hanno bisogno di essere uccise. Io le
rendo felici.
Il modo migliore per amare una donna e' pensare al fatto che si potrebbe perderla. La morte per mia mano e' averla per sempre.
Con la morte dono eta' e splendore impareggiabili, di bellezza tale da sfuggire alla piena comprensione degli uomini.
Che cosa e' la pietra del buio e delle tenebra?
E' la fine che appartiene all' oscurita'...
Che cosa significa fine?
E' un luogo in cui vi e' solo ricordo dell' eta' e della bellezza avute in dono.
Un
giorno quando Johanna e’ appena entrata nell’ adolescenza nella sua
vita compare Louis, un ufficiale di un corpo speciale dell’ esercito,
originario di una regione del Nord Europa.
Non ho mai saputo dove
mia madre e mio padre si videro per la prima volta. Forse nella grande
piazza antistante la grande casa dove abitava, che comprendeva anche le
stalle e i cortili per la sosta dei carri e i grandi magazzini per i
depositi delle merci.I
dettagli del loro incontro e della loro prima conversazione non li ho mai conosciuti.
Certo
e’ che mia madre fu colpita da questo uomo in divisa, non molto alto,
biondo, e occhi di un celeste del cielo. Il colore degli occhi di mio
padre, diceva sempre mia madre, era sicuramente pari a quello del
paradiso e emanavano una luce particolare che davano al suo sguardo il
calore dei primi raggi del sole del mattino che si alzano a scaldare il
mondo dopo il freddo della notte. Occhi azzurri penetranti e
intelligenti su un viso dalla carnagione pallida da nordico,
incorniciato dai capelli biondi, con un leggero principio di sicura
incipiente calvizie.
Il suo sorriso mostrava una bella chiostra di
denti regolari e, ricordava mia madre, metteva gli altri nella
condizione di restituirglielo.
Louis, diceva mia madre, era una
persona sensibile, colta e religiosa.Credo che mia madre abbia sentito,
incontrando Louis, l’ incombere di quei momenti decisivi che ti cambiano
la vita: una di quelle svolte in cui o afferri l’ opportunita’ fugace
che ti si presenta o la guardi inerme scivolare via dalle tue mani e
ritornare nel nulla.
Ritengo che abbia subito compreso, a parte il
resto, che doveva rivedere quell’ ufficiale dagli occhi di cielo, che
doveva imporre a suo padre.
Mia madre non mi ha mai raccontato di grandi difficolta’.
Si sposarono dopo un breve fidanzamento: lui 23 anni, lei 19.
Nel
giro di due anni hanno due figli: Admeto, da un personaggio della
mitologia greca (re di Fere in Tessaglia; fu anche sposo di Alcesti.
Figlio di re Fere, da cui la città prende nome, fu uno degli Argonauti e
prese parte alla caccia al Cinghiale Calidonio. Era celebre per la sua
ospitalità e per il suo senso di giustizia), e John Charles.
Dopo14 anni, allo scoppio della seconda guerra mondiale, sono nato io.
Non ho molti ricordi di mio padre.
Solo questi due.
Non
ho mai conosciuto mio padre, morto in guerra, l' ultima, quando avevo
tre anni. La sua grande umanita', cultura, amore per la liberta' e la
giustizia le ho conosciute soprattutto attraverso i racconti di mia
madre.
Quando penso a lui vedo mio padre, mentre mi fissa con i
suoi occhi azzurri e mi dice che la liberta' va strappata dalle mani
degli oppressori.
Un insegnamento che trasmetto ogni giorno ai miei figli e nipoti con il mio comportamento.
Come dice Adorno nei ''Minima moralia'': non si da' vera vita nella falsa.
L’ idea di liberta’ mio padre me lo ha trasmesso pochi mesi prima di morire.
E’ l’ unico ricordo che ho di lui. Un ricordo mio, esclusivamente mio.
‘’Ogni
uomo ha dei ricordi che racconterebbe solo agli amici. Ha anche cose
nella mente che non rivelerebbe neanche agli amici, ma solo a se stesso,
in segreto. Ma ci sono altre cose che un uomo ha paura di rivelare
persino a se stesso, e ogni uomo perbene ha un certo numero di cose del
genere accantonate nella mente’’.
Dostojevskij: ‘’Memorie del sottosuolo’’.
Quando mi ha parlato di liberta’ a ogni costo, da strappare dalle mani degli oppressori, siamo io e lui da soli.
Andiamo,
la mia mano nella sua, da Nayaders, dove, in tempo di guerra, aveva
trasferito la famiglia, a New Adolya, un altro centro dell’
Alleopartshire, distante un paio di chilometri.
E’ marzo, non so
se il giorno del mio compleanno. Ha avuto due giorni di licenza, ho poi
saputo da mia madre quando dopo anni, molti, racconto l’ episodio. E’ di
stanza a Castle, circa venti chilometri da Nayaders.
I miei
ricordi dell’ ambiente della campagna sono piuttosto sfuocati. Diventano
nitidi solo sulla sequenza della passeggiata e delle sue parole.
Camminiamo
sul ciglio destro della strada. Sto alla sua destra per non correre
pericoli, anche se il traffico e’ limitato a poche biciclette, a qualche
carretto trainato dai cavalli, molte le persone a piedi, soprattutto
donne e qualche ragazzo. Uno di questi ci passa accanto correndo.
Lui
e’ in borghese, indossa un abito scuro, io un capottino chiaro con il
colletto in velluto. Nella mia mente tutto e’ chiaro, soprattutto i suoi
occhi di un intenso azzurro.
Camminiamo in silenzio. Mio padre mi
stringe la mano. Il suo viso e’ sereno. Sono raggiante. Non passo molto
tempo con lui. Quando la sera, non tutte le sere, lui torna a casa, io
sono a letto e dormo, e la mattina, quando riparte, non sono ancora
sveglio. Mia madre mi ha sempre raccontato che appena entrato in casa
veniva nella mia camera, mi accarezzava sui capelli e mi dava un bacio
sulla fronte. Rito che ripeteva quando andava via.
Arrivati all’
altezza del cimitero di Nayaders ci fermiamo, ci sediamo, uno a fianco
all’ altro, su un poggiolo ricoperto d’ erba.Comincia a parlare. Dice
quanto bene vuole alla mamma, a me, agli altri due figli. Poi racconta
delle brutture della guerra, della inutilita’ di un conflitto scatenato
da un pazzo e assecondato da un altro stolto, solo per sete di potere,
delle false speranze di vittoria decantate dal Duce, dal Re. Espone i
suoi concetti di liberta’, fratellanza, di giustizia e pace tra i
popoli. Quando scoppia una guerra, continua, la gente dice:''Non durerà, è cosa troppo stupida''. E non vi è dubbio che una guerra sia davvero troppo stupida, ma questo non le impedisce di durare. Ogni volta che ha dovuto scegliere tra l' uomo e il pazzo, il mondo ha sempre seguito il pazzo senza esitare. Perché, conclkude amaramente, il pazzo lusinga quello che è fondamentale nell' uomo, le passioni e gli istinti.
Parole allora non comprese. Troppo difficili per me. Sono pero’
rimaste incise nella mia mente, capite solo col crescere degli
anni.Siamo rimasti seduti forse una mezz’ ora, poi lentamente siamo
tornati a casa.
Quella e’ l’ ultima volta che ho visto mio padre.
Non ho altri ricordi di lui vivo.
Dopo
alcuni mesi un ufficiale e’ venuto a casa per dare a mia madre la
notizia che il marito era morto in un bombardamento di guerra, quella
guerra da lui rifiutata, ritenuta inutile, dichiarata da un folle,
appoggiata da uno stolto, solo per sete di conquista.
‘’Ciao Duke. Che sorpresa! Come mai a casa?’’.
Cosi’ mia madre aprendo la porta di casa e trovandosi davanti il cognato, in divisa da militare, ma senza cinturone, senza armi.
Sorride.
E’ contenta di vedere il marito della sorella di suo marito. In tempo
di guerra un parente che ti viene a trovare e’ sempre una festa.
Duke
entra. Non ha il viso allegro. Immediatamente dietro di lui si
materializza un ufficiale dell’ esercito, un maggiore del comando
generale. Anche lui e’ serio. La faccia e’ tirata.
Mia madre fa
entrare anche lui. La sorpresa aumenta. A casa non sono mai venuti
colleghi di mio padre, anche lui militare, di stanza a Castle, nella
sede del comando generale. Si domanda il perche’ di questa visita.
In
casa, oltre mia madre, c’ e’ la governante: e’ in cucina e mi tiene in
braccio. Mi mette nella culla e raggiunge in salotto mia madre per
chiedere se ha necessita’ che prepari qualcosa per gli ospiti.
Sta in silenzio in attesa di ordini.
‘’Johanna’’ attacca Duke ‘’non e facile quello che devo dirti…’’.
Mia
madre si agita. Ha capito il motivo della visita. Il giorno prima, il
13 maggio del 1943, Castle e’ stata oggetto di un violento
bombardamento, che l’ ha rasa al suolo. Le bombe cadute a migliaia sulla
citta’ hanno completato l’ opera cominciata nella precedente incursione
aerea, quella del 28 febbraio, nel corso della quale erano morte
centinaia di persone, tra cui, una delle sorelle di mia madre, Dhelyn.
Ricordo che l’ aria e’ molto pesante, grigia, come prima di una tempesta.
‘’Cosa
e’ successo? E’ ferito? Come sta? E’ morto? Come e’ successo? Dove e’
accaduto? Dove e’ adesso? Lo so e’ morto. Se fosse ancora vivo il
maggiore non sarebbe venuto con te. E’ vero. Questa e’ la comunicazione
ufficiale della sua morte.’’
Mentre parla mia madre si alza. Si avvicina al cognato. Prende il suo viso tra le mani.
Le sue forze cedono, le gambe crollano e la sua testa si svuota del tutto. Non gli viene in mente una sola parola.
Cade a terra.
Svenuta.
Mio
zio, l’ alto ufficiale, la governante la sollevano e la portano nella
sua camera e la depositano sul letto, vicino alla mia culla. Vedo tutta
la scena, ma non capisco. Nessuno si interessa di me. Sono tutti attorno
a mia madre.
Rinviene. Comincia a piangere, sommessamente. Pronuncia sottovoce parole di dolore.
Da molto lontano si sente il lento rintocco di una campana – con lunghe pause – riecheggiare per le campagne.
La
notizia vola a Nayaders, il paese, a venti chilometri da Castle, dove
in quel periodo di guerra la mia famiglia risiede. Mia madre e’ molto
conosciuta e ben voluta. Vi ha lavorato per alcuni anni come ostetrica
condotta. Io sono nato li’. Tre anni prima, poco dopo la dichiarazione
dell’ entrata in guerra del mio Paese. Un conflitto mondiale inutile,
scatenato da due pazzi solo per questioni di potere, per tentare l’
impossibile dominio del mondo occidentale.
Immediatamente arrivano
le vicine di casa. Vengono a portare conforto e a badare a me e ai miei
due fratelli, nel frattempo rientrati a casa.
Tutto il giorno e’
un via vai di gente. Vengono a fare le condoglianze. Le donne si fermano
per preparare, come si usa nel paese, i pasti per la famiglia del
morto.
Il maggiore dice che mio padre e’ morto vittima del suo
dovere: ‘’Si e’ attardato per chiudere a chiave il comando e poi mentre
cercava di raggiungere uno dei vicini rifugi antiaerei e’ stato travolto
da un palazzo, crollato perche’ centrato da una bomba. Suo marito e
caduto sotto le macerie, sotto una nuvola di fumo o di polvere. Troppo
tardi.’’
L’ alto ufficiale, dopo avere consegnato alcuni effetti personali di mio padre, riparte.
Mio zio Duke, invece, si ferma per altri due giorni per aiutare mia madre e i nipoti ad affrontare questo triste momento.
Mia madre da quel giorno veste in nero. Ai miei fratelli e a me viene cucito sugli abiti un nastrino di seta nero.
Quel giorno, i successivi e i seguenti anni sono vissuti da me senza coscienza.
Ho capito tutto, diventando grande, su quello che mi e’ stato raccontato da chi mi ha visto crescere.
Si nasce una volta, due non è concesso, ed è necessario non essere più in eterno e mentre si attende di vivere la vita passa.
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