Un romanzo, 115 autori
"Così raccontiamo la Resistenza"
"In territorio nemico" pubblicato da Minimum Fax è il risultato di Scrittura industriale collettiva, esperimento ideato dai fiorentini Vanni Santoni e Gregorio Magini che spiegano. "E' un'affermazione politica"
di FULVIO PALOSCIAAbbasso lo scrittore. Quello che ingombra fino a inghiottire personaggi e vicende, quello il cui stile artificioso ed esibizionista finisce per togliere carne e sangue alle creature che lottano per uscire dalla pagina e invece se ne stanno lì, spiaccicate tra le righe d’inchiostro, autentiche sbarre di una prigione. Abbasso l’autore-brand, che registra vendite colossali, ma zero qualità. Il progetto Scrittura industriale collettiva, che pubblica per Minimum fax un romanzo che di autori ne ha 115, In territorio nemico(sarà presentato il 17 aprile da Feltrinelli), è nato anche per questo. Per smitizzare la figura dello scrittore negli anni in cui si vendono pochi libri, a patto che non siano di penne idolatrate. «Pubblicare un libro senza un unico autore, ma scritto a 230 mani, è un’affermazione politica — spiegano i fiorentini Vanni Santoni e Gregorio Magini, ideatori del progetto — nel mondo editoriale non si sa mai chi ci ha mai lavorato ad un libro. Il nostro obiettivo è far emergere il sommerso, dal traduttore al ghost writer sottopagato che sta dietro la grande firma. Per questo, nelle ultime pagine del libro, abbiamo elencato tutti coloro che l’hanno reso possibile, aldilà degli autori».
Dietro Matteo, sua sorella Adele, il cognato Aldo, i tre protagonisti in fuga che si muovono nell’Italia della dominazione nazista, braccati dall’amore, dalla morte, dal desiderio irrefrenabile di liberare il paese dalle dittature militando nella Resistenza, braccati persino da loro stessi fino alla follia,c’è un metodo che ha regolato il complicato flusso di informazioni fornite dai 120 dei 400 autori che avevano risposto al bando di Sic: «Volevamo uscire dall’idea di scrittura collettiva come gioco — raccontano Santoni e Magini — e per far questo erano necessarie regole, un procedimento ben definito che tutti possono utilizzare, e che può essere scaricato sul sito www. scritturacollettiva. org. Abbiamo prima deciso l’ambito temporale in cui volevamo muoverci, la Resistenza, perché ci tocca tutti; abbiamo quindi invitato gli autori a raccogliere aneddoti e storie familiari sul tema, per poi enucleare temi narrativi — personaggi, ambientazione, interazioni — che sono stati trattati da gruppi indipendenti di scrittori. I compositori — ovvero noi, Stefano Pizzutelli e Stefano Bonchi — hanno preso le parti migliori su cui gli autori sono stati invitati di nuovo a lavorare, e così via fino a che non abbiamo distillato i vari capitoli. Un romanzo-Frankenstein». Industriale. Perché? «C’è del fordismo in questo sistema: la contingentazione del lavoro, una specie di catena di montaggio creativa. E volevamo rispondere in modo provocatorio a chi dice che la scrittura collettiva distrugge la figura romantica dello scrittore tutto stupori e tremori. Crediamo invece che inventare un metodo di scrittura sia molto romantico perché significa dettare nuove frontiere».
La scrittura collettiva, praticata in Italia sin dai futuristi (e anche Lettera ad una professoressa ne è un esempio, risultato della collazione degli scritti degli alunni di Barbiana, ad opera di don Milani), è stata spesso applicata al romanzo storico. Basta pensare ai bestseller di Wu Ming. «Per quanto riguarda noi, è una scelta che ci è venuta naturale — spiegano Santoni e Magini — Il romanzo storico lavora sulle fonti, anche la Sic produce un sistema interno di fonti a cui si attinge. E si presta ad ogni genere di romanzo, è modulare, flessibile: la differenza con gli altri metodi è che noi non discutiamo il risultato in modo assembleare: il compositore non scrive ma ha poteri sulla scelte». In territorio nemico omaggia il filone della letteratura resistenziale italiana, Fenoglio in testa. Al bando finti, aridi, gratuiti sperimentalismi: lo stile è asciutto, omogeneo, venato di affabili anticature, cinematograficamente descrittivo e dal ritmo incalzante. Il senso della collettività autorale si riflette in un romanzo corale, dove è l’Italia e la sua gente a parlare (e quindi tutti noi), dove i dialetti del nord e del sud si rincorrono di pagina in pagina «tanto che, quando abbiamo scritto la parola fine, ci è venuto in mente Gadda e il suo desiderio di lavorare un romanzo con tutti i possibili localismi verbali del nostro Paese» dicono Santoni e Magini. Che non nascondono le finalità di Sic: «Scrivere un buon romanzo. E trovare chi lo pubblicasse e legittimasse l’esistenza del progetto. Perché tanto in Italia non sei scrittore se non pubblichi. Noi, in un colpo solo, ne abbiamo legittimati 115».
Pier Luigi Zanata, uno dei 115, a Rignano Flaminio (Roma)
Nessun commento:
Posta un commento
Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.