Giuseppe
Corica vince con La voglia di melagrana il Premio community ilmiolibro -
laFeltrinelli.it 2011 per il miglior incipit, assegnato dai lettori. La
storia parte dall'inizio del '900 e si svolge tra oniriche
premonizioni, desideri, morti e rinascite per rimarginarsi, ai nostri
giorni, attorno al filo conduttore di una "voglia" di melagrana. Per il
romanzo di Corica oltre 6 mila voti, raggiunti al termine di un lungo
testa a testa.
Quello che si presenta ai vostri occhi come un singolo volume, contiene in realtà due ambiziosi affreschi storici che, accostati, danno vita a una grande e ambiziosa rappresentazione del secolo scorso. Un Novecento tutto siciliano, materico, carnale, sanguigno, ma anche poetico, percorso da slanci idealistici, da fughe in avanti e repentine battute d'arresto. La vita rurale, la fatica del lavoro, il sudore della terra, e poi la città, Palermo, ricca e aristocratica, lo studio, gli innamoramenti, le illusioni di uomini e donne raccontati da una voce unica, capace di mescere l'italiano più forbito e le più arcaiche forme dialettali, senza mai indulgere nel barocchismo, senza mai trascolorare nell'oscurità e nell'autocompiacimento. Preceduto in questa ricerca da illustri maestri, Giuseppe Corica s'impone per indubbia autorevolezza tra coloro che sanno affabulare senza mai dimenticare il piacere della lettura, delle buone storie e dei veri sentimenti.
Ecco l'incipit del romanzo:
L'aia del Pianoquadro, a Casalnuovo, era piena di timogne. Ce n'erano a decine, addossate le une alle altre, con i tetti a spiovente, fatti di spighe di laùri con le reste nere. Era il grano migliore, roba forte, con i chicchi scuri e grossi, che quando li macinavi rendevano farina di quella buona per farci il pane, mentre per i biscotti ci voleva la roba tenera e, con la canigghia, ci potevi addubbare le galline e, se ci aggiungevi il laurindio macinato, il rosso delle uova veniva del colore dei granati. Continua a leggere
Quello che si presenta ai vostri occhi come un singolo volume, contiene in realtà due ambiziosi affreschi storici che, accostati, danno vita a una grande e ambiziosa rappresentazione del secolo scorso. Un Novecento tutto siciliano, materico, carnale, sanguigno, ma anche poetico, percorso da slanci idealistici, da fughe in avanti e repentine battute d'arresto. La vita rurale, la fatica del lavoro, il sudore della terra, e poi la città, Palermo, ricca e aristocratica, lo studio, gli innamoramenti, le illusioni di uomini e donne raccontati da una voce unica, capace di mescere l'italiano più forbito e le più arcaiche forme dialettali, senza mai indulgere nel barocchismo, senza mai trascolorare nell'oscurità e nell'autocompiacimento. Preceduto in questa ricerca da illustri maestri, Giuseppe Corica s'impone per indubbia autorevolezza tra coloro che sanno affabulare senza mai dimenticare il piacere della lettura, delle buone storie e dei veri sentimenti.
Ecco l'incipit del romanzo:
L'aia del Pianoquadro, a Casalnuovo, era piena di timogne. Ce n'erano a decine, addossate le une alle altre, con i tetti a spiovente, fatti di spighe di laùri con le reste nere. Era il grano migliore, roba forte, con i chicchi scuri e grossi, che quando li macinavi rendevano farina di quella buona per farci il pane, mentre per i biscotti ci voleva la roba tenera e, con la canigghia, ci potevi addubbare le galline e, se ci aggiungevi il laurindio macinato, il rosso delle uova veniva del colore dei granati. Continua a leggere
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