Una città a macchia di caffè
Curata dall’associazione Aristeo e dall’architetto Stefano Serio, la mostra “Gli antichi caffè di Sassari - Moda, socialità e commercio nella Sassari dell'Ottocento tra Risorgimento e Unità d'Italia” è uno spaccato della Sassari raccontata da Enrico Costa come da Pompeo Calvia, dunque non solo la Sassari cionfraiora e risurana ma anche la Sassari colta, immersa, come spiega Simonetta Castia presidente dell’associazione culturale Aristeo, «nel clima elegante e ciarliero della borghesia cittadina di fine Ottocento. L’intento è appunto quello di rievocare la temperie sociale e storica di un periodo, quello a cavallo fra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento, particolarmente ricco di fermenti politici e culturali». Inutile sottolineare l’evidenza, e cioè che la mostra cade a pennello con le celebrazioni del 150esimo anniversario dell’Unità d’Italia: e difatti grazie alla collaborazione dell’Archivio storico e della Biblioteca comunale, attraverso stampe, cartoline, immagini d’epoca e rievocazioni storiche della stessa Castia alla luce degli scritti di Enrico Costa, la Sassari ottocentesca diventa, nella mostra, una città che attraverso immagini e letture si espande a macchia di caffè e ritorna a vivere, anche nei versi di Salvator Ruju che così ci rassicura: «Ti digu chi da Abbondiu n’è passadu / d’inzègnu, a quintari, a tunilladi / e li megliu anni si ni sò andadi,/ e accómmi vecciaréddu e ischarrugadu».
Bastano questi versi a rendere testimonianza dei fermenti culturali sassaresi di allora: al caffè d’Abbondio, scriveva Ruju, ne sono passati di ingegni, a quintali, a tonnellate, e non solo da Abbondio ma anche nei frequentatissimi caffè Bossalino, Roma, Mortara che poi sono diventati Svizzero, Sassarese, Martini, per arrivare, attraverso il salotto di Piazza d’Italia, al trittico del Caffé dei Portici, del Giardino e del Corso: all’epoca veri e propri centri di nascita e diffusione di idee e cultura, perché, come scriveva Ettore Petrolini, “leggo anche dei libri, molti libri: ma ci imparo meno che dalla vita”. E di vita, culturale e non, nei caffè d’allora ce n’era tanta e lì bisognava andare per incontrare Salvator Ruju, Enrico Costa e Luigi Canepa (insieme nella foto in alto a sinistra), e più avanti ai primi del Novecento quella generazione di artisti, intellettuali, avvocati di cui scriveva Frumentario (alias Aldo Cesaraccio) nella nota rubrica “Al Caffè” (appunto) sulla Nuova Sardegna.
Avvocati colti, come Peppino Abozzi amico di Giuseppe Biasi, Aldo Satta amico di Pietro Pancrazi – il critico letterario del «Corriere della Sera» - l’irriverente avvocato Ugo Puggioni amico di Giovanni Ansaldo, Michele Saba, Arnaldo Satta Branca, gli artisti Delitala, Figari e Vico Mossa, e infine lo stesso Biasi con le sue interminabili partite di scacchi al tavolino del bar all’angolo con piazza d’Italia: «Sorriso composto - scriveva di lui lo scultore Francesco Ciusa - quasi a bocca chiusa, ciglia inarcate accompagnate da una raffinata mossa, lievemente accennata, a volersi sollevare sulla punta dei piedi per poi lasciarsi cadere a piombo con elasticità sui tacchi. Qualunque mossa ei facesse era un’espressione, sia nel parlare come nei movimenti e mai perdeva il controllo del suo spirito aristocratico». Sembra di vederlo, l’arguto e ironivo Biasi “seduto in quel caffè”. Si racconta che Cavour abbia preso importanti decisioni circa l’Unità d’Italia pranzando lautamente al ristorante del Cambio, a Torino. Mitologia del Risorgimento. Ma vuoi mettere un aperitivo al Caffè d’Abbondiu? (Giambernardo Piroddi)
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