Da leggere: Bruno Cartosio, I lunghi anni Sessanta
L'orgoglio
afroamericano, la presa di parola degli studenti, la guerra in Vietnam e
il rapporto con la controcultura. L'ultimo saggio di Bruno Cartosio
dedicato agli anni Sessanta negli Stati Uniti
Usa, anni Sessanta. Un mondo sottosopra
Il
2012 è un anno importante per ricordare gli anni Sessanta. Compiono
mezzo secolo infatti fenomeni e processi, molto diversi fra loro, ma
tutti egualmente decisivi, della storia internazionale e italiana del
decennio quali il manifesto degli studenti statunitensi di Port Huron,
la bibbia ecologista Primavera silenziosa di Rachel Carson, la rivolta
operaia di Piazza Statuto a Torino, il primo disco dei Beatles nella
formazione-tipo con Ringo Starr. Ecco, non si poteva cominciare meglio
un anno tanto significativo per i Sessanta che con questo importante
libro di Bruno Cartosio. È il più lungo, mi pare, degli ormai suoi
numerosi volumi. Ma uno non se ne accorge, tanto scivola via leggero,
con una felicità di passo narrativo direttamente proporzionale al peso
sostanziale delle cose che dice. Si intitola giustamente I lunghi anni
sessanta. Movimento sociali e cultura politica negli Stati Uniti.
Giustamente perché lo storico tortonese la prende a ragione da lontano,
ricollegandosi al suo precedente Anni inquieti (1992), nel quale aveva
squarciato il velo del presunto conformismo consensuale del decennio
cinquanta.
È
da lì che bisogna partire, dalle increspature di Fonzie e degli happy
days, sotto cui covavano i fuochi del movimento per i diritti civili. E
di lì, dal Sud, cioè da Rosa Parks e Martin Luther King, parte Cartosio,
ricordandoci che «non si può avviare una lotta insieme legale e di
popolo se la persona che di essa può essere considerata l'origine non è
consenziente e, soprattutto, consapevole delle implicazioni anche
personali delle sue scelte». Così era per Parks, che «non era solo una
lavoratrice stanca per la giornata di lavoro, era una militante nera,
iscritta da anni alla National Association for the Advancement of
Colored People e decisa ad affrontare le conseguenze del suo atto
deliberato di sfida». Lo stesso erano «anche il marito e le persone
intorno ai neri nei giorni decisivi che precedettero e seguirono quel 1
dicembre» in cui Parks oppose la propria determinata ostinazione di
libertà a un rito vuoto di deferenza e subordinazione verso i bianchi.
«In quel lunghissimo atto di sfida infine vittorioso - annota Cartosio -
si manifestò agli occhi degli oppressori l'esistenza di un'inattesa
capacità degli oppressi di prendere individualmente decisioni di enorme
impegno morale e di sostenerle materialmente».
Ecco
definito così il rapporto dialettico fra gli individui, i piccoli
gruppi, i movimenti e le culture politiche che innervarono il lungo
decennio. Cartosio segue con lo sguardo i cerchi d'acqua insubordinati
che da Montgomery riverberano nel resto del paese, in una «vasta e
soprattutto duratura solidarietà locale e nazionale» che «fu una
sorpresa per gli oppressori, a conferma del fatto che l'ottusità di un
ceto dominante non deve essere presa a parametro per giudicare la realtà
dei gruppi sociali da cui quel ceto si mantiene separato e lontano».
Cito molto fra virgolette perché mi piace dare l'idea di come si possa
scrivere un libro di storia rigoroso e ultradocumentato, con oltre
sessanta pagine di note e bibliografia, senza per questo essere
necessariamente astrusi o incomprensibili. Ma anzi incorporando, con
opportuna disinvoltura, l'interpretazione e la concettualizzazione nel
vivo del racconto. Un racconto che spazia, nella migliore tradizione
della storia culturale, dalle fonti giornalistiche, a quelle letterarie,
a quelle accademiche, distendendosi da una parte all'altra del paese e
aprendo, un sipario dietro l'altro, le mille facce dei movimenti
dell'epoca.
Così
dalla segregazione legale e istituzionale al Sud il quadrante si sposta
a quella di fatto, residenziale, al Nord, nella cittadina industriale
di Cicero, ai margini di Chicago, sede nel 1951 di un grave episodio di
intolleranza razziale. E poi ai movimenti bianchi che nacquero in
condizioni affatto diverse dal movimento nero sudista, in un complesso e
contraddittorio rapporto fra «padri e figli», cioè, in alcuni casi, fra
Vecchia e Nuova Sinistra, con figure leggendarie come Pete Seeger che
abbiamo visto cantare We Shall Overcome lo scorso ottobre fra i ragazzi
di Occupy Wall Street. Ecco, We Shall Overcome, l'inno del movimento per
i diritti civili, un brano che in realtà comincia la sua lunga carriera
ben prima, sotto il titolo di I'll Be Allright oppure I'll Overcome,
nelle chiese battiste e metodiste d'inizio Novecento. Per poi essere
adattato, nell'immediato secondo dopoguerra mondiale, dai lavoratori
neri in sciopero a Charleston, in South Carolina, contro l'American
Tobacco Company. Alcuni di questi lavoratori la portarono al centro di
formazione culturale e militante dela Highlander Folk School di
Monteagle, nel Tennessee, e forse loro stessi o forse Pete Seeger
tradussero in chiave collettiva l'«io» delle prime versioni,
introducendo quel «noi» che campeggia nei cori degli studenti
afroamericani per i diritti civili e in tutte le successive
elaborazioni.
Sono
innumerevoli i fili come questi che Cartosio annoda pazientemente, nel
tempo e nello spazio, in una ricostruzione del divenire dei movimenti
nella quale raramente il processo cede il passo a modelli astratti o
tesi preconcette. Di questo divenire si sottolineano i poderosi effetti
collettivi, ma anche i limiti, le divisioni, le rotture. I lunghi anni
sessanta non si nasconde, ad esempio, «l'estraneità del Movimento nei
confronti del mondo del lavoro» sino a fine decennio, mentre nel
frattempo anche questa faccia a lungo nascosta del pianeta operaio
ricomincia a incrociare le braccia. Né si nasconde le tensioni fra
bianchi e neri, fra studenti più «politicizzati» e controcultura, fra
maschi e movimenti delle donne, o le contraddizioni di un fenomeno come
Woodstock. Il libro cerca con successo di tenersi al riparo da ogni
mito: quello di chi appunto risolve tutto con Woodstock e annega gli
anni Sessanta in un fenomeno pittoresco, uno scrollare apparentemente
narcisista di capelli lunghi o di treccine afro o un tintinnare di
perline. E quello di chi pretende che non sia successo nulla.
Con
equilibrio ammirevole fra analisi e passione, in chi come lui ha
vissuto intensamente quegli anni, Cartosio conclude con due osservazioni
di sintesi che paiono incontrovertibili e che costituiscono anche un
utile punto di partenza per ulteriori ricerche. La prima, che ricorda un
classico brano di William Blake citato da Edward P. Thompson, è che
«ognuno dei movimenti sociali che si sono succeduti e intrecciati a
partire dagli anni Cinquanta creò aspettative, per così dire, più grandi
di sé, finendo per passare almeno in parte la ricerca della loro
soddisfazione ai successivi, che ebbero lo stesso ruolo, e così via.
Ognuno dei soggetti collettivi fu chiamato a rispondere a quanto era
lasciato inevaso dai precedenti, a rispondere a parte delle proprie
domande, a porne di nuove e a chiamare in scena nuovi soggetti».
La
seconda è che «la dialettica che ha tenuto intrecciati movimenti e
società - i movimenti tra loro e ognuno con la mutevole società - non è
stata un processo lineare, tanto meno una cavalcata trionfale». Perché
«le conquiste dei movimenti per i diritti civili e delle donne non hanno
cancellato razzismo e sessismo, né hanno impedito le ricorrenti messe
in discussione di quelle stesse conquiste». Ma neppure, aggiunge,
bisogna dimenticare che «se è vero che gli Stati Uniti in cui una donna e
un nero si sono contesi la candidatura alla Casa Bianca e in cui Barack
Obama è stato poi eletto presidente non sono quelli di prima degli anni
sessanta... sarà ben possibile concludere non solo che il cambiamento
c'è stato, ma che decisivi nel provocarlo sono stati i movimenti che
hanno lottato per l'abbattimento delle preclusioni nei confronti di
tutti coloro che, in modi diversi, erano stati esclusi».
Ecco
delineata così l'agenda di ricerca per un altro volume, un libro
sull'altro segmento dei «lunghi» anni Sessanta, ovvero la loro
proiezione su quei primi Settanta in cui convivono residui di movimenti e
austerità, perentorio ritorno dell'economico e definitiva esplosione
delle istanze femminili. Cartosio pare la persona più adatta a esplorare
anche questo terreno. Magari, se posso avanzare una richiesta, con un
po' più di rock & roll di quello sciorinato in questo bel libro.
(Da: Il Manifesto del 28 gennaio 2012)
Bruno Cartosio
I lunghi anni Sessanta
Feltrinelli 2012
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