La forza dei romanzi
di Andrea Inglese
Quando Anselmo leggeva romanzi, davvero immergendosi in essi, si
rendeva conto che la sua vita acquistava slancio. Lui rimaneva fermo un
paio d’ore a popolare la mente di ambienti, fatti e personaggi
menzogneri, e intanto gli obiettivi remoti del suo vivere si facevano
più vicini, come visti attraverso un’aria tersa, quasi ingranditi da una
lente. Leggeva con foga storie di gangster, che sparavano a funerali,
da finte cornamuse, che erano in realtà potenti mitra. C’erano anche le
storie di adolescenti ubriachi, che si rotolavano su materassi a terra, e
facevano l’amore con lo stile delle più abusate pornostar. Ad
ogni romanzo, ci scappava un morto, ma a volte anche di più, e si
facevano enormi fortune con sole quattro o cinque pagine d’intrighi. Ad
Anselmo sembrava che, assorbendo in un mormorio appena allucinato
quell’arazzo di parole, il suo corpo rinvigorisse, come dopo anni di
palestra e acquagym. Tutto si depositava in una piccola zona della
memoria e da lì s’irradiava con una grande energia nelle membra. E lui,
come un eroe dai superpoteri, più leggeva più rovesciava con noncuranza
gli ostacoli. Si sentiva in grado d’infilarsi in nuove situazioni, di
abbordare la gente per strada, di mandare lettere al presidente della
Repubblica, alle testate giornalistiche nazionali, e riusciva a fare
cose che, in condizioni normali, di fruizione televisiva o di lettura di
sole gazzette, non gli erano concesse. Cambiava bar da un giorno
all’altro, scardinando vecchie abitudini: al posto del cappuccio
ordinava una cioccolata, e la sera al martini sostituiva uno spumante.
Andava a ritirare vecchie raccomandate con la ricevuta sgualcita, faceva
il pieno anche in periodo di crisi, fissando con sguardo freddo la
cifra esorbitante che il contaeuri della pompa gli segnalava. Si
cucinava pazientemente, con gesti solenni da sacerdote, un paio di uova
al burro, lasciandole friggere su una fiamma bassissima.Ma quando finiva un romanzo, senza riuscire ad attaccarne un altro nell’entusiasmo, superando il muro delle prime trenta pagine con determinazione e astuzia, quando insomma esitava tra più romanzi, o s’impaludava intorno a pagina 23, allora perdeva velocemente le forze, aveva un calo di motivazioni, vedeva tutto nero, e scorgeva macchie misteriose in punti poco visibili del corpo. Alla fine, smetteva persino di uscire di casa, e se aveva un lavoro, anche buono e ben pagato, tendeva a farsi licenziare. Tornava a cenare con le fette di mortadella, estratte dalla busta di plastica e ficcate in bocca con le mani.
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