Orhan Pamuk, Cosa ci succede quando leggiamo un romanzo
Quanti
modi ci sono di leggere un romanzo? Cosa ci succede quando incominciamo
a sfogliarne le pagine, ad immergerci nella storia e a immedesimarci
nei personaggi? Ce lo racconta Orhan Pamuk con questa splendida
riflessione apparsa qualche giorno fa su La Stampa.
Cosa ci succede quando leggiamo un romanzo
Cosa
succede nella nostra mente, nella nostra anima, quando leggiamo un
romanzo? In cosa tale sensazione interiore differisce da ciò che
proviamo guardando un film, un quadro, o ascoltando una poesia, o un
poema epico? Un romanzo può dare, di tanto in tanto, lo stesso piacere
che danno una biografia, un film, una poesia, un quadro o una fiaba.
Eppure l’effetto vero, esclusivo, di quest’arte è fondamentalmente
diverso da quello degli altri generi letterari, del cinema e della
pittura. E forse posso cominciare a illustrarvi la differenza
raccontandovi ciò che ero solito fare e le complesse immagini che
l’appassionata lettura di romanzi suscitava in me quando ero giovane.
Come
il visitatore di un museo in primo luogo e soprattutto desidera che il
quadro che sta guardando nutra i suoi occhi, io i solito preferivo
l’azione, il conflitto, e la ricchezza del paesaggio. Mi godevo sia la
sensazione di osservare segretamente la vita privata di un individuo sia
quella di esplorare gli angoli oscuri della veduta d’insieme.
Non
pensate che l’immagine che conservavo in me fosse sempre turbolenta.
Quando leggevo un romanzo, nella mia giovinezza, accadeva talora che
prendesse forma dentro di me un paesaggio ampio, profondo, quieto. E
qualche volta le luci si spegnevano, il bianco e il nero si accentuavano
e poi si scindevano, e spuntavano le ombre. Qualche volta mi
meravigliavo, perché avevo l’impressione che il mondo intero fosse fatto
di una luce del tutto diversa. E qualche volta il crepuscolo pervadeva e
copriva ogni cosa, l’intero universo diventava una singola emozione e
un singolo stile, capivo che ciò mi piaceva e sentivo che stavo leggendo
il libro per quella particolare atmosfera. Mentre venivo lentamente
sommerso dal mondo del romanzo, mi rendevo conto che le tracce delle
azioni che avevo compiuto prima di aprire le pagine del libro, seduto
nella casa di famiglia nel quartiere di Besiktas a Istanbul - il
bicchiere d’acqua che avevo bevuto, la conversazione con mia madre, i
pensieri che avevano attraversato la mia mente, i piccoli risentimenti
albergati -, svanivano piano piano.
Sentivo
che la poltrona arancione in cui ero seduto, il posacenere maleodorante
lì accanto, la stanza piena di tappeti, le grida dei ragazzini che
giocavano a pallone in strada e il fischio dei battelli in lontananza
retrocedevano dalla mia mente; e un mondo nuovo prendeva forma davanti a
me, parola per parola, frase per frase. Pagina dopo pagina, quel mondo
nuovo si cristallizzava e acquistava nitidezza, come quei disegni
segreti che appaiono a poco a poco quando ci si versa sopra un reagente;
e venivano messi a fuoco linee, ombre, avvenimenti e personaggi.
In
quei primi momenti, tutto ciò che ritardava il mio ingresso nel mondo
del romanzo e mi impediva di ricordare e immaginare personaggi,
avvenimenti e oggetti mi procurava grande fastidio. Un membro della
famiglia di cui avevo dimenticato il grado di parentela con il
protagonista, l’incerta ubicazione di un cassetto con dentro una
pistola, o una conversazione di cui intuivo ma non riuscivo a
interpretare il significato recondito, ecco, questo tipo di cose mi
irritavano enormemente. Scrutavo con avidità le parole, augurandomi, con
un misto di impazienza e piacere, che ogni cosa andasse rapidamente al
suo posto. In quei momenti, tutte le porte della mia percezione erano
spalancate, come i sensi di un animale domestico lasciato libero in un
ambiente del tutto alieno, e la mia mente cominciava a funzionare assai
più svelta, quasi in preda al panico. Mentre concentravo tutta la mia
attenzione sui dettagli del romanzo che stringevo fra le mani, per
mettermi in sintonia con il mondo in cui stavo entrando, lottavo per
visualizzare le parole con la mia immaginazione e vedere con l’occhio
della mente ogni cosa descritta nel libro.
Dopo
un po’, quello sforzo intenso ed estenuante dava i suoi risultati e
l’ampio paesaggio che desideravo vedere si apriva davanti a me come un
immenso continente che appare in tutta la sua nitidezza quando la nebbia
si solleva. Vedevo allora le cose raccontate nel romanzo come una
persona che guarda comodamente il panorama da una finestra. Considero
una sorta di modello come Tolstoj in Guerra e pace descrive Pierre che
osserva la battaglia di Borodino dalla cima di un colle. Molti dettagli
che il romanzo intesse delicatamente e prepara per noi, e che sentiamo
il bisogno di serbare nella memoria, appaiono in questa scena come in un
dipinto. Il lettore ha l’impressione di trovarsi non fra le parole di
un romanzo, bensì in piedi davanti a un quadro. Qui, la cura dello
scrittore per il dettaglio visivo, e l’abilità del lettore nel
visualizzare le parole trasformandole in un vasto paesaggio, sono
decisive. Leggiamo anche romanzi che non si svolgono nel paesaggio, su
campi di battaglia o nella natura, e sono invece ambientati in una
stanza, in atmosfere interiori soffocanti - La metamorfosi di Kafka è un
buon esempio. Leggiamo queste storie come se stessimo osservando un
paesaggio e, trasformandolo con l’occhio della mente in un quadro, ci
abituiamo all’atmosfera della scena, ce ne lasciamo influenzare, anzi la
esploriamo.
Voglio
fare un altro esempio, di nuovo da Tolstoj, che ha a che fare con
l’atto di guardare fuori da una finestra e mostra come leggendo si possa
entrare nel paesaggio di un romanzo. È una scena del più grande romanzo
di tutti i tempi, Anna Karénina. Anna ha appena incontrato Vrònskij a
Mosca.
La
sera, tornando in treno a San Pietroburgo, è felice perché l’indomani
rivedrà il figlio e il marito: «Anna \ prese dalla sua borsetta il
tagliacarte e un romanzo inglese. Dapprima non poteva leggere. Davano
noia il chiasso e l’andare e venire; poi, quando il treno si mosse, non
si poteva non porgere orecchio ai rumori; poi la neve che batteva contro
il finestrino di sinistra e che si appiccicava al vetro, e la vista
d’un capotreno imbacuccato che passava vicino, coperto di neve da una
parte, e i discorsi a proposito di com’era terribile la tempesta che
c’era fuori, distrassero la sua attenzione. Più innanzi tutto fu sempre
lo stesso: lo stesso traballìo accompagnato da picchi, la stessa neve
contro il finestrino, gli stessi celeri passaggi da un caldo di
vaporazione al freddo e di nuovo al caldo, lo stesso balenare degli
stessi volti nella penombra e le stesse voci, e Anna cominciò a leggere e
a capire quel che leggeva. \ Anna Arkàdjevna leggeva e capiva, ma le
dispiaceva di leggere, cioè di seguire i riflessi della vita di altre
persone. Aveva troppa voglia di vivere lei stessa. Se leggeva che
l’eroina del romanzo vegliava un malato, aveva voglia di camminare a
passi silenziosi per la stanza d’un malato; se leggeva come un membro
del parlamento pronunciava un discorso, aveva voglia di pronunciare quel
discorso; se leggeva che Lady Mary inseguiva un branco a cavallo e
stuzzicava la cognata e stupiva tutti col suo coraggio, voleva far
questo lei stessa. Ma non c’era nulla da fare, ed ella, girando il
coltellino liscio con le sue piccole mani, si sforzava di leggere».
Anna
non riesce a leggere perché non può fare a meno di pensare a Vrònskij,
perché desidera vivere. Se fosse capace di concentrarsi sul romanzo, non
avrebbe difficoltà a immaginare Lady Mary che monta a cavallo e segue
la muta dei cani. Visualizzerebbe la scena come se stesse guardando da
una finestra e avrebbe la sensazione di entrarci lei stessa a poco a
poco.
La
maggior parte degli scrittori sanno che la lettura delle prime pagine
di un romanzo è un’esperienza affine all’entrare in un quadro di
paesaggio. Pensiamo a come Stendhal inizia Il rosso e il nero. Prima
vediamo da lontano la città di Verrières, la collina su cui è situata,
le sue case bianche con i tetti spioventi di tegole rosse, le macchie di
robusti castagni e le rovine delle fortificazioni. Sotto scorre il
fiume Doubs. Poi notiamo le segherie e la fabbrica che produce toiles
peintes, tessuti stampati pieni di colore.
Una
pagina dopo, abbiamo già incontrato il sindaco, uno dei personaggi
principali, e capito la sua struttura mentale. Il vero piacere di
leggere un romanzo inizia con la capacità di vedere il mondo non
dall’esterno ma con gli occhi dei personaggi che in quel mondo vivono.
Leggendo un romanzo, oscilliamo fra ampia visione e attimi fuggevoli,
fra pensieri generali e fatti specifici, a una velocità che nessun altro
genere letterario è in grado di offrire. Mentre fissiamo un dipinto di
paesaggio da lontano, ci ritroviamo all’improvviso tra i pensieri
dell’individuo nel paesaggio e le sue sfumature d’umore. Ciò somiglia al
modo in cui, nei dipinti di paesaggio cinesi, contempliamo una piccola
figura umana sullo sfondo di fiumi, dirupi e alberi con miriadi di
foglie: ci concentriamo su quella figura, poi cerchiamo di immaginare il
paesaggio circostante attraverso i suoi occhi. (I dipinti cinesi sono
fatti per essere letti così).
A
quel punto ci accorgiamo che la composizione del paesaggio risponde
all’esigenza di riflettere i pensieri, le emozioni e le percezioni della
figura che c’è dentro. Allo stesso modo, sentendo che il paesaggio
dentro il romanzo è un’estensione, o una parte, dello stato mentale dei
personaggi, ci accorgiamo di identificarci con loro in una transizione
invisibile. Leggere un romanzo significa che, mentre affidiamo alla
memoria il contesto nel suo insieme, seguiamo, a uno a uno, i pensieri e
le azioni dei personaggi attribuendo loro un significato nel paesaggio
d’insieme. Siamo ora dentro il paesaggio che fino a poco fa guardavamo
dall’esterno: oltre a vedere le montagne con l’occhio della mente,
sentiamo la frescura del fiume e odoriamo il profumo della foresta,
parliamo con i personaggi e ci addentriamo nell’universo del libro. La
lingua del romanzo ci aiuta a combinare questi elementi distanti e
distinti, e a vedere sia i volti sia i pensieri dei personaggi come
parte di un’unica visione.
Quando
siamo immersi in un romanzo, la nostra mente lavora sodo, ma non quanto
quella di Anna, nello scompartimento di un treno sferragliante e
coperto di neve per San Pietroburgo. Oscilliamo continuamente fra il
paesaggio, gli alberi, i personaggi, i loro pensieri, gli oggetti che
toccano - e dagli oggetti ai ricordi che essi evocano, ad altri
personaggi, e infine alle riflessioni generali. La nostra mente e la
nostra percezione sono attivissime, agiscono con estrema rapidità e
concentrazione, facendo parecchie operazioni simultaneamente, ma molti
di noi non si rendono nemmeno più conto di farle. Ci comportiamo
esattamente come chi guida un’auto, che non compie consapevolmente il
gesto di schiacciare pulsanti, premere pedali, ruotare il volante con
cautela e nel rispetto di molteplici regole, leggendo e interpretando i
segnali stradali e tenendo d’occhio il traffico.
Questa
analogia è valida non solo per i lettori ma anche per il romanziere.
Alcuni autori non sono consapevoli delle tecniche che usano, scrivono in
modo spontaneo, come se stessero compiendo un gesto del tutto naturale,
dimentichi delle operazioni e dei calcoli che svolgono mentalmente e
del fatto che stanno usando il cambio, i freni e i pulsanti di cui li
fornisce l’arte del romanzo. Userò il termine «ingenuo» per descrivere
questo tipo di sensibilità, questo tipo di romanziere e di lettore di
romanzi: quelli a cui non interessa quanto c’è di artificioso nello
scrivere e nel leggere un libro. E userò il termine «riflessivo» per
descrivere la sensibilità opposta: vale a dire quei lettori e scrittori
che sono affascinati dalla componente artificiosa del testo e dalla sua
mancata adesione alla realtà, e che prestano severa attenzione ai metodi
usati nello scrivere romanzi e a come funziona la nostra mente mentre
leggiamo. Essere un romanziere è l’arte di essere nello stesso tempo
ingenuo e riflessivo.
(Da: La Stampa del 5 febbraio 2012)
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