L'economista François Chesnais
L'economista François Chesnais: "I debiti frutto della speculazione sono odiosi e si ha diritto all'insolvenza"
di Ignazio Dessì
C’è un nuovo spettro che s’aggira per l’Europa e
per il mondo: quello della finanza. Quella più becera, dei prodotti
tossici e della speculazione, che distrugge le vite di milioni di
persone insieme alla democrazia e all’ambiente. Da un trentennio ormai
il liberismo più sfrenato e senza controllo crea disastri e mette in
discussione il modello capitalista occidentale. Con la scusa del debito
pubblico da saldare senza se e senza ma il modello
liberista-monetarista-finanziario incrina lo stato sociale e
ingigantisce la differenza di reddito tra la gran parte della
popolazione e una piccola porzione di essa sempre più ricca.
Un libro dell’economista francese François Chesnais (Debiti illegittimi e diritto all'insolvenza, edizioni DeriveApprodi)
analizza a tutto tondo questo processo che ha al centro la
proliferazione di rendite finanziarie ingiustificate e slegate
dall’economia reale. Il professore dell’Università di Parigi prende in
esame lo sprazzo temporale che va dalla crisi dei subprime a quella
pesantissima dei giorni nostri, mettendo a nudo i limiti, le fragilità e
le storture del sistema bancario mondiale insieme alla frenetica
ricerca, da parte dei gruppi di potere, di soluzioni politiche e
istituzionali tese a un solo fine: alimentare il dominio dei potentati
finanziari. Il tutto, ovviamente, sulle spalle dei cittadini.
La finanza speculativa, con la creazione, negli ultimi decenni, di uno spropositato debito
pubblico contestuale alla deregolazione finanziaria e al benevolo
abbassamento di imposte per i più ricchi, ha creato in Europa deficit
pubblici enormi finanziati con l'indebitamento. Ma l’indebitamento
selvaggio, e spesso pilotato, è anche la scusa per accelerare la
privatizzazione e la precarizzazione.
Chesnais propone quindi quale unica soluzione la creazione di un movimento contro
il pagamento dei debiti illegittimi, “conseguenza – come lui evidenzia -
degli interventi di salvataggio del sistema bancario e della
speculazione che aumenta esponenzialmente gli interessi che gli stati
devono pagare sui loro buoni del tesoro”. Le conseguenti politiche di
rigore di bilancio e di riduzione delle retribuzioni imposte dalla Ue,
dalla Bce e dal Fmi non fanno poi che far scivolare inevitabilmente il
Vecchio continente nella recessione. Intanto i governi, che favoriscono
l’evasione e non tassano patrimoni e capitali, finiscono col trovarsi
sommersi dal debito nei confronti degli hedge funds stranieri e delle banche.
E’ questo un punto fondamentale dell’essenza malefica del debito.
La spesa degli Stati per far fronte agli interessi consente "un
incredibile trasferimento di ricchezza" nelle pance voraci di istituti
bancari e fondi di investimento, ovviamente a scapito dei redditi dei
lavoratori, del futuro dei giovani e della qualità di vita dei
cittadini. Le banche per altro prestano denaro “senza osservare criteri
di corrispondenza con l’ammontare dei depositi e dei risparmi” raccolti.
In pratica – spiega bene Chesnais - non sono dei “semplici
intermediari” come in genere si crede. Anzi, “dopo la loro mutazione finanziaria,
- aggiunge l’economista - i profitti più consistenti per gli istituti
bancari provengono proprio dalla loro attività di creazione di credito”.
Ma è inevitabile pagare i debiti?
Quando i debiti degli stati sono ingiustificati, frutto della
speculazione e degli interessi finanziari, sostiene Chesnais, diventano “odiosi”.
Sono cioè "contratti contro gli interessi dei cittadini e senza il loro
consenso. Allora è giusto non pagarli". Perché se si insegue il loro
pagamento, specie in tempi rapidi, la conseguenza è distruggere “i
diritti sociali, schiacciare i redditi e lacerare quel che resta dei
beni comuni e delle spese collettive indispensabili a garantire la
coesione sociale”. Bisognerebbe verificare, allora, attraverso audit
approfonditi, "quale quota proviene dal risparmio e quale dalla
speculazione, chiedere una moratoria e stabilire chi sono i creditori e
come è nato il debito. Stabilire quale parte di questo sia da rimborsare
e quale da contestare".
Questo è il nocciolo della questione e
qui dovrebbe passare, probabilmente, uno degli spartiacque tra una
nuova destra monetarista e finanziaria e una nuova sinistra forse ancora
da inventare. Il problema vero infatti è il ruolo assunto in questi
anni dal capitalismo finanziario che “ha globalizzato gli appetiti
imperialisti” attraverso “la trappola del debito”. Perché, in nome
dell’indispensabilità del suo pagamento, si diffonde a macchia d’olio
“una dittatura della finanza basata sullo sfruttamento della forza
lavoro”. Sfruttamento che si esplica nel “realizzare e piazzare”, a
pacchetti, nella roulette del gioco finanziario, il plusvalore estratto
da quello che Chesnais chiama “lavoro vivo”. Gli stessi governi statali,
secondo Chesnais, sono tutori degli interessi del capitalismo
finanziario mondiale ed è quindi indispensabile che tutto il mondo del
lavoro e le forze progressiste si attivino e rivendichino il “diritto
all’insolvenza”. La lotta al debito, non voluto dai cittadini che non ne
hanno colpa, è per ciò la “lotta contro il plusvalore e la sua natura”
sfruttatrice”. Del resto – come ha sostenuto di recente il segretario
della Cgil Susanna Camusso – “le politiche monetariste non ci porteranno
certo fuori dal guado. Troppa è la differenza tra profitti e reddito da
lavoro".
Bisogna dunque ripartire dalla presa di coscienza e dall’opposizione contro gli eccessi del capitale.
Lo si può fare "riorganizzando i lavoratori, i giovani, gli studenti e
le loro famiglie in affanno per pretendere il diritto allo studio e alla
sua libertà". Bisogna, conclude l'intellettuale francese, “soggettivare
il diritto all'insolvenza, sottraendolo al cappio del debito come mezzo
di esercizio di un potere globale contro il quale concretamente
mobilitarsi”. Per capovolgere l’assunto, viene spontaneo aggiungere, che
il mercato, e solo il mercato, sia ineluttabilmente il deus ex machina delle
nostre vite. Per riscoprire che al centro di tutto ci deve essere
l’uomo e non lo spietato interesse di chi specula attraverso la finanza.
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