Tarzan eroe in perizoma
Forse nessuno più di Tarzan
merita l’ appellativo di «noble savage». Nato dalla penna
dell’americano Edgar Rice Burroughs nel 1912, egli è sia un
aristocratico – discende dai Greystoke di Scozia – sia un primitivo –
viene allevato in Africa dalla scimmia Kala – e tale resterà, in ideale
equilibrio tra natura e cultura, per oltre venti libri. Tarzan, per
dirne una, è l’unico degli eroi cresciuti da un animale (Edipo, Romolo e
Remo, Mowgli) a non fare ritorno tra gli uomini. Alle lusinghe di una
modernità che, dopo numerosi viaggi e soggiorni in Europa e negli USA,
finisce col giudicare fiacca oltre che ipocrita, egli preferisce infatti
una casa semi-occidentalizzata tra gli alberi, da condividere con la
bionda Jane e da cui esercitare la propria autorità sulle scimmie e i
nativi del luogo.
Un novello Kurtz (Cuore di tenebra, 1902)? No, perché, a differenza dell’eroe conradiano, Burroughs non ha alcuna intenzione di consegnare il suo eroe legato mani e piedi alla giungla. Nel primo e riuscitissimo Tarzan delle scimmie (1914), per esempio, quando tutto lascerebbe pensare che Tarzan possa essere irrimediabilmente corrotto dall’educazione scimmiesca, l’opportuno rinvenimento dei libri del padre rimetterà tutto in gioco.
UNA «RAZZA PORTENTOSA»
Uno stucchevole colpo di scena? Certo che sì. Ma anche uno snodo ideologico importante, giacché dall’episodio Tarzan deriva il desiderio di imparare a leggere, il suggerimento di coprirsi e, infine, la consapevolezza di appartenere a una «razza portentosa», superiore alle scimmie e ai nativi africani. Che egli possa spadroneggiare in virtù di un’animalità sensibilmente corretta dalla civilizzazione (e dal sangue blu) è evidente sia nell’ossimoro che lo caratterizza – « l’uomo scimmia» – sia nei successivi Racconti della giungla, il volume del 1919 che oggi Donzelli propone impreziosito da una serie quanto mai azzeccata di tavole firmate da Burne Hogarth. Azzeccata perché l’eroe dal perizoma leopardato qui appare nella stessa posa dell’Adamo della Cappella Sistina (tav. I).
E quindi come se in il raffinato fumettista avesse voluto risuscitare le qualità di un uomo che è sì primitivo, ma anche dotato di forme perfette («a sua immagine e somiglianza»), innocenza (è senza peccato) e umana favella (nomina il mondo). Un creatura ideale, insomma, e soprattutto in perfetta sintonia con quello di Burroughs, uno scrittore sempre felice di evocare sulla pagina un paio di muscolose natiche maschili, labbra volitive, occhi rapidi e intensi, un corpo flessuoso e controllato. Sesto volume di una saga di cui interrompe brevemente la continuità cronologica, I racconti della giungla torna a un Tarzan adolescente per dipanare, non senza ironia, nuove ed eccitanti avventure che vedranno l’eroe innamorato di una scimmia o alle prese con rivalità e problemi sia umani (il concetto di Dio) sia scimmieschi.
EUGENETICA
All’innegabile godibilità narrativa i Racconti aggiungono tuttavia anche motivi di più ampio interesse. Si prenda, per esempio, Tarzan e il bambino nero, in cui il nostro beniamino, desideroso di paternità, strappa un bambino nativo dalle braccia della madre con la stessa noncuranza di uno spietato trafficante schiavista del passato. Oppure la reazione dello stesso bambino il quale, impaurito e piangente, induce Tarzan a pensare che il piccolo sia «pavido e duro di comprendonio» e il narratore a dichiarare che all’ottuso «cervello negroide mancava di quella scintilla divina che aveva permesso al bambino bianco Tarzan di trarre beneficio dall’addestramento fornitogli dalla vita nella giungla».
Frutto di un immaginario imbevuto di eugenetica, il Tarzan dei Racconti agisce quindi in assoluta continuità con quello che, in Tarzan delle scimmie, aveva messo un cappio al collo di Kulonga - il primo nero ad apparire nella saga - come un razzista qualsiasi che si appresti a linciare il presunto responsabile di un oltraggio nei riguardi di una donna bianca. Che in questo caso la «donna bianca» sia una scimmia, Kala, la nutrice di Tarzan, e che Kuolonga l’abbia sì uccisa, ma solo per difendersi non fa che rendere tutto più complicato, affascinante e meritevole di essere riletto con attenzione.l
Un novello Kurtz (Cuore di tenebra, 1902)? No, perché, a differenza dell’eroe conradiano, Burroughs non ha alcuna intenzione di consegnare il suo eroe legato mani e piedi alla giungla. Nel primo e riuscitissimo Tarzan delle scimmie (1914), per esempio, quando tutto lascerebbe pensare che Tarzan possa essere irrimediabilmente corrotto dall’educazione scimmiesca, l’opportuno rinvenimento dei libri del padre rimetterà tutto in gioco.
UNA «RAZZA PORTENTOSA»
Uno stucchevole colpo di scena? Certo che sì. Ma anche uno snodo ideologico importante, giacché dall’episodio Tarzan deriva il desiderio di imparare a leggere, il suggerimento di coprirsi e, infine, la consapevolezza di appartenere a una «razza portentosa», superiore alle scimmie e ai nativi africani. Che egli possa spadroneggiare in virtù di un’animalità sensibilmente corretta dalla civilizzazione (e dal sangue blu) è evidente sia nell’ossimoro che lo caratterizza – « l’uomo scimmia» – sia nei successivi Racconti della giungla, il volume del 1919 che oggi Donzelli propone impreziosito da una serie quanto mai azzeccata di tavole firmate da Burne Hogarth. Azzeccata perché l’eroe dal perizoma leopardato qui appare nella stessa posa dell’Adamo della Cappella Sistina (tav. I).
E quindi come se in il raffinato fumettista avesse voluto risuscitare le qualità di un uomo che è sì primitivo, ma anche dotato di forme perfette («a sua immagine e somiglianza»), innocenza (è senza peccato) e umana favella (nomina il mondo). Un creatura ideale, insomma, e soprattutto in perfetta sintonia con quello di Burroughs, uno scrittore sempre felice di evocare sulla pagina un paio di muscolose natiche maschili, labbra volitive, occhi rapidi e intensi, un corpo flessuoso e controllato. Sesto volume di una saga di cui interrompe brevemente la continuità cronologica, I racconti della giungla torna a un Tarzan adolescente per dipanare, non senza ironia, nuove ed eccitanti avventure che vedranno l’eroe innamorato di una scimmia o alle prese con rivalità e problemi sia umani (il concetto di Dio) sia scimmieschi.
EUGENETICA
All’innegabile godibilità narrativa i Racconti aggiungono tuttavia anche motivi di più ampio interesse. Si prenda, per esempio, Tarzan e il bambino nero, in cui il nostro beniamino, desideroso di paternità, strappa un bambino nativo dalle braccia della madre con la stessa noncuranza di uno spietato trafficante schiavista del passato. Oppure la reazione dello stesso bambino il quale, impaurito e piangente, induce Tarzan a pensare che il piccolo sia «pavido e duro di comprendonio» e il narratore a dichiarare che all’ottuso «cervello negroide mancava di quella scintilla divina che aveva permesso al bambino bianco Tarzan di trarre beneficio dall’addestramento fornitogli dalla vita nella giungla».
Frutto di un immaginario imbevuto di eugenetica, il Tarzan dei Racconti agisce quindi in assoluta continuità con quello che, in Tarzan delle scimmie, aveva messo un cappio al collo di Kulonga - il primo nero ad apparire nella saga - come un razzista qualsiasi che si appresti a linciare il presunto responsabile di un oltraggio nei riguardi di una donna bianca. Che in questo caso la «donna bianca» sia una scimmia, Kala, la nutrice di Tarzan, e che Kuolonga l’abbia sì uccisa, ma solo per difendersi non fa che rendere tutto più complicato, affascinante e meritevole di essere riletto con attenzione.l
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