Repubblica 9.10.11
Goce Smilevski fa una finta autobiografia tratta da una storia rimossa
La protagonista è Adolfine che ripercorre la sua vicenda dal lager
Il destino segreto delle sorelle di Freud dimenticate a Vienna
di Leonetta Bentivoglio
Rosa, Marie, Adolfine e Pauline furono le sorelle immolate al nazismo da
Sigmund Freud. Le condannò per ignavia, trascuratezza, egoismo o per
chissà quali segreti rancori familiari. Soltanto Anna, la maggiore,
evitò i lager, emigrando in America nel 1889. Le altre quattro perirono
in modo tragico e umiliante, in campo di concentramento, tra il 1942 e
il 1943, mentre il loro celebre fratello si era spento nella quiete
della sua bella casa inglese nel 1939, un mese dopo l´inizio della
guerra. Semplicemente Sigmund aveva deciso di abbandonarle alla
sventura. Già molto infragilito dal cancro, lo scienziato, dopo
l´Anschluss, aveva ceduto alle pressioni della sua cerchia di devoti,
che lo spingevano a lasciare l´Austria. In principio aveva fatto
resistenza, sentendosi troppo debole e anziano per andarsene da Vienna;
poi convenne che era la cosa giusta. Per un personaggio tanto noto
internazionalmente, non fu difficile trovare, in un paese come
l´Inghilterra, la disposizione ad accoglierlo, e affinché i nazisti gli
consentissero di partire vennero sollecitate molte prestigiose
intercessioni, tra cui quella di Roosevelt. Ci fu tra l´altro il
benevolo intervento di Mussolini, grande ammiratore di Freud.
Quest´ultimo riuscì a salvaguardare la fetta più sostanziosa del suo
patrimonio, incluse le amate collezioni di antiche statuette, che
approdarono intatte a Londra, e si permise l´acquisto di Maresfeld
Garden, l´abitazione oggi divenuta un museo, che in suo onore guadagnò
un accessorio prezioso come l´ascensore. L´aspetto incredibile di questa
storia è che, lasciando Vienna, Freud aveva avuto la possibilità di
portare con sé i propri cari, e nell´elenco che stilò per l´occasione
figuravano la moglie, i figli, la cognata, le due assistenti, il medico
personale con famiglia al seguito e persino il cane. Ma non le quattro
povere sorelle.
Pur nel continuo proliferare di omaggi ad un eroe che non passa mai di
moda (l´ultimo è il film, fastidiosamente iconografico, A Dangerous
Method, di David Cronenberg, dedicato al suo incontro-scontro con Jung),
è mancata sempre un´indagine seria riguardo alle cause di
quest´inspiegabile episodio, sul quale le biografie tendono a sorvolare.
Il principale agiografo del fondatore della psicoanalisi, Ernest Jones,
scrisse, a proposito dell´orrenda fine delle quattro donne: «Freud, per
fortuna, non avrebbe mai saputo nulla di ciò che sarebbe accaduto
loro». D´altra parte Sigmund, commentava con ipocrisia lo stesso Jones,
«non aveva alcun motivo di preoccuparsi delle sorelle, visto che
all´epoca del suo trasferimento a Londra la persecuzione degli ebrei era
appena cominciata».
Il giovane scrittore macedone Goce Smilevski (è nato nel 1975) si è
ispirato a questa strana e rimossa vicenda per un romanzo di evidente
asprezza, votato all´esplorazione della sorte di Adolfine. È alla sua
voce che si affida l´intero racconto, plasmato come una finta
autobiografia, e oscillante tra verità documentate e liberissime
invenzioni. Pubblicato nel 2007, La sorella di Freud è stato subito un
successo, e nel 2010 un suo estratto è apparso nell´antologia "Best
European Fiction 2010", con un´introduzione di Zadie Smith. L´hanno
comprato vari paesi, tra cui Inghilterra, Francia, Spagna e Stati Uniti,
e ora sta per uscire in Italia per Guanda.
Nel lager di Terezin, dov´è rinchiusa in un assoluto stato d´infelicità e
rimpianti, e dove si prepara con stoicismo alla morte (che
sopraggiunge, nell´ultimo capitolo, come un tuffo finalmente lieve
nell´oblio), Adolfine ripercorre la sua vita. Scorrono gli anni
dell´infanzia, le tensioni all´interno della famiglia e lo speciale
rapporto instaurato con Sigmund, poi sfociato in un allontanamento
nell´adolescenza, quando tra loro si frappose un "qualcosa" che aveva
molto a che vedere con la differenza di genere sessuale. C´è l´amore
disperato di Adolfine per Rajner, un ragazzo malinconico fino al torpore
e con tendenze autodistruttive, e l´ansia martellante di una maternità
mai realizzata. C´è la lunga amicizia con Klara Klimt, sorella del
pittore Gustav, protesa in modo agguerritissimo e totalizzante, fino al
martirio o al fanatismo, verso l´obiettivo di un mondo diverso per le
donne, più paritario e giusto. C´è soprattutto il legame di Adolfine con
sua madre, presenza angosciosa e punitiva al massimo, vera fonte del
dolore esistenziale della figlia, perché in ogni vita ci sono ferite che
scompaiono e altre che restano, ed è questo, forse, il tema-cardine del
libro: l´idea di un danno primario, da considerare come il più
autentico. Gli altri, andando avanti, ci colpiscono per suo tramite, e
ogni seguente sofferenza trova la sua forza fin tanto che gli si
avvicina. Il dolore di Adolfine aveva un nome, quello della madre,
siglato nella sua memoria più profonda, e intimamente connesso ai
tormenti successivi, come sgorgati da un´unica radice.
La sorella di Freud non è un romanzo "d´ambiente". Sprazzi della Vienna
di quel periodo affiorano nelle dissertazioni sulla sessualità,
sull´ebraismo e sul nascente femminismo, così come negli accenni
all´opera freudiana. Ma Freud e Vienna sono soltanto un´occasione per un
viaggio lungo il male oscuro di una donna schiacciata da un destino di
passività. Ce lo restituisce una scrittura ruvida, insidiosa, ossessiva.
E sempre consapevolmente disattenta alle ripetizioni. Un po´ come nello
stile di autori quali Saramago, che sembrano voler abbattere i più
gentili criteri della forma per dimostrare che è importante la sostanza.
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