Quando i romani crearono il vino: Roma caput vini
Molti
sanno che nella seconda guerra mondiale al seguito delle armate
americane operavano impianti mobili di imbottigliamento della Coca Cola.
I soldati dovevano sentirsi come a casa e questa bevanda faceva parte
delle loro abitudini alimentari che andavano il più possibile mantenute.
Al termine della guerra questi impianti restarono in Europa e la Coca
Cola diventò parte della nostra quotidianità. Un libro appena pubblicato
ci spiega che lo stesso processo sta all'origine dei grandi vitigni
europei. Tutto iniziò quando Marco Aurelio Probo incaricò i legionari di
piantare viti nei territori conquistati.
Quando i romani crearono il vino
C´è
una cosa che gli Italiani non sanno e che i Francesi non vogliono
sapere. Che a fare la gloria dei grandi vini d´Oltralpe sono stati i
Romani. Con buona pace dei Galli e di Asterix. Lo dicono Giovanni Negri e
Elisabetta Petrini, autori di Roma caput vini. La sorprendente scoperta
che cambia il mondo del vino, (Mondadori, pagg. 216, euro 18). Gli
autori, sulla scorta di uno screening genetico di tutta la viticultura
europea, riscrivono la storia del vecchio mondo in chiave enologica.
Dando a Cesare quel che è di Cesare. Se è vero, infatti, che i Greci
sono stati i primi esportatori di grandi crus, come il leggendario rosso
di Chios, è solo con l´avanzata delle legioni capitoline che la vite è
arrivata ai quattro angoli del globo. E il vino è diventato un consumo
di massa, una bevanda per tutti.
Grazie
a una pensata geniale di Marco Aurelio Probo, imperatore tra il 276 e
il 282 dopo Cristo, che in soli sei anni ha ridisegnato la geografia
enogastronomica del mondo antico e posto le basi di quella moderna.
Trasformando i suoi legionari in vignaioli con il compito di piantare
viti in tutti i territori conquistati. Per produrre in loco il vino per
le truppe tagliando drasticamente i costi del trasporto. In questo modo
la Pannonia, l´Illiria, la Dalmazia, la Gallia, l´Iberia diventano
altrettanti chateaux, tutti al servizio dell´imperatore. Che si può
considerare il primo esempio di grande propriétaire récoltant.
E
che tutte le grandi bottiglie del vecchio continente, dalla Borgogna
alla Mosella, dal Bordolese al Reno discendano dai gloriosi tralci
quiriti lo confermano i loro nomi. Che gli autori ripassano in rassegna
facendo apparire dietro denominazioni apparentemente autoctone una
discendenza che più latina non si può. A cominciare dall´etichetta più
prestigiosa del mondo, quella Romanée Conti che prende l´appellativo dal
fazzoletto di terra che i Borgognoni chiamarono romana per mostrarsi
grati all´imperatore Probo. E l´aristocraticissimo Mersault non è altro
che il muris saltus, letteralmente salto del topo. Mentre lo Champagne
deriva dalla parola campus, la stessa da cui viene Campania. Che fu la
terra del Falerno, del Cecubo e del Surrentinum, le più esclusive
appellations dell´antichità. Insieme alla falanghina che era il vino di
pronta beva per le falangi. Una sorta di razione kappa per tenere alto
l´umore della truppa.
Tanti
doc per una sola origine. L´infinita fantasmagoria di colori, odori,
sapori della tavolozza enologica contemporanea insomma discende quasi
esclusivamente da uno stesso ceppo.. Che i Romani chiamano semplicemente
nostrum, come dire nostrano. E che nel medioevo, diventerà Heunisch che
in tedesco vuol dire la stessa cosa. Una specie di Adamo dei grappoli
che troverà la sua Eva nel Frankisch, che significa semplicemente Altro,
forestiero. Dal matrimonio nascerà il 75 per cento dei vitigni europei,
dallo Chardonnay al Pinot, dal Traminer al Sauvignon, dalla Schiava al
Nebbiolo di Dronero. Figli ma anche figliastri. Che spesso hanno
altrettanta fortuna degli eredi legittimi. Un esempio per tutti, il
Chianti così detto dal gentilizio etrusco Clanti, letteralmente
figliastro.
Mettendo
insieme storia e genetica, gli autori ricostruiscono l´intero albero
genealogico del nettare di Bacco. Ma anche le ragioni sociali della sua
irresistibile ascesa. Che ne fa la bevanda simbolo dell´imperialismo
romano. Esattamente come la Coca Cola lo è di quello americano. E
proprio nella distanza tra il succo della vite e la bibita alla cola
Negri e Petrini misurano la distanza tra l´impero di ieri e quello di
oggi. Fra Roma e New York. Fra Manhattan e i fori. Fra i lupanari di
Pompei e le slots di Las Vegas. Fra Dioniso e Babbo Natale. Fra
fornicatio e Californication. Insomma tra una civiltà dove le bollicine
sono l´effetto di un fermento divino e un´altra dove è tutta questione
di bicarbonato.
(Da: La Repubblica del 9 novembre 2011)
Giovanni Negri-Elisabetta Petrini
Roma caput vini
Mondadori, 2011
18 euro
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