Terra d'Oc: Main
Un
paio di pagine tratte da un libro bellissimo, di cui abbiamo già
parlato e di cui parleremo ancora. Un atto d'amore verso la terra d'Oc e
la sua gente.
Marco Aime
Main
Quando
io l'ho conosciuta, o inizio a ricordarla, aveva già più di
ottant'anni. Dolce, con quegli occhi azzurri sempre sorridenti.
Sorridenti di quella forza e quella semplicità di chi sa ancora
sorridere dopo una vita dura come la sua. Di chi ha messo al mondo
undici figli, anche se il mondo cinque non li ha voluti. Era così
allora. Lei parlava spesso di Cirillo, morto a cinque anni di tosse
asinina.
Era
del 1878 Main, l'anno del re, diceva lei, perchè in quell'anno era
salito al trono Umberto I. Nata in tempo per vedere finire un secolo e
attraversare gran parte di quello successivo. Due guerre mondiali,
vissute entrambe lassù, nella sua valle incastonata tra le pietre. Non
sapeva nemmeno il valore dei soldi, lei. Viveva così, lavorando e
mangiando poco, di quel poco che c'era.
Adorava
suo figlio Lencin. Erano sempre in giro in tre: lei, suo figlio e il
cane. Dove mette il piede uno, lo mette l'altro, diceva la gente del
paese. Sempre insieme, lei così minuta e così forte, su per quei
sentieri rapidi e scontrosi.
Non
sapeva nemmeno cosa fossero il mal testa o il mal di denti, racconta
Matilde, sua nipote. Era senza denti, eppure mangiava delle croste di
pane dure così! Ha lavorato tutta la vita e non l'ho mai sentita
lamentarsi una volta. Lei non si lavava quasi mai, a quel tempo era
così. Allora, quando era già anziana, noi le lavavamo la testa e lei si
lamentava. Adesso i capelli mi scapperanno tutti! diceva. E quando le
lavavamo i piedi era la stessa cosa: Ecco, adesso avrò freddo ai piedi
tutto il tempo!
Negli
ultimi anni l'avevano portata a Savona, dalle figlie. A quelli che
andavano a trovarla raccontava della televisione. Era la prima volta che
la vedeva. Diceva che aveva visto tale e tal altro, il figlio di questo
e di quella... tutta gente di Roaschia. Nello schermo lei riconosceva
la sua gente, riportava ogni cosa al suo mondo di sempre, Roaschia. Alla
domenica si vedevano solo e sempre bambini con i pantaloni corti, che
giocavano al pallone. Poi spiegava stupita di quella gabbia, che c'era a
casa di sua figlia, che ci entravi dentro e ti portava su, fino
all'ultimo piano. Lo raccontava calma, sempre con il sorriso. Serena, di
quella serenità che solo chi ha attraversato guerre e fame può avere.
Di chi sa come va il mondo e che bisogna prenderlo per quello che è,
come quella valle stretta e piena d'ombra.
(Da: Rubare l'erba, pp. 63-65)
Marco Aime, nato a Torino nel 1956, insegna Antropologia culturale presso l'Università di Genova.
Marco Aime
Rubare l'erba
Ponte alle Grazie, Firenze 2011
12 Euro
Nessun commento:
Posta un commento
Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.