il Fatto Saturno
Memorie
Con Montale andavamo al Giamaica
di Raffaele Liucci
«HO MOLTA AMICIZIA per i morti», scrisse una volta il sommo filologo
Gianfranco Contini: «un po’ perché il più del nostro tempo passerà, se
non con loro, almeno dalla parte loro; un po’ perché siamo noi che li
facciamo ancora vivere, che prestiamo loro un po’ della nostra vita».
Sarà per questo che la buona memorialistica, sebbene popolata da
defunti, è un’oasi rasserenante, un contravveleno al grigiore delle
nostre vite e della nostra epoca? È quanto accade con due inaspettati
libri, sfornati da altrettanti decani delle patrie lettere.
Il primo è un memoir di Maria Luisa Spaziani. Poetessa, già docente di
letteratura francese, fu una delle muse di Montale, da lui ribattezzata
“la volpe”, «che non soltanto mi regala la luce della sua giovinezza,
quanto mi restituisce la mia che non ho mai avuta». Una lunga amicizia
sentimentale, qui rievocata in punta di penna, pencolando fra luoghi
meneghini (il bar Giamaica e il ristorante Bagutta), incontri (con il
coltissimo Leo Valiani, con Georges Simenon, che Montale detestava per
l’insolente facilità di scrittura, con Elémire Zolla, poi da lei
sposato) e aneddoti (le frequenti nevrosi da foglio bianco di cui
soffriva il poeta ligure e una sua terribile lite con Gadda). Che cosa
rimane di quell’Italia in bianco e nero (gli anni ’50 e ’60), forse un
po’ bigotta ma dai costumi non ancora sbracati, figlia di un’etica
borghese austera e dignitosa? Soltanto un telaio scarnificato, come
quell’osso di seppia rinvenuto sulla spiaggia che un giorno Montale
autografò scherzosamente per la “volpe”.
Se Spaziani è volatile e impressionista, Alfredo Stussi, insigne
storico della lingua italiana, è invece grave e puntiglioso. Il suo
libro è una silloge di quindici ritratti di “maestri e amici”, da Maria
Corti a Francesco Orlando, passando per Contini, Carlo Dionisotti,
Gianfranco Folena, Dante Isella, Sebastiano Timpanaro, che per la fobia
di parlare in pubblico rinunciò alla carriera accademica, e Vito
Fuma-galli, uno storico medievista cui si devono alcuni magistrali libri
sul rapporto fra uomo e ambiente, già in crisi un millennio or sono.
Nessuno di loro è più tra noi. Riportarli in vita significa addentrarsi
in cinquant’anni di “cose viste”. L’epicentro è la Normale di Pisa,
frequentata dapprima come discente e poi come docente. Negli anni ’50
vigeva ancora l’usanza, per i normalisti, di pranzare e cenare a ore
fisse attorno a quattro tavoli disposti a ferro di cavallo, serviti da
una squadra di camerieri in giacca bianca. Un’aristocrazia intellettuale
ormai quasi estinta. Quel che resta è l’intima compresenza con quegli
antichi maestri e compagni. Forse perché, come scriveva Thomas Bernhard
in Perturbamento, «un essere umano può sentirsi unito ad un altro che
ama soltanto quando quest’altro è morto, è davvero entrato a far parte
di lui». Contini docet.
Maria Luisa Spaziani, Montale e la Volpe. Ricordi di una lunga amicizia, Mondadori, pagg. 114, • 12,00;
Alfredo Stussi, Maestri e amici, il Mulino, pagg. 201, • 20,00
da spogli.blogspot
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